Sono sull’altopiano nella Necropoli di Giza, davanti alle Piramidi. Viene da chiedersi se siano vere o un miraggio. Il deserto, il sole e il riflesso della luce accecano. Due le parole per descriverle: enormi e antiche. Quando il mondo occidentale ha festeggiato il nuovo millennio, le Piramidi festeggiavano il quinto, a conferma dell’antico detto arabo: “L’uomo teme il tempo, ma il tempo teme le Piramidi”. L’unica delle sette meraviglie del mondo ancora in piedi.
Sono ai limiti del deserto, i sobborghi del Cairo sono vicinissimi. Di fronte al sito stanno ultimando i lavori del Nuovo Museo Egizio che doveva essere pronto a fine 2023.

Mi tornano in mente le parole che la buonanima di mio padre rivolgeva a mia madre quando comprava più del necessario: “Che ne farai di tutto questo? Lo porterai nella piramide?” Per avere la risposta, dovrò attendere il turno di visita e chissà se ce ne sarà l’opportunità. L’ingresso è consentito solo a 300 persone al giorno, entra chi prima arriva.
Sono due gli accessi, ma il biglietto si paga in un chiosco al bordo dell’altopiano; uno per ciascuna Piramide. Dal 2008, tutta l’area monumentale è stata recintata, munita di telecamere e di rilevatori di movimento per aumentare la sicurezza e impedire l’assedio di imbonitori locali. E meno male; è pieno di navette e di autobus di turisti.

Se un tempo si raggiungevano a cavallo attraverso i campi, dal XIX secolo la costruzione di una strada ha lasciato posto ai tram. Oggi c’è Sharia El-Ahram, la Via delle Piramidi, a quattro corsie, intasata costantemente di traffico, con un servizio di pulmini dedicato. Chissà cosa direbbero i faraoni vedendo le loro tombe ridotte in questo stato.
Nella Necropoli ci sono nove piramidi, ma si capisce solo dopo aver superato la Grande, quella di Cheope.

Da lontano quella di Chefren sembra più alta, ma è solo un effetto ottico; venne costruita su uno zoccolo di roccia alto 10 metri. Man mano che ci si avvicina si riesce a percepire la grandezza della prima. Pare coprire il sole e tutto ciò che è intorno. Napoleone, che conquistò l’Egitto nel 1798, calcolò che la Piramide di Cheope, contenesse pietra a sufficienza per costruire un muro, alto 1 metro, lungo il perimetro della Francia. E’ talmente grande che solo in rapporto a una figura umana si riesce a percepire. Per avere un’idea, la base copre una superficie di oltre 5 ettari, formando un quadrato di 230 metri per lato; furono utilizzati più di 2 milioni di blocchi di pietra. Ciascuno pesava da 25 a 80 tonnellate; venivano estratti a Giza o trasportati sul Nilo da siti lontani come Tura e Aswuan, su imbarcazioni fatte di sicomoro, un legno durissimo e resistente. Le scoperte fatte nel villaggio degli operai di Giza dimostrano che 20.000-40.000 persone contribuirono permanentemente alla costruzione delle Piramidi.

La porta d’ingresso alla Piramide di Cheope si trova alla quattordicesima fila di blocchi da terra. Le persone che salgono sono tante, ma sembrano svanire tra le pietre.
Riesco ad entrare. All’interno un lungo e stretto cunicolo ascendente porta a una galleria. Si procede in posizione curva e in fila indiana fino alla camera funeraria del Re. Manca l’aria, nonostante i canali di aereazione, ed è vietato fotografare. Dentro non c’è nulla. Le Piramidi furono saccheggiate più volte, come molte altre tombe reali, probabilmente entro 500 anni dal completamento e dal sigillo. Si sapeva che i faraoni venivano sepolti insieme a oro e gioielli.
Non è chiaro, invece, come gli egizi avessero raggiunto il livello di precisione nell’allineamento dei lati e della base della Piramide di Cheope alle quattro direzioni cardinali. E’ possibile che si basassero sul sole e sulle stelle.

Un tempo, in cima, erano ricoperte da uno strato di calcare bianco levigato, che rifletteva i raggi del sole. Sono scomparsi a causa di terremoti o utilizzati per costruire altre strutture. Ora è rimasto solo sulla Piramide di Chefren.

Non mancano cammelli e cammellieri. Offrono brevi escursioni intorno alle piramidi e contribuiscono a completare l’atmosfera; un contrasto forte con le macchine parcheggiate lungo la strada.

Completando il giro della Necropoli fino al secondo accesso, compare la Grande Sfinge in tutta la sua fierezza e maestosità, nonostante le manchi il naso, la barba e abbia perduto i colori accesi che la ricoprivano. La scomparsa del naso della Sfinge fu attribuita alle forze napoleoniche; si scoprì in seguito, che venne distrutto durante il XIV secolo dai Mamelucchi dello sceicco Saim-ed-Dahr, per motivi legati al fanatismo religioso.
La Grande Sfinge, nota ai primi arabi come Abu el-Hol il Padre del Terrore, è rivolta a est per incontrare il sole nascente. Ha sofferto per i danni dell'inquinamento moderno; ciò che l'ha salvata dalla distruzione è il fatto che sia rimasta sepolta nella sabbia del deserto per secoli. La visione è a dir poco affascinante. La luminosità del sole e della sabbia accentuano il biancore dovuto ai lavori di restauro degli anni ’90. E’ difficile da fotografare di fronte; lo spazio antistante è stato riservato a rappresentazioni di vario genere. Mi sono imbattuta nell’organizzazione del comizio di al-Sisi per le elezioni presidenziali del 10 dicembre.

Sebbene sia un soggetto dibattuto, una teoria vuole che la costruzione della Sfinge sia frutto di una civiltà più antica, ormai scomparsa, antecedente all’epoca egizia. Gli archeologi concordano nel ritenere che sia stata scolpita durante il regno di Chefren (2558-2532 a.C.).

Riguardo l’operazione di scultura, uno studio recente della Divisione di Fluidodinamica dell’APS (pubblicazione in Physical Review Fluids; Scienze Notizie, 17 novembre 2023) suggerisce che la forma di base della Grande Sfinge di Giza potrebbe essere stata modellata dall’erosione del vento, lasciando solo i dettagli più fini da scolpire dagli esseri umani.
Gli studiosi si sono ispirati alle formazioni rocciose (yardang) che si trovano nei deserti di tutto il mondo. Hanno costruito delle strutture di argilla morbida con materiale più duro e meno erodibile all’interno, imitando il terreno di Giza. Esponendole a un tunnel d’acqua che replicava i venti dell’Egitto, hanno osservato gli effetti dell’erosione sui modelli in miniatura.
Nel 1979 la Necropoli di Giza è stata dichiarata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO.
Le aspettative sono più che ripagate. Le Piramidi e La Grande Sfinge, l’anziana signora guardiana della necropoli, restano ben ancorate nel cuore di chi ha la fortuna di vederle da vicino.
(3. continua)