Anche New York ha deciso di dichiarare guerra al traffico automobilistico. L’annuncio è comparso da un po’ sul sito ufficiale della città portal.311.nyc.gov: il Central Business District (CBD) a partire dal prossimo giugno introdurrà un pedaggio per poter accedere in auto nelle zone più trafficate di Manhattan. Una campagna di informazione della durata di due mesi precederà la fase di prova di 30 giorni che servirà a mettere a punto il sistema. Poi si comincerà a pagare per circolare a sud della 60ma Strada. Per le auto ci vorranno 15 dollari al giorno. L’obiettivo è ridurre il traffico e i tempi di percorrenza, rendere le strade più sicure e l’aria più pulita, migliorare la qualità della vita. La città dovrebbe incassare circa un miliardo di dollari l’anno che verranno usati per potenziare il trasporto pubblico e migliorare la viabilità. Neanche da dire, il provvedimento ha scaldato gli animi, scatenato battaglie politiche e legali e vede crescere il numero di scettici e di oppositori man mano che ci si avvicina alla data fatidica.
Anche per questo il New York Times ha voluto capire cosa è successo in altre città dove da tempo sono stati introdotti provvedimenti simili. Le giornaliste Winnie Hu e Ana Ley hanno perciò confrontato i casi di Stoccolma, Londra e Singapore per capire quale impatto potrebbe avere davvero il congestion pricing a Manhattan. Nelle tre città il provvedimento – è scritto nell’articolo – “si è mostrato efficace nel ridurre il traffico, evitare la congestione e ridurre le emissioni inquinanti provenienti dai veicoli e al contempo raccogliere milioni di euro per le casse del governo. Ha anche incoraggiato lo sviluppo di pratiche alternative all’auto, compresi nuovi mezzi pubblici e piste ciclabili”. Ma nel pezzo si sottolinea anche che in nessuna delle tre città è stato facile e le tariffe, che continuano ad alzarsi, continuano anche a generare malumori tra i cittadini, tra i politici e nel mondo delle imprese.
Ma se Stoccolma dal 2006 a oggi ha visto cambiare anche la mentalità dei cittadini, che hanno confermato l’introduzione permanente del pedaggio attraverso un referendum successivo, Londra deve gestire problemi diversi. Dopo l’introduzione del pedaggio nel 2003, la mobilità è molto migliorata con una riduzione del traffico veicolare fino al 30 per cento. Ma nel tempo la congestione è tornata. Strade rese più strette dalle nuove piste ciclabili hanno visto aumentare la presenza di taxi, vetture di Uber o di altre piattaforme oltre che furgoni per le consegne man mano che l’ecommerce cresceva. E nonostante la tariffa nel tempo sia passata da 5 sterline al giorno alle attuali 17,50 (15 pagando in anticipo). La spiegazione del fenomeno il New York Times l’ha chiesta a David Metz, professore onorario presso il Center for Transport Studies dell’University College di Londra: “L’esperienza di Londra dimostra che riducendo il traffico e i ritardi si creano condizioni stradali più favorevoli che, a loro volta, attirano di nuovo auto. In questo senso, la congestione è essenzialmente in grado di auto-regolarsi”. Non solo, “in una città prospera come Londra con un sacco di utenti dal mondo del business servirebbe una tariffa molto alta per ottenere una riduzione a lungo termine”.
Che la faccenda sia complessa lo dimostra il caso di Singapore, città stato che la congestion charge l’ha introdotta poco dopo il 1970 e da allora continua a sperimentare e modificare, imparando nel tempo a capire come raggiungere gli obiettivi. Il sistema attuale è molto articolato e non prevede solo il pedaggio. Le misure sono diverse e comprendono per esempio “abbonamenti” per veicoli privati sotto forma di certificati di diritto che vanno acquistati prima di comperare un’auto. A verificare pagamenti, ingressi e percorsi c’è poi un sistema di controllo satellitare che potenzialmente potrebbe però verificare molto altro. Visto da questa prospettiva, anche il dibattito milanese sull’area C, l’area B, la città a 30 all'ora, le nuove ciclabili, le isole pedonali potrebbe avere un respiro diverso. La verità è che a Milano, come in tutta Italia, circolano ancora troppe auto. L’Italia è il secondo paese europeo con il maggior numero di automobili per abitante (670 auto ogni mille abitanti).
Peggio di noi fa solo il Lussemburgo (682). Molto meglio la Germania (580), la Francia (567) e la Spagna (521). Certo Milano è tra le città più virtuose grazie ad automobili mediamente più recenti e meno inquinanti, ma i numeri sono mostruosi e restano costanti. Secondo i dati dell’Automobile Club d’Italia nel 2021 il parco circolante era costituito da 678.839 autovetture e rispetto all’anno precedente aveva registrato un calo di oltre 48.200 vetture di vecchia generazione (da Euro 0 a 4), che significava il 45,2% del totale circolante che nel 2019 era del 51,4% (con la media nazionale al 52,9%). Però era aumentato di quasi 48.500 unità il numero di auto con classe di emissione più recente (Euro 6), passando dal 28,8% del 2019 al 36,4% del 2021. In termini di ore perse bloccati nel traffico, poi, Milano vanta una media di 64 ore ogni anno (8 interi giorni lavorativi), più vicino alle 82 di Palermo che alle 32 di Brescia.
Eppure pochi mesi fa si sono riaccese le polemiche sull’Area B (la ZTL che copre oltre il 70% della superficie della città) e sull’Area C (il centro a pagamento). Amat (Agenzia mobilità ambiente territorio) nel rapporto del dicembre 2023 dimostrava come in città fossero entrate meno auto inquinanti dalle 7.30 alle 19.30 da lunedì a venerdì, ossia quando il sistema di telecamere è attivo per sanzionare con una multa da 95 euro chi accede senza permesso. Rispetto al dicembre 2022, gli ingressi in Area B e C erano scesi rispettivamente del 10% e del 7%. Un risultato positivo, secondo il Comune, che dimostrava l’efficacia dei provvedimenti. Meno entusiasta il consigliere di maggioranza Carlo Monguzzi che ha invece dimostrato il contrario: non solo la riduzione appariva comunque lieve e insufficiente, ma, numeri alla mano, prima delle 7.30 e dopo le 19.30, erano circa 200mila le auto che entravano nell’Area B e circa 50mila nell’Area C. Ironico il suo commento – “Il Comune forse pensa che in questi orari le auto non inquinino” – ma tempestiva la proposta di modifica del provvedimento presentata insieme ad altri due consiglieri di maggioranza (Enrico Fedrighini e Rosario Pantaleo) per allungare gli orari di chiusura.
Come non ripensare al caso Singapore? Certo quel metodo è applicabile giusto in una realtà non esattamente definibile come democratica. Tuttavia proprio i 50 anni di esperienza in una città stato abituata a imporre regole ferree, ci dimostrano come provvedimenti simili non possano essere semplicemente introdotti, ma abbiano invece bisogno di monitoraggi costanti e conseguenti aggiustamenti. Se lo scopo è la riduzione del traffico e del numero di auto circolanti, forza Milano! E un po’ di coraggio, perché siamo ancora molto lontani dagli obiettivi.