La mattina dalla finestra dell’albergo di Tartus, un palazzone moderno non molto bello, si scorgono le onde del Mediterraneo. Il blu sembra liquefarsi in mille sfumature, che vanno dal blu scuro fino all’argento. Facciamo colazione e andiamo a piedi al porto dei traghetti, che sta tra l’albergo e il centro antico. I barcaioli ci dicono che dobbiamo aspettare un’oretta che la barca si riempia prima di partire, ma alla fine le nostre guide li convincono a partire subito. Ci mettiamo a poppa, davanti a noi si vede un’isola in lontananza, piena di case. Tra noi e l’isola vi sono moltissime navi container e petroliere. Le onde sembrano creare la trama di un tappeto mistico che può condurre, chi ne conosce i segreti, nei mari e nelle coste meno conosciute del Mediterraneo. Anche tra i popoli che la geopolitica isola, come gli abitanti di Tartus. L’isola di Arwad è stata abitata ininterrottamente almeno dal III millennio a.C. ed è ricordata nell'archivio del Palazzo Reale di Ebla. Aveva una potente flotta e le sue navi sono menzionate nei monumenti dell'Egitto e dell'Assiria. Nella Bibbia, un "Arvwad" è menzionato come il capostipite degli "Arwaditi", un popolo cananeo. Da allora ogni popolo che sia passato in Siria ha abitato quest’isola. Nel Medioevo, fu l'ultimo pezzo di terra che i Crociati mantennero in Terra Santa.
Lentamente ci avviciniamo a Arwad, che nonostante tante case appaiano ormai moderne rimane molto graziosa. Un castello crociato di pietra gialla appare nel mezzo delle abitazioni, circondato da un porticciolo, dalle abitazioni bianche e da un piccolo faro. Attracchiamo, sul lungomare vi è un bar di paese dalle atmosfere lente e un piccolo suq che vende oggetti di artigianato fatto con conchiglie. Le case hanno primi piani antichi, con vasti archi, su cui purtroppo sono state costruite sopraelevazioni non rispettose dell’architettura locale. Per fortuna però l’isola ha ancora il suo fascino sonnolento e mediterraneo.
Sul lato sinistro del porticciolo, prima del faro, c'è un bell’edificio dalla cupola bianca, che con la sua semplicità sembra uscito dalle Mille e una Notte. È circondato da un antico muro, della stessa pietra del castello che sta dal lato opposto dell’isola, e da alberi verdi. Le barche nel porto sono per lo più di legno, dall’aspetto tradizionale. Entriamo nel suq e troviamo un vecchio negozio da barbiere, con l’edera che si arrampica sui pali che si ergono sotto le volte della stanza e con antiche poltrone da barbiere. Il proprietario ci fa entrare per vedere il mobilio, che sembra essere fermo agli anni '40. Sopra i vecchi mobiletti in legno ricolmi di strumenti da barbiere, vicino allo specchio, foto e disegni di pesci e balene. L’ambiente è ben illuminato grazie a un’ampia finestra ad arco e all’affaccio sul suq. C'è anche una bella radio antica in radica.
Arriviamo alle mura del castello, le pietre gialle sono erose dal vento e dal mare, ma le mura sono intatte. Le vecchie case, anche se ormai un po’ squadrate, lo circondano; per circumnavigarlo, bisogna percorrere stretti vicoli dall’aspetto decadente e mediterraneo. Negli angoli delle mura vi sono ancora piccoli avamposti per le vedette. Purtroppo la porta è chiusa, non si entra.
Ci perdiamo nei vicoli del centro, dove le case sembrano aver meglio conservato le loro caratteristiche architettoniche. Selve di fili elettrici le uniscono l’una all’altra. Sorpassiamo un vecchio panettiere con una foto di Bashar al Assad sopra il forno e arriviamo alla cittadella.
