SIMBOLICUS.
Uno sguardo nel pozzo

Per trattare dei simboli compiutamente non basterebbero dieci vite. Nei dieci minuti che ci vogliono per leggere questo articolo, faremo insieme un piccolo giro mirato per capire di che cosa si tratta e scorrazzare trasversalmente in un territorio il cui dominio è costituito da una fittissima rete di interconnessioni.

Due o tre di pennellate appena, due o tre simboli appena, sufficienti spero per gettare uno sguardo giù, nel profondo del pozzo simbolico.

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Il portale della Chiesa della Maddalena a Venezia

Quando due o più persone si mettono insieme per formare un gruppo, per un loro qualche scopo, state pur certi che la seconda azione che faranno è quella di emettere un simbolo di questa unione.

Quel simbolo è l’espressione del loro patto di azione, e conterrà anche una indicazione precisa sul loro scopo. Mettere in comune le forze, le energie e gli scopi è un qualcosa che trasforma ogni singolo partecipante del gruppo, trasfigurandolo e moltiplicandone le capacità e le potenzialità a dismisura. Avviene qualcosa di magico in tutto questo: possiamo dire che l’associazione fra uomini è un bene prezioso, e quindi l’attività di emettere un simbolo che la rappresenti diventa quasi una necessità.

Un simbolo può essere qualsiasi entità reale e percepibile che rimandi a qualcos’altro. Può essere un segno grafico, come un disegno o uno stemma, ma può essere anche un altro oggetto reale, come lo scettro del re o il bastone pastorale del Papa. Può essere una canzone, come negli inni nazionali, può inoltre essere una serie di gesti, come avviene nei rituali, o una serie di parole, come nelle formule magiche.

Qualunque cosa possa essere identificata dagli altri uomini come particolare e speciale, e che possa dare via alla catena di rimandi concettuali, è un simbolo. Nel quale si annida lo scopo, manifesto o meno, dell’associazione.

Già, perché il simbolo è caratterizzato proprio da questo, dall' essere un “rimando”. Cioè una base materiale sulla quale la mente umana può costruire una concatenazione, lunga e complessa a piacere, di analogie. E l’analogia è uno dei modi più potenti grazie ai quali si arriva alla conoscenza: analogia e confronto. Quasi tutto ciò che conosciamo avviene attraverso queste due attività intellettuali complementari.

Ritorniamo al simbolo, e alla sua struttura interna del rimando.

Quando viene emesso un simbolo da una organizzazione ― e questo accade fin dagli inizi della Storia della umanità ― le persone del gruppo che lo ha generato gli assegnano un valore, e si sentono rappresentate da quel simbolo. Proclamano a tutto il resto del mondo, attraverso quel simbolo, che cosa sono, quali scopi hanno, cosa voglio ottenere o diventare. E che grado di conoscenza hanno raggiunto.

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Vi è un livello di comprensione semplice ed elementare dei simboli. In genere, diventano allora segni, icone, loghi, simboli di appartenenza. Come avviene ad esempio per le squadre di calcio e per i loro tifosi. A Roma abbiamo due simboli che li rappresentano, la lupa (Roma) e l’aquila (Lazio). Altrove un c’è un toro, un drago (anche in forma di serpentone antropofago), oppure una zebra, o un somaro o ciuco, o ancora un diavolo, e così via.

Noi tutti viviamo la nostra vita quotidiana immersi nei simboli, e dai simboli veniamo silenziosamente guidati. Solo che non ce ne accorgiamo, perché solitamente non ne comprendiamo il valore, non conosciamo la catena dei rimandi che rappresentano, non ne riconosciamo la potenza e l’importanza.

Ma appena ce ne rendiamo conto, si dischiudono mondi straordinari di fronte a noi.

Quando cominciamo a studiarli e a comprenderli, impariamo ad apprezzarne il valore. Impariamo a pensare anche noi per simboli, impariamo ad usare una delle armi del pensiero più potenti ed importanti.

