TECNOLOGICUS.
Il punto di svolta

A che punto siamo con le tecnologie?

A che punto siamo con la digitalizzazione?

A che punto siamo con l’Intelligenza Artificiale (AI), è una minaccia o un’opportunità per l’umanità?

Queste domande, come in un crescendo rossiniano, sono oggi un pensiero che è penetrato stabilmente nel nostro mondo quotidiano, nella vita di tutti i giorni, una preoccupazione. Alcuni parlano apertamente di “minaccia”. Ancora pochi giorni fa si leggevano titoli, nei giornali on-line, di “scienziati e padri dell’AI” che si fermano e avvisano che c’è un pericolo per l’umanità.

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AI burocracy

I sindacati temono la scomparsa dei posti di lavoro. Cioè temono anche la propria scomparsa. Pensatori accreditati ritengono che l'AI sarà più intelligente di loro, e che li dominerà. I politici temono invece di perdere il potere, sostituiti da splendidi, instancabili e infallibili amministratori digitali e onniscienti pianificatori statistici.

Insomma, la tecnologia rischia di sconvolgere il nostro mondo, oggi come non mai.

Ma è vero? È proprio così? E in che senso?
Dobbiamo cominciare ad avere paura davvero?
Non staremo per caso costruendo un mostro, un Golem che un giorno ci distruggerà, come si vede dei migliori film di fantascienza ipertecnologica?

Vi anticipo subito che è tutto vero, ma che c’è molto di più. Ed il di più dovrebbe diventare il nostro livello di comprensione e di coscienza di ciò che siamo, e della responsabilità che ciascuno di noi si porta dietro e addosso. Dobbiamo maturare e capire a che punto cruciale siamo arrivati. E possibilmente, una buona volta, decidere e deciderci.

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Consideriamo la faccenda con ordine, dal filone di principale sviluppo tecnologico, per delineare poi un quadro comprensibile e riannodare i fili di tante notizie e notiziole forniteci in ordine sparso, per comprendere davanti a quale scelte siamo giunti, anche nostro malgrado. A quale salto di civiltà siamo chiamati tutti noi.

Partiamo dalla potenza di calcolo dei computer.

Noi tutti sappiamo che la tecnologia dei computer ha subito un processo di miniaturizzazione e di incremento delle capacità di calcolo. Per costruire un microprocessore oramai ci voglio macchinari costosissimi che riescono a inserire milioni, miliardi di microcircuiti in un frammento infinitesimale di wafer, il materiale multistrato che ne ospita le componenti.

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In una fabbrica di wafer

Pochi sanno invece che queste gigantesche fabbriche risiedono in pochissimi punti sulla faccia della terra, uno dei quali è proprio la terra contesa fra Cina e Occidente, Taiwan. Lì viene prodotto più del 90% dei microprocessori presenti in ogni dispositivo che va a corrente elettrica o pile.

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Spero che questo aiuti a capire cosa c’è dietro il gran parlare del conflitto strisciante Usa-Cina. Se Taiwan diventasse cinese, la Cina avrebbe fatto cappotto, e diventerebbe la padrona del mondo. Su una ridicola pretesa di proprietà territoriale, fatta valere con le armi, come ogni tanto abbiamo visto dai telegiornali, con flotte cinesi che circondano l’isola, aerei che ne violano lo spazio vitale, e chi più ne ha più ne metta.

Ma tutta questa potenza di calcolo, tutta questa miniaturizzazione, compressione, e aumento a dismisura di microcircuiti, per fare cosa?

E qui siamo al secondo punto.
Che costituisce anche il peccato originale della nostra società.

La tecnologia va dove la porta il portafoglio. Non più dove la porta la scienza.

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Con la creazione dei “big data”, che tanti neppure sanno cosa siano, il panorama è stato cambiato, stravolto. Perché è accaduto quello che molti vivono come uno scherzo o come un incubo, anche non avendo letto Orwell.

Big data significa macchine e algoritmi in grado di passare al vaglio, setacciare ed identificare una quantità di dati che è al di fuori e oltre le capacità del singolo o di gruppi di uomini. Si tratta di miliardi di istanze passate al setaccio ad ogni istante.

Facciamo un esempio. Così ci capiamo subito.

Le nostre comunicazioni interpersonali telefoniche in voce, o in chat come whatsapp, gli sms, o via computer i famigerati social network. Noi, istintivamente, pensiamo che — su tutta una platea di qualche miliardo di persone che continuamente, senza sosta, giorno e notte, si scambiano messaggi e informazioni — ma vuoi proprio che il mio messaggio devono intercettare?
Proprio quello che stiamo scrivendo o dicendo ad un nostro conoscente sarà passato al vaglio di sofisticati sistemi di “sniffamento” dei contenuti scambiati? Noi non abbiamo fatto magari niente di male (ne dubito), stiamo solo scambiando innocenti espressioni coi nostri amici di sempre: e che sarà mai?