Le mura della cittadella sono della consueta pietra gialla locale, alcune belle finestre con bifore, oggi parzialmente murate, si affacciano sulla strada. Una parte dell’edificio, in antichità, è stato trasformato in moschea. Al lato del portale sono scolpiti nella pietra una palma e un animale fantastico, forse un drago, tenuto in catene. Entrando vi è un cortile con un giardino e delle palme. È possibile entrare in molti ambienti dell’edificio e salire sul tetto e sui camminamenti. Qua e là, resti di colonne e capitelli. Dentro le sale, le teche da museo ormai vuote e polverose. Sul tetto si ammirano le due sinuose cupole bianche della moschea e il minareto. Le mura della cittadella si alternano a possenti torrioni.
Usciamo dalla fortificazione e ci dirigiamo verso l’altro lato dell’isola. Anche qui, sulla passeggiata che lo costeggia, le case hanno i primi piani antichi, spesso con archi spezzati all’araba su cui sono state poi costruite sopraelevazioni moderne. In un angolo scopriamo le rovine di un vecchio hammam dalle cupole traforate, all’interno c’è ancora qualche traccia delle decorazioni. Le rocce vicino al mare sono state scavate nei secoli come per creare delle piscine naturali che costeggiano tutto il lungomare.
Camminiamo verso il porto e prima di tornare a Tartous passeggiamo sotto le arcate dei vecchi edifici e ci fermiamo a prendere un caffè arabo nel caffè sul lungomare, dove pescatori e anziani del paese chiacchierano amabilmente. Saliamo sul traghetto e lì aspettiamo un’oretta che si riempia e che parta.
Di nuovo a Tartous, città a maggioranza Alawita, che come tutta la fascia costiera siriana, per fortuna, non è stata distrutta dalla guerra civile. Ci infiliamo tra i vicoli del bellissimo piccolo centro storico. Sul lungomare si affacciano antichi palazzi dalle pietre gialle, con grandi arcate e serie di finestre sormontate da archetti che si susseguono in modo quasi ipnotico, come onde marine. Facevano parte della cittadella dei Templari, poi trasformata dagli arabi dopo la riconquista di Saladino. Davanti ai palazzi vi sono delle aiuole con oleandri, ibiscus e alte palme. Entrando in un vicolo, attraversiamo una piazzetta e ci dirigiamo verso una chiesa crociata abbandonata. La chiesa ha un bel portale gotico, una volta dentro ci accorgiamo che parti delle volte a crociera sono crollate e che sotto quelle non crollate sono state costruite abitazioni popolari che si affacciano all’interno della chiesa.
Alcuni ragazzini lanciano delle pietre nei resti della vecchia chiesa, prese dal mucchietto di sassi e terra che gli archeologi, che stanno facendo nuovi scavi internamente, hanno lasciato.
Le case rettangolari si inseriscono sotto le volte a crociera della chiesa in modo perfettamente geometrico, sembrano delle abitazioni costruite sotto grotte ampie e accoglienti. Usciti dall’altro lato, entriamo in un dedalo di vicoli cresciuti all’interno di quello che un tempo erano ampie stanze crociate, le cui grandi volte sono collassate. Ora i vicoli ci passano sinuosamente in mezzo. Qua e là si vedono anche palazzi con grandissime porte ad arco, oggi tamponate da blocchi di pietra. Altri edifici avevano anch’essi enormi loggiati al secondo piano, ora hano fatto posto a piccole finestre. Al piano terra qualche arco funge ancora da passaggio tra un vicolo e l’altro del vecchio centro storico. Sotto una di queste porte, un gruppo di ragazzini è intento a scrivere sui propri cellullari, mentre un altro passa in bici con un sacchetto della spesa. Alcuni palazzi sembrano essere costruiti su possenti mura difensive. Vi sono anche pescherie che espongono il pesce direttamente sul pavimento in marmo fuori dal negozio, una di esse ha legato a un palo un grande pellicano dalla faccia simpatica.
Attraversando il centro arriviamo alla vecchia cattedrale crociata di Nostra signora di Tortosa, il nome con cui i crociati chiamavano Tartous. Oggi ospita il museo archeologico della città. Il luogo sin dall’epoca bizantina era molto popolare per i pellegrini perché secondo la tradizione San Pietro aveva fondato una chiesa lì vicino. Secondo gli storici Nostra Signora di Tortosa è la chiesa crociata meglio conservata in Medio Oriente. L’edificio religioso fu fortificato per proteggersi dai Mamelucchi.
