Senza arrendermi alla temperatura torrida, e munita di zaino a mo’ di borsa di Mary Poppins, mi dirigo verso il Sulcis Iglesiente, ex Sud-Sardegna.
Il Sulcis è parzialmente sconosciuto al turismo di massa, non ancora modificato in maniera irreversibile, e è raggiungibile solo in auto per un deficit infrastrutturale. Una zona ricca di testimonianze del passato minerario inserito in una natura aspra e straordinaria.
Procedo sulla strada n.195-sulcitana, a seguire sulla n.126 e su tratti di strade provinciali. In Sardegna è bene ricordare i numeri delle strade di maggiore scorrimento e munite di stazioni di servizio. La viabilità automobilistica è migliorata, ma solo la Carlo Felice n.131 la attraversa da nord a sud.
Si sale tra le colline verso il mare della costa occidentale dove non arrivano le grandi navi da crociera che battono altre località sarde. Man mano il paesaggio cambia. Le pinete e la macchia mediterranea lasciano spazio a cave, edifici industriali abbandonati e bocche di miniere, modificando il profilo del territorio. Le auto si contano sulle dita d'una mano e i centri abitati pure.
Domina il colore rosso del terreno ferroso, ricco di minerali e fossili. L’immagine bucolica della Sardegna di pastori e pescatori sparisce e affiora una storia dura, operaia, fatta di miniere, sofferenze e commerci, quando la Sardegna era uno dei principali poli metallurgici d’Europa.
Migliaia di minatori si inoltravano nelle viscere della terra per estrarre zolfo, rame, piombo, zinco e argento poi esportati in tutto il mondo. Gli impianti sono stati dismessi alla fine degli anni ’70 del secolo scorso. Di quei tempi rimangono imponenti strutture abbandonate per decenni; un immenso patrimonio di archeologia mineraria.
Superate Carbonia e Iglesias, arrivo al villaggio fantasma di Nebida, abbarbicato sulla montagna. Ancora qualche curva per raggiungere Masua e il suo gioiello, Porto Flavia, sospeso tra cielo e mare, nato per abbattere i costi di trasporto dei minerali estratti nella zona. La vista della falesia a picco sul mare è suggestiva, non da meno delle zone più gettonate.
Il capolavoro ingegneristico di Cesare Vecelli fu inaugurato 100 anni fa, nel 1924, e il nome del sito è quello di sua figlia Flavia. Un’opera fra le più innovative del secolo scorso. Più che una miniera è un porto sospeso nella costa Iglesiente. Fino ad allora i minerali erano caricati a mano sulle galanze, le navi a vela che li trasportavano all’isola di Carloforte, da dove venivano trasportati sul continente.

All’interno ci sono due gallerie sovrapposte:
nella prima correva un treno che scaricava i
materiali estratti nelle miniere vicine, in
gigantesche cavità scavate nella roccia,

nella galleria sottostante venivano caricati sulle navi con un braccio meccanico.
Il volume di materiale estratto giustificò la realizzazione di 9 silos capaci di contenere fino a diecimila tonnellate fra detriti e minerali.

Contestualmente alle due gallerie, di carico e scarico, furono realizzate opere esterne di collegamento dei due livelli attraverso un sistema di rampe, gradinate e piani di sosta e un ulteriore passaggio, all'interno di una torretta a picco sul mare, che consentiva di dirigere lo svolgimento delle operazioni di carico sulle navi.
Nella parte inferiore del percorso venne realizzata una costruzione a torre, parzialmente scavata nella roccia, con due lati in elevazione a strapiombo sul mare.

La vista dalla terrazza panoramica è impressionante: proprio di fronte si staglia uno scoglio a forma di panettone modellato dal tempo, il faraglione più alto di tutto il Mediterraneo, Pan di zucchero.

Tutte le miniere abbandonate fanno parte del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna, il primo ad essere inserito nella rete mondiale dei geoparchi istituita dall’UNESCO. Otto aree complessive per una superficie di circa 4.800 kq.
La storia più remota della Sardegna raccontata dalle sue rocce, vecchie più di 500 milioni di anni. Come dicono i sardi, ‘Sa cosa antiga durada de prusu’ (la roba antica dura di più perché fatta senza risparmio)
(2. continua)