Robot, i ruoli e il gender fluid

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Riprendo il finale dell’ultima puntata della rubrica: vogliamo cogliere l’occasione per coinvolgere gli artisti e inventare nuove forme estetiche? Vi chiederete: a che serve? Cambiamenti significativi sono avvenuti negli ultimi decenni nel campo di mestieri un tempo rigorosamente maschili ormai invasi dalle donne, e mestieri rigorosamente femminili, molto meno invasi dagli uomini. La robotica potrebbe assestare un colpo finale alla divisione sessuale del lavoro.

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Ormai manca poco alla diffusione di robot intelligenti che possano soddisfare le nostre necessità e prendersi cura di noi sostituendo il lavoro della casalinga. Badante, baby sitter, cameriera, cuoca, con naturalezza i progettisti danno voci e fattezze femminili ai prodotti in questione, che come le casalinghe lavorano senza remunerazione e senza lamentarsi. Può sembrare ridicolo affidare un genere a certe macchine. Perché una loro sessualizzazione diventa istintiva per gli umani che le costruiscono, che sono prevalentemente maschi? A questo punto è legittimo chiedersi: non è che l’automazione verrà usata paradossalmente per rafforzare i ruoli di genere, magari perfino arretrando, per cui il robot casalinga sarà femmina e il robot poliziotto sarà maschio?

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È suggestivo che la parola robot sia derivata dalla parola ceca robota che significa lavoro pesante, a propria volta derivata dall’antico slavo ecclesiastico robota, servitù, raramente italianizzato in roboto (ròboto è una qualsiasi macchina – più o meno antropomorfa – in grado di svolgere più o meno indipendentemente un lavoro al posto dell’uomo). In un certo senso servitù è una parola che accomuna donne e robot. Rileggendo le tre leggi della robotica di Asimov, mi è venuta la curiosità di scriverle sostituendo alla parola robot la parola donna. In Italia, fino all’avvento del nuovo diritto di famiglia, e in molti paesi del mondo tuttora, la riscrittura, che potrebbe sembrare assurda, è drammaticamente corrispondente alla realtà.

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Prima Legge. Una donna non può recar danno a un uomo e non può permettere che, a causa di un suo mancato intervento, un uomo riceva danno.

Seconda Legge. Una donna deve obbedire agli ordini impartiti dagli uomini, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.

Terza Legge. Una donna deve proteggere la propria esistenza, purché la sua autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.

Ho esagerato? Non tanto, soprattutto se guardiamo agli Stati teocratici o all’Italia degli anni Settanta.

Il robot viene fornito continuamente di informazioni dagli umani, ha accesso a tutti i dati del web e a tutti i dati che compongono le nostre identità digitali, compreso il nostro stato di salute. Il robot maschio assumerebbe comportamenti appresi dall’umano maschile e altrettanto farebbe il robot femmina. Comportamenti di genere che rispecchierebbero i nostri comportamenti di genere. Che cosa cambierebbe se il mondo si popolasse di esseri non biologici, dalle sembianze fluid gender? Come ne sarebbero influenzati i trainer?

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I problemi che si profilano all’orizzonte sono giganteschi e richiedono confronti multidisciplinari. Quali limiti etici porre alle intelligenze non biologiche? Quali sviluppi si possono prevedere con la diffusione di ulteriori nuove tecnologie? Come sfuggire allo squilibrio legato ad esempio alla proprietà della ricchezza, in grado di indirizzare la ricerca scientifica? Come sfuggire al rischio di uno squilibrio sempre maggiore tra ricchi e poveri, tra uomini e donne, tra chi è proprietario delle tecnologie, tra chi ha le competenze, i big data, il know how e una popolazione di emarginati ed esclusi, soprattutto di emarginate ed escluse?

La rivoluzione digitale potrebbe essere l’occasione per un reale cambiamento dello stato delle cose, potrebbe consentire il superamento di molte disuguaglianze economiche, culturali, sociali a partire da quelle tra uomini e donne.