Fatta questa premessa, proviamo ad addentrarci insieme in alcuni aspetti di questo mondo straordinario.

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Ritorniamo ai nostri tifosi, che tutte le settimane affollano gli stadi, o i divani prospicienti gli schermi televisivi.

La lupa simbolo della squadra della Roma ci riporta alla storia di questa città

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Ai suoi albori, e a tutto ciò che questo animale ha rappresentato per secoli per la comunità che vi abitava.

Non di meno l’aquilotto, che nella storia antica dell’Urbe era simbolo dello Stato e poi lo diventerà dell’Impero, perché l’aquila era il simbolo con cui veniva rappresentato il padre degli dei, Giove, che era anche il protettore di Roma. Ogni legione dell’esercito romano aveva ricevuto in dote un’aquila come stendardo dopo la riforma di Gaio Mario, e la faceva portare in battaglia da un “aquilifer”: perderla, o cederla al nemico, era considerato il massimo del disonore. Veniva difesa dai miliziani fino alla morte.

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Ma l’aquila, con lo stesso significato, compare anche come simbolo degli Stati Uniti d’America, mentre ghermisce con uno dei suoi artigli tredici frecce (le tredici colonie di base), anch’esse simbolo ― per numero e per significato interiore ― di un certo tipo di potere e di forza. Con l’altro artiglio regge un ramoscello d’ulivo.

Segnalo che subito dopo la caduta del muro di Berlino e dell’URSS anche la Russia si è affrettata ad assumere un’aquila come simbolo nel proprio vessillo.

Il simbolo ha di bello che presenta uno strato superficiale dove i significati sono visibili ed apertamente dichiarati, ma ha anche una serie di strati nascosti, dove quei significati assumono un valore completamente diverso, e in alcuni casi finanche opposto. E, pur essendo solitamente sotto gli occhi di tutti, solo coloro che ne conoscono il significato sanno apprezzarli.

Proseguiamo la nostra scorribanda con qualche ulteriore esempio.

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Prendiamo un altro simbolo che maneggiamo tutti i giorni, senza porvi alcuna attenzione, quasi sbadatamente. Il simbolo della nostra moneta. Cosa significa il simbolo dell’Euro? Cosa significa quella “€” con le due sbarrette orizzontali?

Se andiamo a cercare su internet, leggiamo motivazioni fantasiose e inconcludenti. Soprattutto sulle due linee orizzontali, che ci ricordano le due lineette verticali del simbolo del dollaro americano.

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Addentriamoci. Le due linee del dollaro sono una stilizzazione delle colonne d’Ercole, che indicavano nel mondo antico il limite geografico da non oltrepassare, per non perdersi. Su una delle due colonne era piantato uno stendardo con la scritta “non (o nec, o anche solo) plus ultra”. Una intimazione a fermarsi. A non andare oltre. Il lungo stendardo mosso dal vento è poi diventato la “S” del dollaro, e le due colonne sono diventate le sue due barrette verticali.

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Anticamente, dove vi era un limite invalicabile, o un tabù da non profanare, veniva posto un mostro a guardia della prescrizione. Le due colonne avevano Gerione a far da guardia, un mostro con tre torsi, tre teste e sei braccia. Il ratto delle sue mandrie fu una delle fatiche più ardite di Ercole, e il suo successo ha marcato nei secoli le colonne.

Nessuno doveva oltrepassare quel limite.

Dante Alighieri, che di simboli se ne intendeva non poco, nel canto XXVI dell’Inferno fa superare quel limite proprio ad Ulisse, per inseguire la sua brama di conoscenza.

Quelle due “colonne” verticali del simbolo del dollaro, ruotate di 90 gradi, compongono ora il “glifo” dell’Euro, approvato nel 1995 dal consiglio d’Europa di Madrid, dopo che era stato per vent’anni a sonnecchiare in un cassetto di Bruxelles. Le stesse due barrette figurano nel simbolo della Lira o della Sterlina (₤), dello Yen giapponese (¥) o del Won coreano (₩), e visivamente vengono accomunate sempre più spesso ai simboli monetari.

