Come in ogni addizione, si arriva al punto in cui bisogna tirare le somme.
Il dibattito in corso nella campagna presidenziale degli USA ci sta abituando all’idea che le questioni importanti alle quali il futuro Presidente dovrà dedicare il proprio tempo siano l’immigrazione illegale, il “caro mutuo”, le importazioni dalla Cina, il rispetto e la difesa dei diritti civili, faccende giudiziarie dei candidati e altre ancora.
Gran parte degli elettori, non solo statunitensi ma direi mondiali, ignorano la posizione che i due candidati assumeranno su questioni che li riguardano molto direttamente e, insieme a loro, una buona fetta della popolazione mondiale. E non mi riferisco né alle zone di guerra né ai “Green Deal” sparsi per il pianeta.
Esiste un’arma molto letale che svolge i suoi effetti con il tempo e colpisce in modo molto convincente: le sanzioni. Una volta si effettuavano con gli assedi, che portavano gli sfortunati abitanti dentro le mura alla fame e che oggi si realizzano con meccanismi ancor più complicati, che però sortiscono gli stessi effetti. Negli ultimi cinquant’anni ne abbiamo visti di tutti i colori e in ogni parte del mondo. In alcuni casi si sono raggiunti i risultati desiderati, in altri no.
Il “Make America Great Again” porta con sé, senza discussione, azioni protettive, specie economiche. Il candidato Trump, ex-Presidente, ne ha imposte diverse durante il proprio mandato. Tuttavia il suo successore, Biden, non ha agito in modo opposto, introducendo ancor più sanzioni di varia natura indirizzate agli stessi paesi o a nuovi.
Il più delle volte l’opinione pubblica ha ritenuto, o ritiene, che le sanzioni siano state necessarie: ad esempio, in seguito all’invasione dell’Ukraina, la confisca dei patrimoni esteri degli oligarchi russi o dei depositi bancari o investimenti della finanza russa è stata considerata giusta e necessaria.
Se però si va a tracciare una mappa dei paesi soggetti a sanzioni, il quadro che ne esce illustra in modo molto chiaro il contrasto o, meglio il conflitto, tra le parti in causa.
Uno dei conflitti in corso da tempo riguarda il sistema dei pagamenti internazionali in un mondo sempre più interconnesso e globale. Dalla fine del secondo conflitto mondiale la valuta utilizzata è stata il Dollaro USA (USD). Nel corso del tempo si è passati da un regime di cambio fisso a uno a cambio variabile, facendo della svalutazione della propria valuta uno strumento di politica monetaria di largo uso.
Nel disperato tentativo di porre l’Europa Unita tra gli attori del commercio internazionale, vi furono più tentativi di creare una moneta alternativa agli scambi, dapprima in uso tra i paesi europei e poi a livello internazionale. L’Euro ne è il risultato finale. Che però non ha assunto il peso di essere utilizzato negli scambi internazionali.
Ma quando si parla di “sistema di pagamenti” non ci si limita solo alla conversione della propria moneta in un’altra. Nell’acquistare merce da un paese estero si da inizio a una serie di operazioni che va ben oltre la sola conversione, ad esempio, da Euro in USD. Solo per elencare alcune di queste, si tratta del trasferimento materiale di denaro da un paese all’altro, il conseguente trasferimento della merce e relativi pagamenti, l’applicazione di tariffe doganali, la riscossione di queste, la contabilità nazionale ed internazionale, le comunicazioni alle autorità varie, il rilevamento statistico e tante altre ancora.
Il “sistema” dei pagamenti deve consentire di gestire ognuno di questi aspetti. Comprese le sanzioni che vengono applicate.
Infatti, è dalle transazioni rilevate che si conoscono i quantitativi di ogni merce scambiata e i relativi prezzi, le destinazioni, i nomi delle parti, le banche interessate, i conti bancari accreditati/addebitati etc. Le sanzioni assumono forme molte dettagliate oltre ai proclami: includono codici di merce, prezzi, precisi porti, denominazioni sociali, partite IVA ed è solo con l’incrocio dei dati che si riesce a controllare l’applicazione o l’applicabilità delle misure.
Cosa c’entra tutto ciò con le prossime elezioni presidenziali?
È nella Natura cercare di superare gli ostacoli. Per usare un gioco di parole, mattoni in inglese si dice “bricks”. E i “bricks” sono un tema molto ricorrente nelle campagne elettorali USA. Da un lato si vuole costruire e rafforzare il muro esistente con il Messico e dall’altro lo si vuole demolire.