Nel 1213 Raimondo, figlio di Boemondo IV, principe di Antiochia, fu ucciso in questa cattedrale dalla setta degli Assassini. La chiesa cadde sotto il controllo dei Mamelucchi dopo che i Cavalieri Templari abbandonarono Tortosa nel 1291. Sotto i Mamelucchi, la cattedrale si trasformò in una moschea.
Costruita in stile Romanico, fu poi rimaneggiata in stile Gotico. La facciata è formata da un bel portale bordato di colonnine e sormontato da tre archi spezzati, con sopra due finestre con le stesse decorazioni del portale, sormontate a loro volta da un’ultima finestra con la medesima bordatura in pietra.
La cattedrale di Tortosa è probabilmente l'unica chiesa di rito latino ancora in piedi che fu fortificata per la difesa. Il giardino intorno è ricco di reperti archeologici di gran pregio, essendo il luogo oggi divenuto museo archeologico della città. I reperti però non si possono fotografare per motivi di sicurezza. Sono tracce di tutti i popoli antichi che hanno solcato questa terra fertile, porto aperto sul Mediterraneo e sull’Oriente.
Finita la visita del centro storico ci dirigiamo verso il sito archeologico di Amrit, antica città fenicia. Parcheggiamo la macchina in mezzo alle campagne e cominciamo la nostra passeggiata. Ci siamo solo noi, il custode e un cane che abbaia. Nella natura verde ecco apparire un’immensa vasca con all’interno delle sorgenti di acqua fresca, piena di piante acquatiche, nel mezzo c’è una torre merlata di pietra nera con una cella aperta da un lato, probabilmente il centro del tempio. Mentre attorno alla vasca vi è un porticato fatto da massi neri rettangolari, in gran parte ancora in piedi, altri adagiati dolcemente a terra.
Viene da immaginarsi i pellegrini fenici che giravano intorno alla vasca per pregare il dio Melqart di Tiro e di Eshmun. Il sito si trova non lontano dal mare, in una zona pianeggiante piena di canneti.
Nelle campagne si trova invece uno stadio fenicio dalla forma ovale, intagliato direttamente nella roccia, i cui gradoni, pur rosicchiati dallo scorrere del tempo, sono perfettamente leggibili. L’erba cresce alta per la poca manutenzione.
Lo stadio ha dimensioni simili a quello di Olimpia in Grecia. Sette file di sedili sono state parzialmente conservate. La struttura era aperta a ovest e aveva due ingressi sul lato est tra i sedili. Inoltre c'era un tunnel che dava all'interno. La roccia dello stadio e la terra attorno sono rosse come il fuoco, colore che fa risaltare ancora di più il verde degli alberi che circondano l'area.
Il cane è l’unico compagno della nostra camminata tra il tempio e lo stadio fenicio. Insieme al mio compagno di viaggio e la guida ci dirigiamo verso la necropoli. Due grandi torri fatte di elementi quadrati e cilindrici svettano nel cielo azzurro. Sono le due principali tombe a camera sotterranea di Amrit. Quella meglio conservata è ornata da una cupola con due strisce merlate, mentre quella più rovinata dal tempo ha una pietra che sembra un cappello a punta.
Lasciamo il sito e ci dirigiamo verso Nord. Sulle colline si alternano canneti e uliveti, l’erba comincia ad essere bruciata dal sole. Sulla cima di uno dei monti appare in lontananza, a qualche chilometro dal mare, un enorme castello di pietra nera. Più la strada si inerpica e più la vista è mozzafiato, dal lato mare si vede la collina declinare verso il Mediterraneo, il sole si riflette sui teloni delle tante serre agricole. Sulla collina il castello di pietra appare sempre più mastodontico, sono visibili i danneggiamenti subiti con il terremoto del 2023. Arrivati in cima, le torri e le mura si alternano in una vasta cittadella fortificata che copre tutta la collina. Le fortificazioni nere sembrano quasi parti delle montagne, nonostante vistosi crolli.