Cosa vuol dire il fatto che le monete di mezzo mondo riportano nel loro glifo il simbolo di uno dei divieti più tassativi e temibili della nostra antica civiltà?

Il limite che separava il noto dall’ignoto, la civiltà dalla barbarie e, in ultima analisi, la vita dalla morte?

Come vedete, quando si inizia ad approfondire il significato dei simboli ci si addentra in percorsi difficili e complessi, con tutta una serie di rimandi che ci obbliga a pensarne tutte le possibili implicazioni. E non tanto perché arbitrariamente gliele attribuiamo noi, bensì perché sono le organizzazioni stesse che le hanno adottate a segnalarcele come elemento di identità, in grado di rappresentarle.

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Facciamo ora una piccola incursione nel mondo dell’arte, per vedere alcuni altri aspetti sorprendenti del simbolo. Senza avere con questo la pretesa di essere esaustivi.

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La nostra visione (e comprensione) di un simbolo ― se mi concedete questa metafora ― è paragonabile ad un fascio di raggi di luce che colpisca una superficie traslucida, come può essere un vetro o la superficie dell’acqua.

Una parte dei raggi verrà completamente riflessa, e tornerà indietro rimanendo da questa parte della superficie. Un’altra parte di questi raggi, che colpisca la superficie con un angolo adatto, la trapasserà ed andrà a riflettersi dall’altra parte, irradiandosi in un ambiente che da qui non vediamo. Per scoprire i significati della rifrazione dei raggi dall’altra parte della superficie, dovremo attraversarla anche noi per entrare in un mondo di significati diverso. Dobbiamo essere introdotti o “iniziati”. Qualcuno ci deve dare le chiavi di comprensione.

Urge un esempio per chiarire. Con annesse chiavi.

Prediamo allora come esempio due rappresentazioni pittoriche, che potete ammirare a Venezia, a poca distanza una dall’altra.

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La grande tela di Iacopo Robusti, detto "il Tintoretto" (Chiesa della Madonna dell'Orto)

La prima è una grande tela di Tintoretto.

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Il telero di Tiziano Vecellio (Accademia)

La seconda è un “telero” del grandissimo Tiziano.

La storia ufficiale ci dice che Tiziano aveva accettato di tenere a bottega Tintoretto come apprendista, per qualche giorno. Poi, viste le sue straordinarie abilità pittoriche, temendo che il ragazzo gli facesse ombra, lo aveva cacciato. Così i due erano diventati rivali, forse anche nemici. Questa la vulgata.

Prendiamo pure per buona questa teoria, ma osserviamo due dei loro dipinti, entrambi con lo stesso soggetto: si tratta della Presentazione di Maria al Tempio. Quella di Tintoretto è visibile nella chiesa della Madonna dell’Orto, quella di Tiziano la troviamo all’Accademia. La storia di Maria infante accompagnata dai Sacerdoti compare nel protovangelo di Giacomo, vale a dire in uno dei vangeli apocrifi che la Chiesa di Roma non accetta come testi sacri della propria tradizione.

La futura madre di Gesù venne dunque consegnata in tenerissima età, a tre anni, ai Sacerdoti del Tempio perché venisse educata e poi, fattasi donna e divenuta “impura”, non potendo più rimanere lì, venne data in sposa a uno fra gli uomini celibi o vedovi. Come sappiamo, toccò a Giuseppe.

Eccole lì, le due tele: in entrambe, la piccola Maria viene rappresentata mentre sale le scale.

E le scale, perdonatemi, sono il simbolo per eccellenza della conoscenza umana. Perché consentono di elevarsi, e quindi simbolicamente di ascendere nello spirito. Chi sale per le scale della conoscenza diventa progressivamente più sapiente. Al colmo delle scale, ovviamente, si trova il Gran Sacerdote, pronto ad accogliere la santa bambina. La scale di Tintoretto poi sono impreziosite da icami in oro...

