Tra le parole da imparare ad usare un posto speciale lo merita “Walkability”, letteralmente la camminabilità, ma in italiano si usa anche la formula “accessibilità pedonale”. È un caposaldo dell’urbanistica sostenibile. Nasce dall’idea che gli spazi urbani debbano essere molto di più di un incrocio di corridoi capace di favorire il flusso del maggior numero possibile di veicoli a motore. E anzi dovrebbero essere un condensato di luoghi vivibili, adatti a una grande varietà di popolazioni – ai residenti come ai lavoratori, ai turisti o a chiunque decida per un qualsiasi motivo di utilizzarli – e ovviamente raggiungibili e attraversabili a piedi o da mezzi di trasporto alternativi all’auto.
La walkability si accompagna anche al concetto di “città di 15 minuti”, un tipo di pianificazione e organizzazione urbana di grande attualità per cui anche una metropoli viene suddivisa in quartieri in cui è possibile soddisfare la grande parte delle proprie esigenze quotidiane muovendosi a piedi, al massimo in bicicletta, in meno di un quarto d’ora.
Sugli indubbi vantaggi della walkability siamo tutti d’accordo. Fa bene alle persone come all’ambiente. Con lo slogan “Your feet are zero-pollution transportation machines” (I tuoi piedi sono macchine da trasporto a zero emissioni) gli americani di walkscore.com ci ricordano che camminare contribuisce a far circolare meno auto, quindi a ridurre il livello delle emissioni dei gas di scarico. Ci dicono anche quanto mantiene in forma le persone: è stato calcolato che mediamente chi abita in quartieri “walkable” pesa dalle 6 alle 10 libbre (2,7-4,5 kg) in meno di chi abita nei quartieri dello sprawling (la metropoli più estesa) raggiungibili solo in auto. E infatti la walkability è un parametro fondamentale nella definizione del grado di vivibilità di una città, anche negli Stati Uniti.
Secondo l’organizzazione Habitat for Humanity la classifica delle città americane dove è possibile vivere senz’auto e contribuire a salvare il pianeta vede al primo posto New York seguita da San Francisco, Jersey City, Boston, Chicago, Washington D.C., Philadelphia, Minneapolis, Newark e Seattle. Sulla base dei dati forniti da Walk Score e incrociando i numeri dell’accessibilità pedonale, di quella ciclabile e del trasporto pubblico ne è risultato che New York è “The most walkable city in the US”, la città più camminabile degli Stati Uniti grazie a quartieri come Little Italy, Bowery o il Flatiron District, considerati veri paradisi dei pedoni. Ma non solo, la città conta su oltre 1.200 miglia (quasi duemila chilometri) di piste ciclabili e la più estesa rete di trasporto pubblico degli Stati Uniti composta da mezzi di superficie, metropolitane e ferrovie locali.
Ma cosa rende una città walkable? L’elenco dei fattori è lungo e complesso. Riguarda innanzi tutto la presenza di percorsi pedonali, marciapiedi e diritti vari di precedenza per i pedoni. Poi ci sono le condizioni del traffico, delle strade e i modelli di viabilità. Pesa anche l’accessibilità degli edifici. E infine conta molto la sicurezza. Sempre negli Stati Uniti esiste un programma specifico, The Walk Friendly Communities program (WFC, walkfriendly.org) che riconosce le 23 città che hanno reso prioritaria la vita dei pedoni costruendo le condizioni di sicurezza e di amenità necessarie a camminare, le monitora e le usa per promuovere politiche analoghe in altre aree urbane.
Il tema della camminabilità non è cosi banale come potrebbe sembrare. Come hanno scritto già nel 2011 Arnaldo Cecchini e Valentina Talu: "Poiché esiste un conflitto pressoché irriducibile fra le esigenze degli automobilisti e quelle dei pedoni, si può affermare che la città, di fatto, non è capace di garantire ad una parte dei suoi abitanti la possibilità di esercitare pienamente un diritto fondamentale, quello di muoversi liberamente e autonomamente".
Chi per mestiere studia la materia, come Dario Canu che ne ha fatto l’argomento della sua tesi di dottorato all’Università di Sassari, è molto chiaro: “Esiste più d’un conflitto tra pedoni e automobilisti, l’auto genera congestione, crea confusione, riduce l’efficacia del trasporto pubblico, riduce la sicurezza dei pedoni, produce inquinamento atmosferico, acustico ed estetico, consuma il suolo riducendo lo spazio per i pedoni. L’auto genera perciò una situazione di iniquità tra l’automobilista e il pedone, quest’ultimo è succube degli effetti negativi generati dalle auto pur non contribuendo a generali. L’urbanistica deve promuovere l’uguaglianza tra i cittadini fornendo a tutti gli abitanti gli stessi diritti di accesso ed uso dello spazio, dei suoi servizi e delle opportunità urbane”.
Evviva! Sembra un manifesto della rivoluzione pedestre. Ma manca ancora un pezzo che non sembra essere chiaro prima di tutto ai sindaci e agli amministratori. La sicurezza e l’agio dei pedoni non sono minati soltanto dalle auto in movimento o in sosta. In molte città del mondo assistiamo alla crescita di un preoccupante conflitto. I già scarsi spazi pedonali devono infatti essere divisi con arroganti ciclisti convinti che il marciapiede sia legittimamente percorribile su due ruote e incuranti di come parcheggiano la propria bici (di proprietà o noleggiata che sia) e ora anche con “monopattinisti”, tutti particolarmente spericolati e cafoni.
I conflitti della micromobilità sono allo studio in Europa come in America o in Australia. Il fenomeno più preoccupante è la diffusione dei monopattini elettrici e delle bici elettriche. L’obiettivo è cercare forme di regolazione in grado di proteggere, non solo i pedoni, da incidenti e lesioni causati dall’eccessiva velocità, dal peso dei veicoli, dal loro uso in aree vietate e dall’imprudenza dei loro conducenti. Ma in fatto di norme ogni paese e ogni città continua a fare a modo suo. E così prosegue la guerra tra poveri, anche se di mezzi di trasporto, che ovviamente vede i pedoni perdenti tra i perdenti.