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Ecco, una mentalità che ci porta a farci fare questo tipo di domande (retoriche), indica che abbiamo un sistema mentale antiquato, un “mindset” di tipo medievale, inadeguato a comprendere la contemporaneità. Indica che non capiamo ancora i “big data”.

La risposta alla domanda che vi state ponendo in questo momento è: “si”.

Si, è possibile, lo hanno fatto. Lo fanno in ogni momento.

E una prova malcelata ce l’abbiamo tutti i giorni, quando visitiamo casualmente un sito e subito dopo, alla prima occasione, ci vengono proposti dalla pubblicità prodotti coerenti con l’ultimo o il penultimo sito toccato, o con l’ultima cosa che ci siamo detti al telefono con un amico o una amica.

Ebbene sì.

Però non ci facciamo caso, e tiriamo dritto. Chissà come avranno fatto a tracciarmi? O a indovinare dove sono stato su internet? Ma che mi importa, tanto io non li compro quei prodotti che mi propongono... Così ci diciamo, interiormente, ma sembra che non vogliamo capire, non vogliamo renderci ancora conto della verità.

Ora, fra controllo commerciale e controllo per la sicurezza degli Stati e delle grandi corporazioni, ciascuna comunicazione passa al filtro di un sistema in grado, in tempo reale, o risalendo piano piano indietro nel tempo, di capire che cosa si stessero scambiando due individui. Se c’era un pericolo nella loro comunicazione, o se si stava commettendo un reato. O comunque se ci poteva essere un motivo di allarme.

Quindi, cominciamo a cambiare il nostro “mindset”, e mettiamo come pietra di base, per tutto il sistema mentale, che si, siamo effettivamente controllati perennemente e costantemente, e minuziosamente. Questi dati si chiamano tecnicamente “analytics”, e riempiono i server di importantissime società private che controllano tutti noi consumatori e elettori, riuscendo facilmente a condizionarci nelle scelte. Che poi sono oggi la merce più preziosa al mondo.

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Che cosa mai era lo scandalo che ha visto Facebook rilasciare una quantità enorme di dati personali dei suoi utenti alla società Cambridge Analytica? Era proprio questo. Ma era solo una goccia nell’oceano dei dati.

E se ci sentiamo sicuri perché l’Unione Europea ha varato una legge sulla Privacy universale, chiamata Regolamento Ue 2016/679, noto anche come GDPR (General Data Protection Regulation), ancora una volta non ci siamo, non abbiamo capito con che cosa abbiamo a che fare. L'entità del problema.

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Lo stesso dicasi quando sentite che ci sono difficoltà a intercettare gli evasori fiscali, o scoprire la criminalità organizzata. Forse 100 anni fa, ma con questo livello di tecnologie no di certo! Le nostre autorità di controllo magari comprano anche i migliori supercomputer, affittano le intelligenze artificiali che costano di più, ma poi evidentemente le tengono spente, o riescono a utilizzarle solo al minimo di potenza possibile. Perché quei problemi non sono tecnologici o di teoria dell'informazione, sono politici o politico-criminali.

Facciamo ora un passo in avanti.

Tutti questi dati in tempo reale devono essere “interpretati”.

Non bastano solo i “filtri”, non sono sufficienti i database o gli algoritmi intelligenti che individuano, nel parlato di migliaia di differenti lingue e dialetti, parole chiave. Questa è la preistoria dell’informatica.

Occorre una classe di strumenti nuova.

E cerchiamo insieme di capire che cosa è successo davvero.

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Dunque, c’era una tecnologia che stava sonnecchiando nei laboratori di ricerca scientifica e tecnologica, quella nota con il nome di “reti neurali”. Si era capito già da un pezzo che la tecnica prescrittiva degli algoritmi binari, quelli impostati su vero e falso, quei diagrammi come quello che vedete qui di fianco e che molti di voi hanno usato a scuola, ci portava poco lontano. Occorrevano sistemi in grado di sviluppare una loro capacità di calcolo autonoma e indipendente da noi, cioè non interamente prevista, ma pur tuttavia controllata sempre da noi, e che evolvesse nella direzione da noi disegnata

Su un modello vagamente simile a quello del cervello umano, si sono impostate le reti neurali, cioè degli algoritmi che fossero contenuti in ciascuno dei nodi della rete, nei “neuroni digitali”, in grado di specializzarsi nell’analisi di fatti reali, e in grado di comunicare queste analisi agli altri neuroni, di influenzarli e di determinare una “risposta” dell'intero sistema, il più adeguata possibile alla situazione in cui erano poste le reti, secondo gli scopi per le quali venivano create (gli attrattori).