Ma ora osservatele bene.

Nello sfondo delle due tele, in punti cruciali, compare un elemento spurio che non dovrebbe proprio esserci. Compare un oggetto strano ed inappropriato: una piramide. Che diamine ci fa una piramide in quel contesto? Assurdo.

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Tintoretto, particolare

Nella versione di Tintoretto, la punta della piramide compare proprio dietro Maria, ed è sormontata dal simbolo del pensiero astratto e metafisico per eccellenza, la sfera. Si intravedono dei geroglifici sulla facciata.

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Tiziano, particolare

Nella versione di Tiziano, invece, si vede la stesa piramide posta nello sfondo, a sinistra, ma purtuttavia ben visibile. I “profani” non ci faranno caso. Neanche se ne accorgono. O, seppure la vedano, passano oltre rapidamente, perché non sono in grado di attribuirle alcun valore. Non sanno cosa significhi. Non possiedono chiavi di interpretazione. Solo chi sa già cosa cercare, la vede. "Cerca, Trova", scriveva Leonardo da Vinci su un suo famoso affresco.

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Per chi sa che l’antico Egitto è stato sempre indicato da tutte le tradizioni come l’origine di conoscenze segrete e di misteri iniziatici, soprattutto legati al dio Horus, il cui occhio sinistro è uno dei simboli più noti a tutti, la presenza di quelle piramidi sulle nostre tele suggerisce molto sulle pratiche esoteriche cui i due pittori potevano essere stati iniziati.

La presenza di quei simboli può farci supporre dunque una storia diversa, e perfino un contatto più profondo e amichevole fra i due pittori, contraddicendo la vulgata.

I due simboli alludono a conoscenze e misteri che noi non conosciamo, che stanno dall’altra parte della superficie dello specchio d’acqua. A disposizione solo di chi partecipa alle organizzazioni che li hanno generati. Ma basta lo spunto che vi ho dato per comprendere la situazione simbolica.

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Ingrandimento della banconota da un dollaro

C’è un altro aspetto che dobbiamo notare. La piramide come simbolo di queste conoscenze ermetiche compare anche sulle banconote americane del dollaro. Una piramide a tredici scalini, sormontata da un occhio. È forse l’occhio divino? Oppure è quello di Horus? Ciò che compare sulle banconote di un dollaro è in realtà il retro del simbolo dell’aquila di cui abbiamo accennato poco fa, la sua parte rovescia, nascosta. I due costituiscono un tutt’uno, come dice il vessillo: “ex pluribus unum”. Ecco la versione integrale.

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Recto e Verso del sigillo degli Usa

E pensare che questi simboli sono continuamente nelle mani di milioni e milioni di persone, per le quali non significano nulla.

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Un altro dei simboli che è andato per la maggiore è quello del Sacro Graal, la coppa che raccolse il sangue di Cristo in croce, ferito al costato dalla lancia del legionario Longino. La storia fantastica dice che quel calice venne portato in Occidente da Giuseppe d’Arimatea, e che l’aver contenuto il sangue divino gli attribuisce il potere magico di dare l’immortalità a chi ne beve il contenuto, e con l’immortalità anche una certa onnipotenza. Indiana Jones ci ha salvato la vita del padre.

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Qui scopriamo un altro aspetto dei simboli e di queste conoscenze ermetiche. Le organizzazioni che li usano, cercano ― per loro tramite ― di accedere a delle energie nascoste, che giacciono in strati sottili dell’esistenza. Secondo questa loro visione, i simboli darebbero accesso a potenze in grado di moltiplicare la propria forza, e di costringerle al loro servizio grazie alla conoscenza di particolari formule magiche o di formule di accesso e controllo. Come avveniva per gli apprendisti stregoni.

Tutta la storia dei Cavalieri Templari ― i custodi di Gerusalemme che avrebbero ritrovato e conservato in qualche luogo segreto il Sacro Graal, poi reincarnatisi nei Rosacroce, e poi ancora una volta 'rinati' con le organizzazioni della Massoneria due o tre secoli fa, che se ne è dichiarata filiazione immediata ― costituì una vera e propria ossessione per il nazismo e per Adolf Hitler in particolare.

