“Te ‘nzerro dint’ ‘o Serraglio!” è un’antica espressione napoletana che significa “Ti chiudo nel Serraglio!”. L’espressione è caduta in disuso, ma il serraglio a cui fa riferimento ancora c’è, ed è quel faraonico Real Albergo dei Poveri che domina con la sua facciata di 380 metri di lunghezza la piazza Carlo III a Napoli.
Dal 1751, anno in cui fu posata la prima pietra, ai giorni nostri, questo edificio (che pur non completato rispetto al progetto originale di Ferdinando Fuga si pregia di essere uno dei più grandi di Europa) ha conosciuto una lunga e articolata storia, diverse destinazioni d’uso e poi, dopo il terremoto del 1980, la chiusura.
Questi oltre quarant’anni in cui si sono avvicendati progetti e finanziamenti, interventi di parziale recupero e saltuarie aperture di micro-porzioni di spazi, non solo hanno fatto decadere l’effetto minaccioso del modo di dire ma hanno nutrito la curiosità in molte generazioni di Napoletani di entrare in quel “Serraglio” per vederne coi loro occhi la favoleggiata immensità e la relativa decadenza.
E infatti, in occasione dell’apertura straordinaria dell’Albergo dei Poveri per le Giornate d’Autunno FAI, sono stati 5.600 i visitatori che si sono pazientemente messi in fila per varcare la soglia del mastodontico edificio.
Il progetto originale di Ferdinando Fuga rispondeva all’esigenza di realizzare un ospizio dove accogliere i poveri di tutto il Regno di Napoli, stimati in 8.000 persone. In quegli stessi anni in cui Carlo III di Borbone canalizzava forti investimenti per la Reggia di Capodimonte e per quella di Caserta, l’Albergo dei Poveri era un intervento pubblico che doveva dare un tangibile segno della benevolenza del sovrano, arrivato sul trono nel 1734, e anche eliminare o contenere i disordini provocati dagli strati meno abbienti della popolazione.
E se l’architetto Fuga si fece un po’ prendere la mano, progettando un monumento unico per impianto architettonico, dimensione e articolazione volumetrica, è pur vero che la sua creatura costituisce per forma e dimensione un esempio ineguagliabile della magnificenza civile del 1700.
Dietro la facciata inizialmente prevista di 600 metri di lunghezza, dovevano sorgere cinque grandi cortili quadrati di cui quello centrale avrebbe dovuto ospitare un’immensa chiesa a sei navate, coperta da un’alta cupola a pianta circolare, mentre gli altri quattro erano destinati a donne, uomini, ragazzi e ragazze, tutti rigorosamente separati.
Ma a lavori in corso, nel 1782, il progettista morì e altri architetti, tra cui Carlo Vanvitelli, ne continuarono l’opera. Dopo gli eventi della Rivoluzione del 1799 e dopo il “decennio francese”, ci fu il ritorno dei Borbone con Ferdinando IV, che volle dare autonomia e funzionalità all’Ospizio, convertendolo in un polo manifatturiero. Sempre con l’obiettivo di istruire i poveri dotandoli di un mestiere con cui immettersi nella vita lavorativa, nel 1816 si diede inizio ai lavori finali, completando le parti frontali e laterali (140 metri la larghezza dell’edificio), e finalmente nel 1826 si giunse all’attuale configurazione: tre corti invece di cinque e una facciata di 380 metri anziché 600.
L’ambizioso progetto non ebbe però mai conclusione; pur nella sua vastità l’edificio è incompiuto essendo stati realizzati i tre quinti dell’impianto planimetrico di progetto e circa i due quinti di quello volumetrico.
Nei quasi 250 anni d’uso, ha visto svolgersi essenzialmente attività di formazione (scuola, musica, artigianato) e assistenza (religiosa, sociale, medica): accoglienza e istruzione a orfani e a indigenti, carcere, scuola di musica, scuola per sordomuti, centro rieducativo per minorenni, tribunale per i minori, archivio.
Quest’edificio “concepito con romana grandiosità, cinto di mura spesse e gigantesche, fabbricato, come una piccola città chiusa, a un lembo estremo dell'immensa Napoli romorosa” (Salvatore Di Giacomo) è entrato a far parte del patrimonio del Comune di Napoli dal 1981, e dal 1999 è stato istituito il Progetto di recupero del Real Albergo dei Poveri che ha consentito la messa in sicurezza di alcuni ambienti e aree che vengono destinate in modo fisso o saltuario a uffici ed eventi. Diversi anni fa un’edizione del Napoli Teatro Festival e una mostra sui Dinosauri, quest’estate le settimane del Gay Pride e del Napoli Bike Festival, la scorsa primavera il quartier generale di Paolo Sorrentino per l’organizzazione dei casting dell’ultimo suo film in lavorazione. E poi c’è l’ala delle cosiddette “grotte” destinata da quasi 50 anni all’Associazione Sportiva Kodokan che lavora a favore del territorio, e l’ala occupata come abitazione da altrettanti decenni da famiglie bisognose.
L’enormità degli spazi, l’onerosità degli interventi e la promiscuità delle destinazioni d’uso non hanno certo facilitato la gestione della struttura, ma sembra di essere finalmente arrivati alla svolta con l’imponente finanziamento (100 milioni di euro) che il Ministero della Cultura ha assegnato all’Albergo dei Poveri dai fondi del PNRR. I lavori di recupero sono stati anche assegnati nello scorso aprile e dovrebbero iniziare a breve per durare circa tre anni.
L’obiettivo è rendere l’Albergo dei Poveri un “centro culturale polifunzionale” con particolare attenzione al quartiere e ai giovani. Tra i vari progetti di utilizzo degli spazi sono previste le seconde sedi per il non lontano Museo Archeologico Nazionale, i cui depositi scoppiano di opere, e per la Biblioteca Nazionale, con grandi sale di lettura e una sala conferenze da 1000 posti. E anche la Federico II, che si appresta a festeggiare il suo 800esimo compleanno, avrà qui una scuola di specializzazione sul modello di quanto già realizzato nel quartiere di San Giovanni a Teduccio.
Certo non è facile immaginare che finalmente torni a scorrere la vita tra queste monumentali rovine che al visitatore restituiscono il senso della magnificenza del luogo ma anche un forte straniamento: sembra tutto veramente troppo grande, e anche senza essere degli addetti ai lavori si capisce che l’impresa di recupero è a dir poco titanica.
Ma finalmente il progetto c’è e i soldi pure, e se la Giunta Manfredi riuscirà a riaprire l’Albergo dei Poveri passerà alla storia come quella di Bassolino che trent’anni fa iniziò la pedonalizzazione di vaste aree del centro storico e aprì le prime fermate della metropolitana.
Per quell’abuso di frasi a effetto così in voga nella comunicazione attuale, in molti hanno parlato di “Louvre napoletano”. Scaramanticamente preferiremmo continuare a chiamarlo Albergo dei Poveri.