Quando il capitano James Cook giunse a Tonga nel 1777 registrò per la prima volta un termine destinato a entrare nel nostro linguaggio, nella nostra cultura e giungere fino ai nostri giorni. Era la parola “Tapu” (o tabu), rappresentava la sintesi di quel complesso di proibizioni che circondavano i capi e i sacerdoti polinesiani. Una sola parola per indicare persone degne di nota e rispetto ma pure oggetti e luoghi contaminati e impuri. Un termine inesistente nelle culture occidentali che infatti lo fecero immediatamente loro (taboo in inglese, tabou in francese, tabù in italiano) per identificare qualcosa di proibito, di intoccabile, di innominabile con una certa valenza di sacralità.
Ecco, oggi nel pur vivace dibattito sulle reali condizioni della città di Milano quest’aura magico-religiosa che rende qualcosa proibito è riservata all’inquinamento dell’aria. Anche solo parlarne è complicato. Sembra quasi di commettere vilipendio. Riferendosi a Milano ci si può scagliare liberamente contro il costo della vita, contro il caro affitti, si può accennare ai mezzi pubblici che non funzionano più come una volta, lamentarsi del traffico, insultare sindaco e giunta per la loro inefficienza, si può perfino dire qualcosa contro gli “amici immobiliaristi”, ma di inquinamento no, non si parla. La qualità dell’aria è tabù. È concesso al massimo segnalare livelli record di inquinamento (a Milano piace battere primati), ma riferendosi sempre e soltanto a cause metereologiche: la nebbia, l’assenza di vento, la coltre di nubi, le temperature straordinarie…
Se insisti e provi ad affrontare l’argomento, non riesci nemmeno a scatenare un dibattito. Persino gli hater stanno al loro posto sui social, al massimo risponde qualcuno col ditino alzato per chiedere se i dati di cui si parla sono verificati, se le mappe mostrate sono reali, se gli istituti che studiano il problema sono davvero indipendenti… L’anno scorso, per esempio, c’è stata la corsa a smentire la notizia rimbalzata su qualche incauto media che Milano fosse la terza città più inquinata al mondo. Indicativo del clima, il titolo dell’articolo comparso su wired.it: “Davvero Milano è la terza città più inquinata al mondo?” seguito subito dal sommario-spiegazione: “In realtà l’inglorioso riconoscimento si riferisce alla classifica di un’azienda che non si basa su metodi scientifici riconosciuti, e a un solo giorno. Ciò non toglie che l’aria in città resti di pessima qualità, ma i dati per affrontare il problema sono altri”.
Bene. E allora vediamoli questi dati. Il sito ilmeteo.it (e la relativa app), oltre alle condizioni metereologiche, segnala quotidianamente la qualità dell’aria basandosi su diversi parametri che in sintesi evidenziano la presenza nell’aria dei seguenti inquinanti: ozono, biossido d’azoto, biossido di zolfo, monossido di carbonio, PM 10, PM 2.5. La scala utilizzata per restituire i risultati va dall’azzurro di Ottima al viola di Pessima. Milano in genere viaggia sui toni dell’arancio, del rosso e del viola. Domenica scorsa (il 28 gennaio), alle 16 ha toccato un picco positivo: un bel giallo chiaro di Mediocre per ripiegare subito al giallo acceso di Scadente (ore 17) e marciare serena verso l’arancione di Inquinata (ore 18).
L’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) nel rapporto 2023 sullo stato della qualità dell’aria in Europa conferma che l’inquinamento dell’aria resta il principale fattore di rischio per la salute. Causa malattie cardiovascolari e respiratorie che portano alla perdita di anni di vita sani e, nei casi peggiori, a morti prevenibili. Il rapporto si basa sullo stato delle concentrazioni di inquinanti nell’aria rilevate nel 2021 e 2022 messi in relazione con gli standard di qualità previsti dall’Unione europea e dalle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità e dimostra come nonostante costanti miglioramenti i superamenti dei livelli di guardia sono comuni in tutta l'UE, con concentrazioni ben al di sopra delle ultime raccomandazioni dell'OMS.
In base a questi stessi dati la situazione italiana è sconfortante: delle 253mila persone che hanno perso la vita in Europa nel 2021 a causa dell’esposizione a livelli eccessivi di particolato fine (PM2.5), 46.800 vivono nel nostro Paese. E se ancora non appare un numero mostruoso, possiamo aggiungere gli 11.300 morti causati dal biossido di azoto e i 5.300 dall’ozono. Ovviamente non si tratta di esalazioni che avvelenano istantaneamente. Sono fattori che provocano e aggravano patologie serie di cui si finisce per morire. Per esempio le sei malattie specifiche dell’esposizione al PM2.5 sono la cardiopatia ischemica, l’ictus, il diabete mellito, la broncopneumopatia cronica ostruttiva, il cancro ai polmoni e l’asma.
In generale l’Italia paga un prezzo pesantissimo ed è in testa alla classifica europea anche in termini di anni di vita sana persi a causa dell’esposizione al particolato fine. Sono ben 2.791 per i bambini e gli adolescenti che soffrono d’asma, 65.153 per chi ha una malattia polmonare ostruttiva cronica, 99.620 per i malati di diabete mellito, 79.109 per i cardiopatici, 42.106 per i malati di tumori al polmone. L’impatto del biossido di azoto, sempre calcolato in anni di vita sana persi, è invece il seguente: 10.996 per chi soffre d’asma, 47.711 per chi è affetto da diabete mellito e 28.694 per chi ha subito un ictus.
Di fronte a questi numeri non c’è molto di più da dire. Le pessime condizioni dell’aria a Milano e provincia sono note a tutti, così come sono noti i rimedi. Sindaco e giunta in materia di salute pubblica e salvaguardia ambientale hanno molto potere e molte competenze. Soprattutto dopo la riforma del titolo V della Costituzione. Non ci sono alibi. Milano deve solo abbattere l’ultimo tabù.