La storia ha del sorprendente, e l'editore Alessandro Orlandi, un raffinato conoscitore anche dei simboli orientali, la racconta in due puntate densissime di riferimenti culturali e di eventi a dir poco sorprendenti e sconcertanti.

Lascio dunque la parola a lui nella prima puntata e nella seconda puntata, senza che mi dilunghi oltre. Per dire come i simboli siano entrati nella vita politica anche in momenti cruciali della nostra storia.

Da ricordare sempre: un conto sono simboli e poteri sottili messi a disposizione delle comunità, che servono al loro sviluppo armonioso e allo stabilirsi di un equilibrio attivo. Altro sono invece i simboli usati da un demiurgo (oggi si direbbe: “da un uomo solo al comando”) per ottenere privilegi personali.

Nella nostra Tradizione, questa seconda via porta sempre in un burrone, o nel pozzo primigenio, come dimostrano le storie dei dittatori, quasi sempre finite tragicamente.

Per proseguire la nostra cavalcata nei simboli ritorniamo ora con un ricordo personale a Venezia, una delle città più emozionanti e più cariche di storia, anche perché ― lo ricordiamo ― la Serenissima ha costituito la più lunga forma politica al potere nella storia d’Italia: è durata ininterrottamente per oltre mille anni, determinando un vero e proprio record mondiale. Interrotta solo dal Trattato di Campoformio (17 ottobre 1797).

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Quando mi ero interessato alle due tele di Tiziano e Tintoretto, e ad altri simboli, per raccontare la storia di Venezia, mi sono recato ovviamente nella sede lagunare del Sovrano Ordine di Malta. Come molti sanno, questa istituzione deriva dall’Ordine degli Spitalieri (o Ospedalieri) che era un ordine minore a supporto dell’Ordine dei Templari, i monaci guerrieri. La cui Regola era stata scritta da S. Bernardo di Chiaravalle, che Dante poi collocherà ai piani alti del Paradiso.

I cavalieri feriti in battaglia venivano curati e rimessi in sesto dagli Spitalieri.

I Templari vennero in gran parte sterminati in una sola notte, in tutta Europa, il 13 ottobre 1307, grazie ad una direttiva congiunta del Re di Francia Filippo IV e di Papa Clemente V. Dove oggi c'è il Casino di Venezia, un tempo vi era la grande Loggia dei Templari. Il loro motto si può ancora leggere sul basamento dell'edificio.

Non è qui il caso di dilungarci su questa notte infausta per loro. Ricordiamo solo che una parte dei i loro beni e delle loro immense ricchezze vennero acquisiti dagli Spitalieri, e da questi passati infine all’Ordine di Malta, che ne proseguì la tradizione curativa e caritatevole.

Se andate oggi a Venezia, potete visitare la sede del Sovrano Ordine di Malta, che è situata proprio dove una volta c’era il Priorato Templare di Venezia. Credo che il cortile ed il porticato del chiostro siano ancora quelli originali, dell’epoca dei mitici cavalieri.

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Il chiostro templare del Sovrano Ordine di Malta a Venezia

Quello che non sapevo era che di priorati templari, a Venezia, ce n’erano due. Quello dei Maltesi è il primo.

Dopo qualche ricerca, riuscii a identificare la sede del secondo Priorato, che si trovava alle spalle di Piazza San Marco, su calle dell’Ascension. Lì c’era appunto la Chiesa dell’Ascensione, con annesso edificio del Priorato, oggi andati distrutti. E una certa “Locanda della Luna”, dove ― per un accordo coi dogi ― venivano alloggiati gli ospiti di rilievo della Serenissima, che erano posti sotto la protezione e la sicurezza delle armi Templari.

La Locanda della Luna, oggi, è diventato l’Hotel Luna-Baglioni, uno dei più famosi, che trattiene nel proprio nome un ricordo dell’antico albergo templare.