Con nostra grande delusione, il castello crociato di Marquad è chiuso per i danni del sisma. Chiediamo alla guida se in qualche modo riesce a farcelo aprire, ma non c’è verso. Il maniero rimase in mano cristiana dal 1104 fino al 1285, quando fu assediato e cadde per mano del comandante mamelucco Fakhr al-Din Mukri. Abbandoniamo la zona e decidiamo di andare a fare un bagno sulla costa. Scendendo ci fermiamo ad ammirare il torrione principale che svetta, la pietra è nerissima, a parte le feriote dei crolli, bianche.
Arrivati sulla statale, al check point dei militari ci indicano gentilmente una spiaggia lì vicino, ai piedi di un villaggio. Le case si aggrappano alle rocce e nelle vicinanze troviamo una spiaggia di sabbia nera. Parcheggiamo la macchina e ci buttiamo in mare, restiamo a nuotare per mezz’ora. Ogni tanto passano donne e ragazzi del villaggio, che ci lanciano occhiate divertite.
Riprendiamo l’autostrada costiera per proseguire il nostro viaggio verso Nord, superiamo un’altra torre costiera, questa volta quasi sul mare. Passiamo oltre Latakia, che visiteremo nei prossimi giorni, e ci dirigiamo verso la costa montuosa al confine con la Turchia. Gli alberi diventano sempre più fitti, tutto intorno a noi vi sono foreste e dolci campagne. All'improvviso compare un grande lago blu.
A 800 metri di altezza, circondata da alte vette, appare Kessab, cittadina armena, vicina al confine turco, dove passeremo la notte. Durante la guerra civile siriana, nelle prime ore del 21 marzo 2014, Kessab e i villaggi circostanti furono attaccati su più fronti da parte di forze filo-turche. Gli armeni locali raccontano che i membri del Fronte formato da al-Nusra, Sham al-Islam e Ansar al-Sham avanzarono direttamente dal territorio turco.
Visto che molti degli armeni della cittadina sono discendenti degli armeni vittime del genocidio durante il collasso dell’Impero Ottomano e la nascita dall’odierna Turchia, la questione ha riaperto ferite mai sanate. Il 15 giugno dello stesso anno le forze filogovernative siriane ripresero il controllo della città. Da allora Kessab vive in relativa tranquillità e nonostante il confine sia sbarrato da un invalicabile muro che corre dalle montagne fino al mare, la zona è tornata turistica. Un vero e proprio rifugio per la borghesia locale che fugge dal caldo delle pianure. La cittadella è piena di ristoranti armeni affollati da turisti siriani.
Lasciamo le valigie in albergo e ripartiamo per vedere il tramonto sul mare. La zona costiera ricorda un po’ la Costiera Amalfitana, con la differenza che non vi sono paesi e che un muro in cemento armato taglia, dalla cima, fino al mare, la montagna. Si tratta del muro già ricordato, costruito dai turchi per chiudere il confine tra la Siria e la Turchia. Un elemento disturbante, in mezzo a un paradiso incredibilmente popolato da turisti del luogo.
La strada finisce su una scogliera a picco sul mare, dove si trova un bar ristorante pieno di persone che mangiano, bevono arak e fumano la shisha. Vi sono anche dei militari che presidiano il confine. Ci affacciamo dalla terrazza e vediamo alcune persone sulla spiaggia e una che nuota, nonostante l’inquietante presenza del muro. Benché la nostra guida ci assicuri che non si può, lo convinciamo a chiedere ai militari di lasciarci nuotare. Con nostra sorpresa ci dicono di sì e ci scortano giù alla spiaggia. Ci chiedono solamente di non nuotare verso il muro con la Turchia. Non ce lo facciamo ripetere due volte e ci buttiamo in mare. Il sole sta tramontando e colpisce le rocce a picco sul mare e sulle onde. Nuotiamo una quindicina di minuti e come promesso alle guardie di frontiera usciamo. Ci mettiamo a chiacchierare con loro, hanno voglia di sapere se ci piace la Siria.
Poi ci dirigiamo verso il ristorante dove ci riempiono il tavolo di ottimi mezze e di arak. È straniante vedere tanta vita e bellezza in uno dei confini più militarizzati al mondo, dove fino a pochi anni fischiavano ancora i proiettili. La prima sensazione di spaesamento lascia però il posto alla bellezza del ritorno della vita su queste terre.
(2. continua)