AFRICA, GIOVANE E RICCA
CON IL TEMPO
DALLA SUA PARTE

L’Africa interessa. Se ne parla molto. E se in Italia siamo concentrati sullo scherzo telefonico alla presidente del consiglio Meloni ordito da due comici russi che si sono finti il presidente dell’Unione africana Moussa Faki, nel resto del mondo si fa sul serio. Il continente africano rappresenta il futuro del pianeta, l’unica regione realmente in grado di spostare gli equilibri politici mondiali nei prossimi decenni oltre che lo scrigno che custodisce le chiavi dello sviluppo di tutti gli altri continenti. Il New York Times ha deciso di dedicare una serie di approfondimenti proprio al tema dell’esplosione demografica africana con tutto ciò che ne consegue. La prima puntata – dal titolo “The World Is Becoming More African” (il mondo sta diventando più africano) – è apparsa lo scorso 28 ottobre presentata attraverso alcuni fatti chiave: “Mentre il mondo invecchia, l’Africa fiorisce di giovani. Entro il 2050, un abitante su quattro del pianeta sarà africano, un cambiamento profondo che si sta già iniziando a registrare. Puoi sentirlo nella musica che il mondo ascolta. Puoi vederlo nei film, nella moda e nella politica. Lo si percepisce nella spinta imprenditoriale dei giovani africani, e nella corsa al lavoro. Lo si può vedere nelle ondate di giovani che rischiano tutti di migrare e nei dilemmi di coloro che rimangono”.

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L’Italia, che è un avamposto dei flussi migratori africani, potrebbe porsi domande più utili, smettere di concentrarsi sugli scafisti e cominciare a capire che cosa succede a sud dei territori nordafricani da cui partono le barche della speranza, nei paesi subsahariani dove sta cominciando il cosiddetto “youthquake”, il sisma della gioventù. Anche solo per smettere di fissare il dito e spostare invece lo sguardo sulla luna. Che è piena, grande e perfettamente visibile. Ecco alcune cose da sapere. Il continente africano ospita una grande varietà di culture e, al momento, circa 54 paesi che si estendono su un’area più vasta di Cina, Europa e Stati Uniti messi insieme. Storicamente caratterizzato da una bassa densità demografica, con l’eccezione di pochi territori, negli ultimi decenni ha visto un significativo incremento della popolazione passata dai circa 230 milioni di individui censiti nel 1950, agli attuali 1,4 miliardi di abitanti. Col risultato di arrivare a rappresentare il 17,5% della popolazione mondiale (era il 9% degli anni Cinquanta). Un simile salto ha prodotto un problema molto serio nella capacità dell’Africa di produrre risorse alimentari sufficienti. Nonostante le potenzialità di cui dispongono quasi tutti i Paesi in termini di terra e acqua, la FAO ha calcolato che in Africa si produce soltanto il 3,6% del grano a livello mondiale, il 7,5% del mais, il 4,3% di riso e, peraltro, solo Egitto, Etiopia e Nigeria sono in grado di produrne quote significative. Risultato? La media di individui malnutriti nell’intero continente è di uno su cinque (più del doppio della media mondiale), ma in Africa centrale più del 30% della popolazione non raggiunge sufficienti livelli alimentari.

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Sebbene dei venti Paesi con i livelli di indice di sviluppo umano (ISU/HDI) più bassi al mondo, diciotto stiano in Africa (dati United Nations Development Programme), il New York Times ha evidenziato che ogni anno all’economia africana si aggiungono dieci milioni di nuovi consumatori che rappresentano un mercato vergine per settori da noi ormai maturi e consumati come i cosmetici, gli alimenti biologici e persino lo champagne (solo il gruppo Hilton conta di aprire 65 nuovi hotel nel continente entro i prossimi cinque anni). E spiega anche che la popolazione di milionari ha il più alto tasso di crescita a livello mondiale. Il Credit Suisse ha fatto pure una stima precisa: raddoppierà raggiungendo i 768mila individui entro il 2027. Ma come ha scritto Valeria Fraquelli su geopolitica.info: “Non è facile capire l’Africa con Stati che da un giorno all’altro possono dividersi, cambiare nome, spariscono per poi ricomparire con un altro nome, un altro inno e tutta una storia da riscrivere nel bene o nel male. […] L’unica cosa certa dell’Africa sono proprio le sue straordinarie risorse naturali che includono petrolio, diamanti, terre rare molto utili per costruire prodotti ad alta tecnologia come il coltan, minerale che è presente in tutti i nostri smartphone. Anche l’uranio utilizzato in modo particolare dalla Francia per tenere in attività le sue centrali nucleari viene dall’Africa e tiene le ex colonie sempre legate a quella che un tempo era la madrepatria”.

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Inutile dire che le enormi risorse naturali dell’Africa in un mondo normale rappresenterebbero la grande ricchezza delle nazioni africane con benefici per le economie e i cittadini, ma sappiamo come vanno le cose nei fatti. Lo sfruttamento devasta i territori, arricchisce pochi ed è a vantaggio di stati stranieri extracontinentali. Solo per fare un esempio, il WWF ha denunciato come l’estrazione del coltan all’interno del parco nazionale di Kahuzi-Biega e della riserva naturale di Okapi nella Repubblica democratica del Congo abbia provocato la scomparsa della quasi totalità dei 3.600 elefanti censiti nel 1996 e dimezzato la popolazione dei Gorilla, 220 contro i 440 originari. Alcuni Paesi africani ospitano la gran parte delle riserve di minerali di fondamentale importanza per le filiere produttive internazionali. Si calcola il 40% delle riserve mondiali di oro e il 90% di cromo e platino. La sola Repubblica Democratica del Congo, uno dei Paesi più ricchi di materie prime al mondo, produce oltre il 60% del cobalto e, insieme al vicino Ruanda, una quota rilevante di tantalite, entrambi componenti strategici per l’industria dei microchip. Il 60% dell’estrazione mondiale di manganese e bauxite fa invece capo alla Guinea.

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(Brazzaville)

Ma il tema di estrema attualità su cui si stanno concentrando gli interessi di tutti i paesi del mondo sono le terre rare. Secondo Alessio Bruni del centro studi AMIStaDeS “questo decennio vedrà il continente nero come il principale campo di battaglia per il controllo delle terre rare e, conseguentemente, per la supremazia economica”. L’Africa sub-sahariana e l’Africa Australe – in particolare Namibia, Sudafrica, Kenya, Madagascar, Malawi, Mozambico, Tanzania, Zambia e Burundi sono le due regioni potenzialmente più importanti perché non ancora sfruttate in fatto di terre rare. I costi irrisori della manodopera e una regolamentazione quasi inesistente del lavoro e delle economie in genere hanno favorito le ingerenze esterne, soprattutto di cinesi e russi. Ma in corsa ci sono anche altri paesi, dagli Stati Uniti all’Europa, fino al Giappone e all’Australia. L’obiettivo è lo stesso per tutti: il controllo delle miniere e dei nodi strategici delle terre rare, le risorse più desiderate perché necessarie a raggiungere gli obiettivi ambientali e della transizione energetica. Quindi gli africani sono tanti, sono giovani, possiedono ricchezze immense. Potrebbero scherzarci cantandoci ogni giorno “Time is on my side”. Per ora credono di avere ancora bisogno del vecchio mondo. Ma è proprio vero. Il tempo è dalla loro parte. Con buona pace degli scafisti, di Salvini e di tutti quelli che ancora hanno il coraggio di dire che “vengono a rubarci il lavoro”.

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