Nel 2016 fece un certo clamore la notizia di una ragazza austriaca che appena diventata maggiorenne decise di portare in tribunale entrambi i genitori, rei di averla esposta al pubblico ludibrio pubblicando in rete oltre 500 sue foto senza avere avuto il suo permesso. La dichiarazione rilasciata per l’occasione al giornale “The Local Austria” non lasciava alcun dubbio sul suo stato d’animo: “Non conoscono vergogna, non hanno limiti: non gli importa se quelle immagini mi ritraggono seduta sul water o nuda in una culla. Hanno fotografato ogni mio momento e l’hanno reso pubblico. Sono stanca di non essere presa sul serio”.
Un paio di anni dopo è stato un caso italiano ad accendere di nuovo i riflettori sul fenomeno: il 23 dicembre 2017, un giudice del Tribunale di Roma non solo ha condannato una madre a togliere dalla rete tutte le immagini del figlio sedicenne, ma l’ha pure costretta a versare al ragazzo diecimila euro in caso di mancato rispetto della sentenza.
Il fenomeno è noto da tempo col nome di Sharenting, parola di invenzione americana nata dall’unione dei termini “share” (condividere) e “parenting” (genitorialità). E non è certamente da annoverare tra le novità del settore moda e costume, più saggio ascriverlo al comparto allarmi sociali, soprattutto nella sua versione più spinta, chiamata Over-sharenting, che si riferisce alla costante sovraesposizione online di bambine e bambini. Come riportato sul sito dell’organizzazione umanitaria Save the Children, “l’eccessiva divulgazione di informazioni non coinvolge solo i genitori, ma anche parenti e amici, amplificando l’impatto della diffusione e la perdita (anche nel tempo) di controllo sui contenuti, caratteristici dei social media: si tratta di tracce digitali, su cui i bambini non hanno controllo, ma che vanno a sedimentarsi in rete diventando parte dell’identità digitale dei ragazzi”.
È proprio questo il problema. Preoccuparsi di proteggere i contenuti riguardanti minori dal rischio di abusi non basta. Certo, evitare che se ne impossessino maniaci al fine di diffondere materiale pedopornografico ci si augura tutti che sia il minimo sindacale per ogni genitore. Ma non è solo questo il problema. Come ha spiegato in un editoriale su New York Times l’esperta di scuola ed educazione Anya Kamenetz, “la verità non è così semplice. Smartphone e social media possono infatti in qualche modo trasformare l’esperienza dell’infanzia e dell’adolescenza. Ma la verità difficile (per molti adulti) è che molti degli effetti della tecnologia sui bambini hanno meno a che fare con il tempo trascorso davanti allo schermo di quanto non ne abbiano con le decisioni prese dagli adulti, molte delle quali mettono la privacy dei bambini a grande rischio”. E ha precisato che “in primo luogo c’è la sorveglianza. I bambini sono oggi sotto intenso controllo già in giovane età, da parte di piattaforme e inserzionisti pubblicitari, ma anche di genitori e altre figure d’autorità. Poi c’è lo sharenting. Oggi, la presenza sui social media di molti bambini inizia con un’ecografia, postata ovviamente senza consenso. Uno studio svolto in Gran Bretagna ha scoperto che mediamente quasi 1.500 immagini di un bambino vengono messe online entro il suo quinto compleanno. I genitori ottengono un sacco di gratificazione dal raccontare storie dei loro bambini online. Gli inserzionisti, e le piattaforme come Pinterest e Instagram, ottengono ancora di più. Le foto dei bambini chiamano click. ‘Le mamme millenials sono il Santo Graal’, mi ha detto un esperto di marketing”.
Ma le mamme e i papà non demordono. Anche di fronte alle parole dei massimi esperti dei più svariati settori: psicologi dell’infanzia, esperti di comunicazione, addetti marketing, dirigenti scolastici, pediatri, giudici minorili… Niente da fare. Il potere di attrazione di Instagram e TikTok è ben più forte. E allora qualche autorità corre ai ripari. Come il parlamento francese, che da quest’estate ha iniziato a dibattere una proposta di legge contro il sharenting visto che secondo l’Observatoire de la Parentalité de l’Éducation numérique, il 53% dei genitori francesi ha condiviso contenuti riguardanti il proprio figlio e il 43% l’avrebbe fatto sin dalla sua nascita.
È la tragedia di queste ultime generazioni. Se la smania dei genitori di ostentare le creature a noi poteva costare al massimo tragici imbarazzi davanti ai parenti recitando la poesia di Natale e poche testimonianze fotografiche trattenute nelle pagine di vecchi album nascosti in cassetti profondi, a queste bambine e bambini può arrivare a costare milioni di visualizzazioni di video e immagini che rimarranno lì per sempre. Alla portata di chiunque. Rutti, puzzette, svarioni grammaticali e ogni genere di umana fragilità facilmente consultabili (e riproducibili) da compagni di classe, professori, selezionatori del personale, datori di lavoro, padroni di casa e soprattutto “oggetti del desiderio”, potenziali partner a cui si dedicano un sacco di risorse ed energie per presentarsi al meglio e rendersi seducenti. Ma poi ci pensano la mamma e il papà…