In tempi insospettabili per questa campagna elettorale, alcuni paesi si riunirono per formare un’alternativa al sistema di pagamenti internazionale SWIFT, oggi ancora in uso nelle transazioni internazionali. I paesi che hanno formato invece il gruppo dei “B.R.I.C.S.” sono: Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Una caratteristica comune tra questi paesi riguarda l’applicazione nei loro confronti di sanzioni che miravano (e mirano tuttora) a limitare determinati scambi, tra cui cereali, acciaio, petrolio, tecnologia o beni di largo consumo.
I cinque paesi fondatori del BRICS hanno accolto l’adesione di altri paesi (casualmente soggetti anche loro a sanzioni) come l’Egitto, l’Etiopia, l’Iran, l’Arabia Saudita e gli emirati dell’UAE. Questi dieci paesi rappresentano circa il 40% della produzione mondiale di petrolio, il 25% del PIL mondiale, il 40% degli scambi internazionali di beni e circa il 50% della popolazione mondiale.
Al momento ci sono altri 12 paesi che hanno chiesto di aderire, alcuni dei quali in mercati emergenti importanti per l’occidente come la Thailandia e il Vietnam. La loro accoglienza porterebbe il gruppo a rappresentare oltre il 30% del PIL mondiale.
È notizia recente che anche la Turchia abbia richiesto l’adesione al gruppo, e il caso apre numerosi dilemmi sia per l’Europa che per gli USA. La sua appartenenza alla NATO, la vicinanza contemporanea all’Europa e alla Russia, i rapporti commerciali e industriali con l’Occidente sono aspetti che devono essere considerati seriamente e forse anche rivisti.
Molte sanzioni sono state introdotte per “proteggere” le proprie economie da fenomeni di “dumping” commerciale (l’applicazione di prezzi bassi) o a tutela della propria industria. Altre in risposta a barriere erette da paesi importatori secondo una logica di “do ut des”. Molte altre sanzioni sono state introdotte per motivi geopolitici (vedi Iran, Venezuela o Russia).
Con quali effetti?
È evidente che l’applicazione delle sanzioni impedisce al paese coinvolto di accedere al sistema SWIFT. Nel contempo, impone al paese di cercare altri acquirenti per le proprie esportazioni e altri paesi per la fornitura di beni.
Nel caso della Russia, il gas non più vendibile ai paesi europei è stato dirottato altrove. Idem per i cereali. Idem per l’oro, di cui la Russia è il secondo produttore mondiale. E possiamo aggiungere il petrolio, la tecnologia (spaziale e militare) metalli preziosi e altro ancora.
Per chi vende, c’è chi compra: e questo a dispetto delle sanzioni applicate.
Tutto pagato fuori dal sistema SWIFT utilizzando il sistema alternativo sviluppato dai paesi BRICS e fuori dal circuito bancario controllato.
E se ciò non bastasse, i paesi BRICS si sono dichiarati anche a favore della forma commerciale arcaica del baratto: merci contro merci. Agevolando così i paesi con riserve economiche limitate e favorendo le economie deboli nella loro costituzione di ricchezza e nel loro sviluppo. Ciò, ovviamente rafforza i legami tra questi paesi a scapito del blocco di paesi contrapposto.
È recente l’accordo raggiunto sulla vendita di grano russo alla Cina. La vendita ha assunto il carattere di baratto, fuori dal sistema SWIFT e fuori dalla borsa di Chicago, ovvero la piazza mondiale degli scambi di “commodities”, tra cui il grano.
Con quali conseguenze per il resto del mondo?
Per primo, nelle borse mondiali è venuta a mancare ogni informazione quantitativa e qualitativa dello scambio: prezzi, tonnellate, condizioni di pagamento, merce scambiata.
Per secondo, se la Cina si rifornisce di grano dalla Russia sicuramente ne acquisterà meno altrove e ciò altererà gli equilibri di mercato in termini di prezzi, giacenze e future produzioni. Per assurdo, molti dei paesi produttori di cereali sono tra quelli che hanno appoggiato o applicato le sanzioni stesse.
Terzo: se, in cambio di grano, la Cina fornirà materiale bellico e/o tecnologico, de facto sta supportando la Russia nella sua guerra in Ukraina.
Quarto, cosa impedisce un simile scambio anche con altri beni e con altri paesi?
Quinto, gli scambi sono anche soggetti a commissioni di intermediazione, strumenti per mitigare rischi di cambio, finanziamenti e altre sofisticazioni finanziarie che sono fonte di reddito al sistema bancario.
Infine, molti dei paesi aderenti al gruppo BRICS soffrono di alti tassi di inflazione che li penalizza fortemente nei rapporti commerciali denominati in USD. La convenienza della formula del baratto è indubbia.
Eppure, nelle campagne elettorali di Trump e Harris (ma così anche in Francia, Germania, Gran Bretagna o Italia) al di là di generici proclami in difesa del “made in America” non si menziona come si intende affrontare una questione, quella degli effetti delle sanzioni, che non riguarda solo gli USA ma il mondo intero.