Le reti erano formate da tre strati principali: i neuroni in input, che analizzavano i dati in ingresso, da telecamere, da microfoni, dai sensori collegati di qualsiasi tipo essi fossero (incluso il click che noi davamo su quel certo sito, sperando che nessuno ci vedesse).

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Poi c’era la rete vera e propria, che elaborava le informazioni predigerite dai precedenti neuroni e le analizzava in vista del proprio scopo, ed infine i neuroni in output, quelli che definivano la risposta conseguente del sistema.

Queste reti venivano generate con un loro assetto iniziale, con dei genotipi, e venivano gettate in ambienti virtuali con l’ordine di ottemperare allo scopo per cui erano state progettare, di vincere la partita. Ne venivano gettate a decine nel campo da gioco. Alcune vincevano, la maggioranza perdeva, e le perdenti venivano sterminate. Mentre le vincenti venivano leggermente modificate e alterate nel loro genotipo, e venivano subito rimesse in gara. E così via, per migliaia, per milioni di generazioni, finché non si specializzavano al punto tale da vincere pochi istanti dopo essere state immesse nel terreno di gioco.

E allora si rendeva più complicata la partita, e si ricominciava tutto daccapo. Con risultati sempre più sorprendenti.

Queste reti si cibavano di informazioni, quindi: più informazioni avevano, e più queste erano complicate, e più le reti diventavano furbe, intelligenti, capaci. Esperte.

All’inizio era una ricerca, che sconfinava nel “gioco”. Anche per tematiche. Giochi seri, beninteso, ma pur sempre giochi. Gratuiti. Poi il gioco divenne ancora più serio.

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Quando la necessità di controllare qualche miliardo di esseri senzienti divenne reale, perché grattacieli venivano giù grazie a piloti suicidi guidati dal fanatismo religioso-politico, o guerre scoppiavano per il controllo di aree petrolifere, allora quella tecnologia subì uno stravolgimento.

Venne assunta nei laboratori supersegreti e venne finanziata fino all’inverosimile.

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E gli si diedero in pasto dati reali, miliardi di dati, tutte le comunicazioni, tutte le email, tutti i click su internet, anche il nostro piccolo click segreto. E questi dati stanno dentro le grandi corporate, i padroni dei social, i padroni dei provider in internet, i padroni dei dati economici e finanziari, le multinazionali mediche, etc. L'università, la pubblica riceca, non ce li ha, e non ce li avrà mai per far evolvere i propri sistemi, se non attraverso contratti con quei "Big Player" di mercato. Per fare ricerca per loro.

La ricerca pubblica quindi si sta fermando, e per proseguire deve entrare al servizio dei Microsoft, dei Facebook, dei Google e degli Amazon, solo per citarne alcuni.

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Un percorso parallelo subì l’informatica legata al controllo degli investimenti in borsa. Dove ritardare di una frazione di secondo nell’acquistare o nel vendere titoli in ascesa o in caduta libera determinava la perdita di centinaia di milioni di dollari. Non vado oltre su questo tema, ma tenetelo presente in uno spazio della vostra mente.

Così è nata l’AI, l’Intelligenza Artificiale, che è molto più artificiale e molto più intelligente di quanto non possiate mai immaginare. Ma già il fatto che sulle prime pagine dei nostri giornali di “approfondimento”, compaiano invece articoli scritti da ChatGPT — il più famoso dei gadget tirati fuori e messi a disposizione del pubblico per vari motivi, incluso quello di cominciare a far capire al pubblico stesso a che punto siamo e che cosa sia possibile fare, in maniera molto moderata e giocosa — questo fatto vi fa capire a che punto di svolta siamo dunque arrivati.

Ci siamo.

Ma qui viene il bello.

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Quantum Computer

C’è un’altra tecnologia sonnacchiosa, che stavano mettendo a punto nei laboratori di chi progetta supercomputer, quelli che dopo qualche anno diventano i nostri smartphone, e che applicava ai microchip la stessa considerazione dei creatori delle reti neurali rispetto ai rigidi algoritmi binari. L’AI, l’intelligenza artificiale, richiede un salto di capacità di calcolo. Richiede chip migliaia di volte più potenti di quelli attuali. E questo salto sta per arrivare, con i computer quantistici.

La tecnologia sta lì, a disposizione, già bella e pronta. È ancora difficile da programmare, perché la nostra mente, quella di noi umani che programmiamo le macchine, è ancora troppo binaria, si o no, vero o falso. Pochi logici hanno sviluppato sistemi molto più sofisticati che ben si adattano alla nuova capacità di calcolo quantistico.

Se questa più sofisticata energia logica e mentale venisse incorporata in Intelligenze Artificiali in grado di programmare a livello adeguato i computer quantistici, il cerchio si chiuderebbe. Un salto enorme verrebbe compiuto, e qualunque cosa noi immaginiamo possa essere possibile, lo diventerà.

