IL MESSICO
DEI MORTI
UNA FESTA
DELLA VITA

Tutto comincia pochi giorni fa, il 31 ottobre, quando, su mia richiesta di intervistare l’Ambasciatore del Messico, vengo invitata per il giorno successivo all’evento di inaugurazione delle sculture monumentali di Atlixco, (Puebla). Puntuale arrivo in piazza San Silvestro e già mi accolgono i Mariachis, il tradizionale complesso strumentale messicano di musica folkloristica. Ci sono tutti, incluse chitarre, violini e il cantante, ma poi cantano tutti. Al centro dello spiazzo pedonale troneggiano due immense statue-sculture, frutto di un eccezionale lavoro di artigianato, provenienti da Atlixco, che rappresentano un enorme scheletro seduto “El Charro Negro”(Gildardo Lozada) e un cane “Xolo Manahuia” (Violeta Soberanes) animale totemico che incarna lo spirito guida.


(I mariachi e il Charro Negro)



(Il taglio del nastro con l'Ambasciatore e i rappresentanti del Municipio di AtlixcoA)


La Presidente del Municipio di Atlixco, Ariadna Ayala presente alla manifestazione, è abbigliata con un abito locale e con i capelli ornati da fiori di carta viola, parla di queste straordinarie sculture e delle tradizioni che rappresentano, come e quando vengono create in diverse forme e grandezze. “Queste sculture – mi dice l’Ambasciatore Carlos Garcia de Alba - sono state costruite e dedicate a Roma in particolare, ma, in questo momento, le celebrazioni per “el dia de muertos” si svolgono in tutta Italia, in moltissime città da Trieste a Napoli, da Pisa a Bari e a Torino e in altre città ancora. Questa celebrazione - continua l’Ambasciatore - è assai più di una festa religiosa e le sue radici affondano in una tradizione millenaria, precolombiana; è anche una delle celebrazioni più importanti del Messico ed è riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio culturale immateriale della Umanità fin dal 2008. Quest’anno non solo celebriamo come sempre “el dia de muertos”, ma anche i 150 anni di rapporti diplomatici e di lunga amicizia con l’Italia che hanno inizio nel 1874”.


(Xolo Manahuia)



(Ariadna Ayala, Presidente del Municipio di Atlixco)


Continua la chiacchierata con l’Ambasciatore a proposito delle culture precolombiane che praticavano già rituali collegati alla morte; con l’arrivo dei conquistadores spagnoli la festa del Dia de Muertos diventa frutto di un sincretismo culturale tra il cattolicesimo portato e imposto dagli europei e le tradizioni preispaniche. In questo giorno del 2 novembre gli spiriti ritornano tra i vivi, vanno agli altari a loro dedicati e adorni di fotografie e ritrovano i loro cari. In Messico, come in alcuni altri paesi dell’America Latina di cultura cattolica, la tradizione è assai forte e presente e durante la Festa dei Morti, si organizzano parate e processioni, nel corso delle quali gli abitanti si travestono da calacas, gli scheletri colorati impegnati in danze folkloristiche; si fa visita ai cimiteri e si adornano le tombe dei propri cari con candele, fiori, pane, vino e piatti speciali. Si passa lì la notte tra chiacchiere, musica e ricordi.


(Un Altare creato presso l'Ambasciata del Messico a Roma)


Molte persone, la notte del primo novembre, lasciano addirittura il letto libero per le anime dei defunti perché possano riposare. Ma in tutto questo non c’è nulla di triste, al contrario è una giornata dedicata alla vita. È una allegra e felice commemorazione per il ritorno dei defunti sulla terra ed è profondamente sentita e radicata nella tradizione messicana. “In realtà - conclude l’Ambasciatore - i morti muoiono quando li dimentichiamo!” L’incontro si conclude con l’invito a visitare l’Ambasciata la sera stessa per vedere un vero altare con tutti i suoi ornamenti.


(La festa)


Continuo a parlare con alcuni degli ospiti presenti per comprendere il significato delle due gigantesche sculture. “El Charro Negro” è un personaggio della leggenda e del folklore messicano, Il Cavaliere Nero, che rappresenta il lato oscuro dell’animo umano e nasce tra credenze indigene ed europee. Figura enigmatica condannata per la sua avidità - tra mistero, romanticismo e soprannaturale - si aggira di notte cercando la compagnia di qualcuno che possa prendere il suo posto all’inferno. In alcune versioni è un’anima sofferente, in altre è legato al demonio stesso. Ma ciò che è interessante è la capacità di questa leggenda di trascendere le generazioni e mantenere il proprio fascino. “Xolo Manahuia” o “Xolitzcuintle” è il cane nudo messicano venerato dagli antichi aztechi, considerato simbolo nazionale e legato al dio Xolotl. Nudo perché non ha pelo, ha origini antichissime e appartiene alla categoria dei cani primitivi. I primi reperti del “Xolo” risalgono a circa 8000 anni fa, individuati nei pressi di tombe e di siti religiosi aztechi poiché considerati sacri e venerati perché proteggevano i defunti. È soggetto di antichi miti che risalgono al periodo precolombiano e, tra mistero e tradizione, la comune credenza attribuiva a questi cani la capacità di controllare l’accesso degli uomini all’aldilà.



