Bisognerà pur dirlo, una volta per tutte, che non c’è niente di bello nel quartiere a luci rosse di Amsterdam. No, non è una pittoresca curiosità locale e neanche l’espressione della libertà politica del paese o di un innocente e scanzonato libertinaggio. È una vera e propria aberrazione vedere delle donne in vendita, esposte in una vetrina come merci qualsiasi o belve in gabbia. Anche perché, per la cronaca, di olandese non ce n’è neanche una.

Il fatto poi che qualche volta la vetrina illuminata si affacci sul sagrato di una chiesa (e nella mente riecheggiano le parole di “Bocca di rosa”) non mitiga in alcun modo il voyeurismo dei turisti che affollano il quartiere, ai quali sconsiglio la lettura di quest’articolo che propone una visione della capitale dei Paesi Bassi in tutt’altro spirito. Altrettanto inutile continuare a leggere se si vagheggia un viaggio ad Amsterdam come un pellegrinaggio tra coffee-shops dove fumare hashish o altri tipi di “funny stuff” (come da una scritta su una panchina).

Ovviamente, Amsterdam è anche questo, ma quel che desidero raccontarvi è una parte della città al di là di questi luoghi comuni e che può essere interessante per chi non abbia voglia di slalomare tra orridi negozietti di finte mattonelle di Delft, zoccoletti stile contadinotta del tempo che fu e portachiavi con i mulini a vento, in colonna tra orde di turisti alla ricerca di un’immagine da cartolina intravista su Instagram.

In una bella palazzina di inizio Novecento, la villa Alsberg progettata da Eduard Cuypers, nipote del più famoso Pierre, l’architetto ideatore dell’edificio della stazione della città e del Rijksmuseum, si trova un museo a misura d’uomo inaugurato nel 2016, il Moco, che si distingue per una piccola, ma ben pensata, scelta di opere di arte contemporanea.

Nella cornice affascinante delle vetrate in stile Liberty e di pochi eleganti arredi d’epoca i curatori, il cui motto è significativamente “In Art We Trust”, espongono una cinquantina di opere originali di Banksy e una selezione di quadri e altri oggetti di artisti come Andy Warhol, Basquiat, Abramović, Kusama (l’artista giapponese che imbastisce opere intorno al motivo della zucca) e altri. Talvolta si tratta di reperti inquietanti, come i pupazzi in pelouche senza occhi di Kaws o di installazioni avveniristiche e giocose (ad opera dello street artist olandese Frankey) oppure, come nel caso di Robbie Williams (sì, proprio lui, il cantautore inglese di “Feel” e “Forbidden roads”, per non citare che qualche hit), di riflessioni intimistiche espresse graficamente, come il delicato “I feel very vulnerable most of the time…”.

Un confine invisibile separa il quartiere centrale, più affollato, e il Joordan, il quartiere più amato e frequentato dagli abitanti della città, con le sue stradine strette e silenziose, i canali e le case di inconfondibile stile olandese, che il giovane fotografo Arden, che ha la sua galleria lungo uno dei canali del quartiere, riesce in pieno a trasmettere nelle sue spettacolari fotografie. I canali sono punteggiati di imbarcazioni adibite a case, ognuna diversa dall’altra. Spesso si tratta di chiatte riciclate e riadattate; un tempo erano abitazioni di fortuna per chi non aveva risorse, adesso la loro presenza nei canali (e solo in alcuni) è rigorosamente regolamentata e i prezzi degli alloggi sull’acqua sono saliti alle stelle.

E siccome ad Amsterdam c’è un museo praticamente su ogni cosa - dal formaggio (Cheese Museum) ai tulipani (Tulip Museum), dai gatti (Katten Kabinet) ai microbi (Micropia), senza tralasciare il museo delle borse e dei portafogli (Tassenmuseum) in una casetta del Seicento sul canale, - ne esiste anche uno dedicato alle case sull’acqua (Woonboot Museum) per mostrare come è organizzato lo spazio nelle case galleggianti. Ovviamente non mi soffermerò sui musei già noti e visitatissimi, come il Rijksmuseum (capolavori dell’arte olandese), il museo Stedelijk (arte moderna e contemporanea e design), il museo Van Gogh e la casa di Anna Frank, limitandomi a ricordare un sensazionale edificio a forma di nave ideato da Renzo Piano che si erge sull’acqua e ospita Nemo, il museo della Scienza che, oltre che per le meraviglie della scienza e della tecnica, si segnala per una bellissima terrazza panoramica sul tetto.

Un altro quartiere in cui lo spirito della città è ancora ben vivo è il Pijp, nella parte meridionale di Amsterdam. Costruito nell’Ottocento tra il fiume Amstel e i canali, con una vocazione inizialmente operaia e noto all’epoca con il nome di “quartiere yy”, il Pijp è rimasto un luogo autentico. Popolato da studenti, artisti (qui ha vissuto Piet Mondriaan) e migranti provenienti da tutti gli angoli del mondo, il quartiere è un melting pot di culture, lingue e tradizioni e ha conservato un’atmosfera bohémienne. Lungo la Cuypstraat si snoda un immenso mercato all’aperto di prodotti locali (bancarelle di formaggio, frutta, verdura, carne, pesce, spezie e dolciumi vari) ed etnici. Ci si può ristorare con un panino alle aringhe preparato al momento e i meravigliosi poffertjes, frittelle dolci da guarnire con frutti di bosco, cioccolato o panna, a piacere. Volendo, nella bella stagione li si può andare a mangiare nel bel parco all’inglese di Sarphati, realizzato nel cuore del Pijp su un terreno originariamente destinato a una stazione ferroviaria.

Le stradine adiacenti al mercato pullulano di negozi di abbigliamento vintage, botteghe di artigianato (vero, non tarocco), atelier e negozi di design, rivendite di fiori e piante di ogni forma e colore, ristoranti di ogni tipo, caffè e birrerie. Il nucleo originario del Pijp era sorto proprio intorno al birrificio Heineken, per dare alloggio ai numerosi operai che vi lavoravano. Ora la fabbrica è stata trasformata nell’immancabile museo: Heineken experience, dove si illustrano tutte le fasi della preparazione della celebre birra olandese.
A due passi c’è la piazza dei musei (Museumplein). D’inverno vi viene allestita una grande pista di pattinaggio sul ghiaccio, dove ci si può lanciare per un giro, in memoria dei Pattini d’argento della nostra infanzia.