La foto dell’incrocio delle piste ciclabili in corso Monforte a Milano ha fatto il giro del web. Sui social si è scatenata l’ironia e il Comune ha dovuto giustificare l’ardire geometrico della segnaletica a terra: “È a norma – hanno fatto sapere – e all’estero è prassi. Siamo stati autorizzati dal Ministero”. Chi si è cimentato in una prova su strada – come il sito alvolante.it – ha evidenziato come “pur apprezzando lo sforzo del comune di Milano per migliorare la viabilità cittadina, ci sia una certa sovrabbondanza di strisce per terra, ovvero di segnaletica orizzontale, che può generare confusione, facendo distrarre dalla guida sia dell’auto sia della bicicletta”.
La lunga marcia delle grandi città verso il ritorno massiccio della bicicletta come mezzo diffuso di trasporto è appena cominciata. E mostra tutte le sue contraddizioni, non solo a Milano. Ma il capoluogo lombardo si sta cimentando col solito impegno a battere un nuovo record, questa volta quello della politica di mobilità più insensata e irragionevole d’Europa. Fare l’elenco delle contraddizioni è tanto facile quanto inutile. Ne citiamo una per tutte: lanciare una campagna di dissuasione dall’uso dell’auto privata anche attraverso due zone a traffico limitato, una a pagamento e l’altra con divieto di accesso e circolazione per i veicoli più inquinanti, e poi lasciare che la locale azienda del trasporto pubblico aumenti il prezzo del biglietto e riduca la frequenza delle corse. Forse è perché hanno deciso di investire sulla mobilità condivisa, bici o monopattini che siano? Stando ai numeri verrebbe da escluderlo: ogni giorno nella città di Milano entrano circa 700mila mezzi su quattro ruote, le bici a disposizione col bike sharing sono 22mila in tutto (11.800 con pedalata assistita) e i monopattini poco più di 5mila.
Le buone politiche urbane di mobilità, o perlomeno quelle efficaci, hanno altri standard e altre priorità. Prendiamo il caso di Copenaghen, segnalata già nel 2021 come città modello dall’Atlante europeo della mobilità. Nella capitale danese, nota per essere una città di ciclisti, i residenti non pedalano perché sono geneticamente predisposti o perché sono più attenti all’ambiente di altri. Scelgono di muoversi in bici perché è sicuro, veloce e facile. Lo possono fare perché Copenaghen è stata progettata e costruita per muoversi in bici. La classe politica locale – animata in passato come oggi da un’idea di città vivibile, attenta ai bisogni dei suoi abitanti, sostenibile e a zero emissioni – ha investito in politiche, infrastrutture e servizi per le biciclette e i ciclisti. L’obiettivo era arrivare entro il 2025 al 50% di uso della bicicletta per tutti gli spostamenti dei lavoratori e degli studenti, ma già nel 2018 avevano raggiunto il 49. Per avere un’idea della situazione, sempre secondo l’Atlante europeo della mobilità 2021, nel 2019 nella città di Copenaghen il 28% degli spostamenti erano effettuati in bicicletta, il 32 in auto, il 21 a piedi e il 19 con mezzi pubblici. E già nel 2016 il numero di biciclette circolanti era maggiore di quello delle auto.
Uno dei temi chiave è la sicurezza dei ciclisti in città, come emerso anche dalla ricerca “Cycling around the world” effettuata da Ipsos in 28 paesi lo scorso anno. L’indagine ha rilevato un consenso internazionale sul ruolo chiave che le bici svolgono per ridurre le emissioni di carbonio e, più in generale, il traffico. Ma ha anche evidenziato che più le persone si sentono sicure e più usano la bici: in Olanda, il 45% degli intervistati usa la bici come principale mezzo di trasporto, in Italia poco più del 15 e quasi il 70% ha dichiarato che muoversi in bicicletta è troppo pericoloso nella sua città.
È per questo che dal 30 agosto 2021 a Parigi si viaggia a 30 all’ora nella maggior parte delle strade. Offrire un servizio di bike sharing efficiente e disegnare piste ciclabili non basta a garantire la sicurezza. E infatti la sindaca Anne Hidalgo ha intrapreso politiche bike friendly togliendo alle auto spazio pubblico da restituire a pedoni e ciclisti. A Parigi da tempo è poi sempre verde per le bici. Anche quando il semaforo è rosso, i ciclisti possono girare a destra o andare dritto in base alla configurazione dell’incrocio e a determinate condizioni di sicurezza. In questo modo si fluidifica la circolazione, si agevola l’uso della bicicletta e soprattutto si evitano situazioni conflittuali coi veicoli a motore.
L’Europa osserva e medita provvedimenti ad hoc. Benché il 75% degli europei viva in ambienti urbani, solo il 7,4% del totale degli spostamenti viene effettuato in media in bici. Per questo Copenaghen e diverse altre città della rete Eurocities hanno deciso di creare una task force sulla mobilità ciclistica per offrire raccomandazioni che possano venire incluse nel testo finale della Dichiarazione della Commissione Europea sulla mobilità ciclistica. Il tema è molto chiaro: come ha sottolineato Line Barfod, sindaca per le questioni tecniche e ambientali di Copenaghen, “la mancanza di sicurezza stradale impedisce a molti di prendere in considerazione l'idea di andare in bicicletta: pertanto, la protezione dei ciclisti dovrebbe essere una priorità anche nella nuova legislazione. Le attuali leggi nazionali sul traffico in molti Paesi dell'Ue ostacolano l'uso della bicicletta. La Dichiarazione rappresenta un’opportunità per aggiornare le norme nazionali sul traffico e creare una cooperazione tra le autorità locali e nazionali”.
Attenzione, se mancano le condizioni, le pedalate non decollano. Nel Regno Unito come nella verdissima Seattle o nella Cina che ha inventato il bike sharing, si comincia a registrare il disamore dei cittadini per il mezzo su due ruote o perché stufi di vedere biciclette abbandonate ovunque o perché stanchi di accettare che la lotta all’inquinamento passi solo dalle loro gambe.
Siamo tutti avvisati.