Come per il dio Anubi in Egitto e per Cerbero nella mitologia greca, per gli Aztechi questo cane nudo - legato al culto del Dio Xolotl, dio dei lampi, dei tuoni, dei mostri e delle deformità - aveva il compito di accompagnare le anime nel mondo oscuro, soprattutto l’anima del padrone. Per raggiungere il regno dei morti bisognava oltrepassare un fiume impetuoso ed era necessario trovare il proprio cane sulla riva pronto ad aiutare l’anima del padrone ad attraversare le correnti insidiose. Per essere certi di trovarli lì sulla sponda ad attenderli, i cani venivano ritualmente uccisi alla morte dei padroni e sepolti con loro. Molto soddisfatta delle spiegazioni e dei racconti a proposito delle sculture, parliamo poi degli altari che i messicani allestiscono nelle case, nei cimiteri e nelle piazze di città e paesi, gli altares de muertos a rappresentare un vero e proprio ponte fra la vita e la morte: la loro funzione è quella di accogliere nuovamente gli spiriti nel regno dei vivi.



Esiste un piccolo villaggio in Messico nello stato del Michoacan, sulle rive del bellissimo lago Patzcuaro, che ospita spettacolari celebrazioni del “Dia de Muertos”. Vengono create opere di artigianato uniche. È assai interessante l’Altare o ofrenda, l’oggetto simbolo attorno al quale ruotano feste e celebrazioni. Lo scenario che si crea è assai complesso perché l’Altare è una struttura con vari livelli che possono variare nel numero e negli ornamenti presenti secondo la tradizione. Naturalmente la grandezza e la ricchezza dell’Altare dipendono dalla struttura che lo ospita. Due livelli per segnare il mondo terreno e quello celeste, tre per distinguere cielo, terra e oltretomba, o sette come i mondi attraverso i quali, secondo gli aztechi, le anime dei defunti dovevano passare. Viene ornato con fiori di carta rossi e arancio e con altri oggetti di arte popolare in cartapesta dai colori vivaci, chiamata cartoneria, come gli alebrijes, animali totemici e creature fantastiche tipiche del folklore messicano che incarnano uno spirito-guida, angelo custode o demone benevolo che protegge la vita di una persona e ne conosce il destino.



La cartoneria, vero patrimonio culturale che risale all’epoca precolombiana, è un’arte preziosa che si tramanda di generazione in generazione e che in una occasione come questa si può ammirare in tutta la sua bellezza. L’altare è anche il simbolo di Mictlan - o l’oltretomba – che accoglie le anime decedute per cause naturali.



Altri elementi tipici che adornano l’altare sono las calaveras – i teschi, per scongiurare la morte; fin dai tempi degli aztechi si costruivano muri fatti di crani di zucchero detti tzompantlis ai quali oggi si aggiungono quelli di cioccolata. Ci sono poi le calaveritas literarias, piccoli epitaffi che celebrano la vita di una persona ancora viva... ma questo è segno di buona fortuna per il celebrato. Altro elemento tradizionale presente è il copal, una resina di colore arancio prodotta dalla corteccia di alcuni alberi, utilizzata come vernice ma anche, importante, come incenso che purifica l’anima e soprattutto guida i defunti all’altare sul quale, chiaro esempio di sincretismo religioso, si colloca anche la croce accanto alle foto dei defunti.



Cibi e bevande, acqua, mescal, tequila, non possono mancare in questo festin, e sono piatti tipici messicani inclusi quelli più amati dal defunto. In questo clima di allegria e serenità mangiano i vivi mentre gli spiriti assorbono i sapori delle pietanze. Naturalmente a volte è presente sull’altare anche il cane itzcuintli del quale abbiamo parlato. E poi ci sono i molti lavori artigianali fatti in papel picado o carta colorata, intagliata con grande maestria e creatività, per creare festoni da appendere; i colori sono diversi e diverso è il significato: viola la religione cattolica, arancione il lutto, blu l’acqua, verde la vita, rosso il sangue, bianco la purezza, nero l’oltretomba. Non manca l’aria, ben rappresentata dal papel china o carta velina che nel suo muoversi annuncia l’arrivo dei defunti Sembra che in epoca preispanica venissero sacrificati agli Dei cuori umani poi sostituiti con offerte diverse. Oggi sull’altare vengono posti panini di frumento decorati con un motivo che ricorda le ossa, appunto el pan de muerto o pane del morto.