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Ma già oggi posso dire, con assoluta certezza, che l’AI applicata alle scienze, alla medicina, all’individuazione di molecole e proteine come all’interpretazione di segnali radar, o di immagini che provengono dai migliaia di satelliti che ci guardano dal cielo, sta facendo con esisti sorprendenti il proprio lavoro. E stiamo già facendo il salto decisivo.

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Ora, la buona e la cattiva notizia.
La buona notizia è che questi macchinari intelligenti sono sempre controllati da noi umani, ottengono da noi gli scopi per i quali operare, e alle brutte possono sempre essere spenti, o riportati ad un livello di operatività e autodecisione inferiore.

Stiamo costruendo il lavoratore digitale perfetto, la macchina nostra schiava che ci potrà sollevare dal compito del lavoro ripetitivo e alienante. Che ci libererà dal lavoro. Carlo Marx, che ci crediate o no, lo aveva previsto correttamente. Erano i suoi mediocri seguaci ad aver fatto del suo pensiero ricco e variegato una religione ottusa e stupida prima, e poi in alcuni casi perniciosa, degenerata in un totalitarismo criminale che ha usurpato il nome che lo stesso Marx gli aveva assegnato: comunismo.

Ora potremmo rileggerlo a mente fredda e a muri crollati. E senza pregiudizio, alla ricerca di spunti progressivi.

Per comprendere che quando non ci sarà più un conflitto nella specie umana fra chi detiene soldi e potere e chi detiene solo la sua bruta forza lavoro, se tutto sarà andato bene quando raggiungeremo quel punto, avremo una umanità di persone che si riterranno tutte uguali, e che avranno il comune compito di amministrare la loro gioia e il loro tempo libero.

Nel suo ultimo libro, “Metafisica Concreta”, Massimo Cacciari riprende a questo punto l’idea di Epicuro, il filosofo dell’antica Grecia più libero del mondo, e ritira fuori la parola “ozio”. L’umanità, liberata dall’obbligo del lavoro, si troverà a fare i conti con il proprio “ozio”. Cioè sarà libera di usare la propria creatività per fare tutto ciò che vuole. Naturalmente salta il concetto di stipendio, di remunerazione, di datore di lavoro. Salta l’economia per come la conosciamo oggi.

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Ed ora la cattiva notizia.

Siccome siamo in un sistema politico medievale, e con il neoliberismo siamo ritornati ad un sistema economico strutturato in forma medievale, la nostra capacità di decisione, come umanità, si è ridotta sempre di più.

L’interdipendenza dovuta alla globalizzazione ha messo in scacco i singoli individui e le piccole comunità. L’Unione Europea, che doveva essere e rappresentare un modello di “federazione universale” dove le istanze dal basso, componendosi via via per i livelli di complessità successiva (comuni, regioni, stati nazionali, associazioni di stati, parlamento europeo) doveva “armonizzarle”, non è riuscita a farlo.

Tutto questo meraviglioso progetto è ancora al palo. Il neoliberismo rischi dai trasformare l’Unione Europea in una succursale degli Usa. Siamo a rimorchio, non all'avanguardia.

I popoli impauriti dalle continue crisi della vecchia economia e della politica in abbandono alle elezioni cercano nuovamente un appiglio nel locale, nel nazionalismo, nell’identitarismo, e cercano nuovamente un capo che li rappresenti e li governi. Non vogliono prendersi più responsabilità di un mondo che non comprendono, che è troppo complesso.

Al capo politico fa riscontro il capo tecnologico, i signori dell’AI e i grandi che controllano le tecnologie.

Le quali rischiano quindi di non andare a vantaggio dell’umanità intera, per renderla libera e felicemente oziosa. C'è chi vede nei miliardi di individui reale, uomini e donne, quasi un ostacolo alla sua completa realizzazione.

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Il filosofo Epicuro

Il massimo di tecnologia va allora coniugato con il massimo di politica attiva. Se disgiungiamo queste due linee, questo binomio, lasceremo posto all’orrore, per dirla con il colonnello Kurz in Apocalypse Now.

Ma siamo ancora in grado di decidere che fare, e di fare politica.

E allora facciamolo! Tutti insieme, finché siamo in tempo. Cambiamo rapidamente il nostro mindset. Proiettiamoci nel futuro per dominare le nuove tecnologie e non esserne dominati. Non lasciamo più la politica ai mediocri e agli inetti, come è spesso avvenuto in questi anni, se teniamo al progresso dell’umanità e a quello della nostra discendenza. Acceleriamo il salto di civiltà, non rallentiamolo.

Se ci teniamo a diventare, finalmente, “oziosi”.