STRETTO
DI MAGELLANO
LA DISFIDA
CILENA

Per il governo cileno è il più grande investimento “nella storia della lotta al cambio climatico” come ha dichiarato il ministro dell’energia Diego Pardow. E i numeri gli danno ragione. Protagonista del progetto per produrre ammoniaca verde, essenziale per arrivare all’idrogeno verde, nella zona semideserta meridionale dello Stretto di Magellano, è il consorzio danese austriaco Hnh Energy che prevede di investire 11 miliardi di dollari. Ma subito una trentina di associazioni ambientaliste si sono sollevate e contestano la vastità degli impianti che nasceranno. “È fuori scala, troppo impattante” sostengono e la polemica si è subito accesa. “La valutazione di impatto ambientale è insufficiente, anche perché gli organismi deputati non hanno personale numericamente e qualitativamente in grado di occuparsi di un progetto simile”.



La regione di Magallanes è al sud del Cile, tanto che comprende anche zone antartiche. La sua fama è soprattutto legata allo Stretto che Magellano scoprì nel 1520 e che consente di passare, tra mille isole e scogli e navigando infiniti canali, dall’Oceano Atlantico al Pacifico. Di qui passavano le navi prima che la realizzazione del Canale di Panama tagliasse il continente e diventasse una scorciatoia per collegare i due oceani. Questa zona immensa, 1 milione e 382 mila chilometri quadrati ma 132 mila sul continente, è popolata da meno di 165 mila abitanti, poco più di 1 per chilometro quadrato. Ed è battuta da venti violenti e costanti che rendono difficile viverci, come ha raccontato in romanzi indimenticabili Francisco Coloane, il “padre letterario” di Luis Sepulveda. Anni fa, quando ero sindaco, un ricco protagonista dello sviluppo di Sesto San Giovanni, tornato da un viaggio in quelle zone, mi venne a trovare, mi ringraziò per le indicazioni che gli avevo dato e mi sorprese così: “Mentre ero laggiù ho pensato che il mondo vivrà due grandi crisi, quella del petrolio e quella dell’acqua. La prima, quella energetica, sarà dura, ma la supereremo. La seconda no. Ho deciso, mi compro uno degli iceberg che ho visto in quella zona”.

Proprio questi venti implacabili però sono una manna dal cielo per le 194 pale eoliche che muoveranno tutto il complesso, formato anche da un impianto di desalinizzazione, da uno di elettrolisi, da una fabbrica per la produzione di ammoniaca verde, dal porto per l’esportazione del prodotto in ogni parte del mondo e da tutti i servizi annessi.

Alle associazioni che protestano risponde l’ing. Joaquin Barañeo, dal punto di vista delle esigenze ambientali necessarie per contrastare il cambio climatico che in Cile si manifesta platealmente con la crisi dei ghiacciai e con fenomeni senza precedenti anche nel deserto di Atacama.



Alle accuse di gigantismo Barañeo risponde che non è tecnicamente possibile rispettare l’impegno di ridurre a metà entro il 2030 le emissioni se non ricorrendo appunto a progetti di grandi dimensioni. E ribatte. Se si critica la presenza di 194 pale eoliche giudicandole eccessive, quale alternativa si propone? Quella di installare in 194 siti diversi altrettante pale? Dove? Sotto casa? E comunque una distribuzione capillare, oltre che impossibile da realizzare, avrebbe un impatto ambientale tremendo, moltiplicando all’infinito le linee di trasporto dell’energia, i servizi necessari e la perdita di efficienza sarebbe enorme. “La lotta contro il cambio climatico è la sfida più grande per l’umanità e non ci sono soluzioni completamente indolori. La domanda rilevante non è se Hnh Energy genera impatti – è ovvio che li genera – ma se questi sono maggiori o minori delle alternative possibili e se la conservazione ad oltranza è compatibile con le sfide planetarie” conclude Barañeo.

Intanto la società organizza incontri con le popolazioni della zona e pubblica un sito colorato e interattivo per spiegare cosa succederà da qui al 2030, quando l’impianto comincerà a produrre a pieno ritmo. Chissà se Francisco Coloane sarebbe stato con le associazioni o con il realismo del governo cileno e dell’ing. Barañeo.

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