El petate è una stuoia, tappeto o tovaglia intessuta con foglie di palma e serve per imbandire il banchetto sull’altare. La sal, il sale, viene posto in un piattino sull’altare e serve a purificare, come il copal, lo spirito del defunto. I vasi con i fiori di sempasuchil, calendule, sono decorazione tipica dell’altare. Il loro intenso profumo guida gli spiriti al banchetto che li attende. E infine ci sono lumi, lumini e candele, las velas, che rappresentano la Fede e la Speranza e sono la luce che guida le anime nel loro ritorno all’Oltretomba dove riposano fino alla prossima celebrazione del 2 novembre. La tipica rappresentazione popolare della morte è Catrina, rappresentata sotto forma di uno scheletro di donna vestito elegantemente con sombrero, boa di struzzo e accessori eleganti, protagonista per eccellenza della celebrazione del Dia de Muertos, ed è l'anfitriona delle offerte dedicate al defunto, nei giorni del 1 e 2 novembre. La figura di Catrina - ha compiuto 100 anni nel 2010 - venne creata alla fine del XIX secolo dal fumettista Josè Guadalupe Posada come ritratto satirico e fortemente critico verso il malinchismo, ovvero l'attitudine delle persone a rinnegare le proprie origini. Il nome glielo diede il pittore muralista Diego Rivera e grazie agli artisti messicani questa figura riappare in molte celebrazioni, assumendo per la festa dei morti il significato diburla nei confronti della morte stessa.



Catrina ha una storia interessante, con una origine letteraria e artistica, oltre che essere simbolo della ribellione, che inizia a metà Ottocento durante i governi Benito Juarez, Sebastian Lerdo de Tejada e Porfirio Diaz, quando un forte malcontento nei confronti delle classi privilegiate da parte della classe media e del popolo si esprimeva attraverso scritti e pubblicazioni chiamati de combate e accompagnati da disegni di teschi e scheletri. Le illustrazioni di Posada, che muoveva una forte critica sociale al governo - divennero famose con la Calavera Garbancera (un teschio) che voleva rappresentare una popolazione corrotta e morta dentro e che, pur avendo sangue indio, rinnegava la propria cultura e fingeva di essere europea. A volte gli scheletri addobbati simboleggiavano la falsità della classe agiata.



Rivera nel 1947 diede il nome Catrina al teschio come espressione femminile di Catrin, uomo elegante e ben vestito, e lo inserì nel suo murale 'Sueno de una tarde dominical en la Alameda Central'. Da allora Catrina, come è oggi rappresentata misteriosa e irriverente, è stata ripresa da illustratori in molte altre occasioni. Oggi è parte della cultura messicana e del suo modo di guardare la morte: tristezza, mistero, ironia. Ci accompagna sempre e ben addobbata o meno resta quella che è.


(Una bellissima Catrina, edizione 2023)


Una parola sul malinchismo, termine popolare messicano che vuole esprimere una condotta deferente verso lo straniero, quasi un tradimento verso il proprio paese. Il termine ha origine dal nome della donna Malinche che accompagnò Cortes nel 1500 facendogli da interprete e aiutandolo a stabilire patti e alleanze con varie popolazioni. Una versione storica dice che l’aiuto di Malinche agli spagnoli fu determinante nel sottomettere il paese e le popolazioni e sembra che gli Aztechi chiamassero Cortes con lo stesso nome di Malinche. Una storia lunga e affascinante che vive ancora oggi grazie a una tradizione che non si è perduta.


(Costume messicano, edizione 2023)


Giorno 3 novembre, piazza del Popolo, si sono radunate le maschere per la sfilata verso Piazza Navona e gli immancabili Mariachis per accompagnarle. Già per strada si incontrano donne e uomini in costume accuratamente truccati… da cosa? Ma da allegri morti, naturalmente! I costumi sono un tripudio di colori come il trucco e la loro funzione è quella di esprimere con la loro ricchezza e colore l’allegria e la spensieratezza di chi vive la morte come parte della vita, con il rispetto e il ricordo verso chi non c’è più. Qui a Roma abbiamo dovuto accontentarci di una allegra sfilata di scheletri e teschi, con costumi bellissimi e accompagnati da cartelli-messaggi che vogliono sottolineare un eterno rapporto d’amore tra i vivi e i morti “Ricordami con gioia e non con tristezza”, “Mi avrai vicino sempre”, “Sarò lì finché tu mi ricorderai”.


(Con gioia, non con tristezza)


Un paio di anni fa, mentre mi trovavo a Madrid presso l’Ambasciata del Messico, nel mese di novembre, ho avuto modo di ammirare un Altar de Muertos eccezionale per la ricchezza di oggetti ed ornamenti presenti e per una pregevole mano d’opera artigianale che aveva creato con maestria le opere in cartapesta. Quello che mi colpì molto, a conclusione della visita, fu un grande cartellone tappezzato di bigliettini che recavano scritte e pensieri di affetto. Erano i messaggi di chi era passato di lì e aveva scritto un rigo di ricordo, una memoria dedicata a chi era scomparso, e lo aveva appuntato sul cartellone. Ne ho aggiunto uno anche io. A conclusione delle celebrazioni, di lì a pochi giorni, un grande falò li avrebbe accolti tutti e il fumo avrebbe trasportato i pensieri a coloro ai quali erano destinati.

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