Visitando l’archivio del Sovrano Ordine di Malta, dicevo, mi sono imbattuto in una storia che ha dell’incredibile.

L’archivio contiene circa un milione di item. Ma ancora nessuno studioso vivente ha potuto metterci sopra le mani. Per un motivo molto semplice: quando, durante la Prima Guerra Mondiale, l’esercito austriaco minacciava di sfondare le linee italiane e di dilagare nella pianura padana e nella laguna veneta, lo Stato italiano decise di asportare tutte le opere d’arte e gli oggetti di pregio da Venezia e di custodirle all’interno della Banca d’Italia a Roma. Fra questi, anche il nostro archivio.

Finita la guerra, gran parte delle opere vennero restituite ai loro proprietari, o vennero ricollocate nei rispettivi luoghi di provenienza, ma non l’archivio maltese, che rimase chiuso nelle stanze di Roma.

Naturalmente, gli esponenti dell’Ordine reclamarono a più riprese le loro carte dal governo italiano, che però nicchiava.

Poco dopo lo stato italiano cadde nelle mani del regime fascista. La restituzione divenne molto più difficile. Poi intervenne la Seconda Guerra Mondiale, la questione tornò in alto mare e per un po’ non se ne parlò più. Passato qualche tempo, il Sovrano Ordine ritornò alla carica, e qui dovette vedersela con un altro e ben più temibile mostro, la burocrazia italiana.

Occorrevano accordi, scambi di credenziali, procedure, carte bollate, inventari, liste, decreti…

Quando arrivai lì era il 2018, e l’archivio con le carte dei Templari era stato appena restituito ai suoi legittimi proprietari. Dopo appena cento anni, durante i quali nessuno (e quindi nessun attuale vivente) aveva più potuto leggerle. Il loro curatore, con il cuore in subbuglio e le teche per aria, me ne parlò lungamente.

Mi disse che in uno dei registri aveva ritrovato traccia di un edificio appartenuto ai Templari, e poi passato di proprietà agli Spitalieri. Da questo librone risultava che il pittore Tintoretto aveva preso in affitto alcuni locali, dove aveva installato la sua bottega (nessuno sapeva dove si trovasse, mentre è ben nota la casa in cui abitava il pittore con la sua famiglia, molto vicino alla chiesa della Madonna dell’Orto a Cannaregio, e che riporta sulla sua facciata un... Ercole con la clava). Nel registro sono riportate tutte le ricevute dei versamenti di Tintoretto, e così potuto conoscere in anteprima il pittore dove esercitava la sua arte.

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Un tempo era qui la bottega di Tintoretto
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Detto di passaggio quella chiesa, che ospita anche altre grandi tele di Tintoretto ― in una delle quali lui stesso si ritrae insieme a Tiziano e a Veronese mentre sostiene il vello d’oro, tanto per dire ― precedentemente era dedicata a San Cristoforo. Infatti sulla sua facciata, sopra il portale incorniciato dalle due nostre belle colonne, ritroviamo un bel San Cristoforo. Che, nella vulgata popolare, è un omone che si caricò Cristo sulle spalle e gli fece attraversare a guado un fiume pieno di pericoli. Ma per altri, invece, è il simbolo di colui che porta dai metalli vili all’oro (in greco: crusos, χρυσός) della pietra filosofale, e pertanto è il protettore degli alchimisti e di tutti coloro che, dentro e fuori la chiesa, ambiscono al sapere.

Se andate a Venezia, è d'obbligo fare una visita alle due tele, alla Casa del Tintoretto dietro la Madonna dell’Orto e alla chiesa, e soprattutto fatevi guidare dai tanti libri dell’amico e veneziano d.o.c. Alberto Toso Fei, dove ogni palazzo, ogni ponte, ogni calle raccontano le storie ed i simboli che conoscono solo i locali.

E, mi raccomando, lasciate stare gli uomini soli (o le donne sole) al comando. I simboli non mentono.