Il Centre Pompidou di Parigi, che ospita la più grande collezione di arte moderna e contemporanea d’Europa, chiuderà per cinque anni a partire dal 2025. La notizia non è nuova. In realtà si tratta di un rinvio. I necessari lavori di ristrutturazione erano stati programmati tra la fine del 2023 e quella del 2026 per riaprire in tempo per i 50 anni del museo che cadono nel 2027. Stanziamento previsto: 200 milioni di euro. Le nuove date sono state annunciate dalla ministra della Cultura francese, Rima Abdul Malak. Si comincerà nel 2025 per finire nel 2030. Laurent Le Bon, nuovo presidente del Pompidou, ha ottenuto il rinvio di un anno per poter rimanere aperto durante le Olimpiadi di Parigi del 2024. I soldi da spendere per la ristrutturazione sono tanti e il pubblico olimpico fa davvero comodo.
Il museo, intestato al Presidente della Repubblica che alla fine degli anni 60 lo ha voluto e immaginato, è anche noto come il Beaubourg ed è uno dei simboli dell’architettura contemporanea, uno dei più noti al mondo e certamente l’unico inconfondibile. Progettato da Richard Rogers e Renzo Piano, era già stato sottoposto a un restauro costato 87 milioni di euro tra il 1998 e il 2000, ma ora ci sono nuovi problemi. Bisogna bonificare le facciate dall’amianto, mettere a norma i dispositivi antincendio, garantire l’accesso ai disabili, adeguare tutti gli impianti e procedere all’ottimizzazione energetica dell’edificio.
Lo stato è pronto a stanziare 262 milioni di euro, ma per iniziare era necessario scegliere: mantenere aperto il museo durante i lavori, dilatando sensibilmente tempi e costi, oppure chiuderlo rinunciando ai visitatori, ma accelerando l’operazione. Si è scelto per la chiusura, cominciando a progettare il trasloco delle opere del museo d’arte moderna che ne espone circa tremila, ma ne presta circa diecimila ogni anno e ne possiede in tutto 140mila. Solo per questo ci vorranno 18 mesi. In realtà durante la chiusura il Centre Pompidou non resterà affatto fermo e nemmeno rinuncerà ai suoi incassi. È stato messo a punto un programma affinché il museo rimanga vivo e le opere continuino a essere esposte. Sono previste oltre un centinaio di mostre in Francia e all’estero e sono state avviate collaborazioni con molte istituzioni culturali e museali come il Grand Palais e il Louvre.
Non è la prima volta che un’operazione di questo tipo ha luogo a Parigi. Era già successo nel 2009 per il Musée Picasso. Il 23 agosto di quell’anno l’Hôtel Salé, sede del museo, chiuse i battenti per i necessari lavori di ampliamento previsti della durata di due anni. Costo preventivato, venti milioni di euro, in parte raccolti grazie a un’esposizione itinerante delle opere partita dal Museo Reina Sofía di Madrid, passata per Abu Dhabi, il Giappone, Helsinki e approdata nel 2012 a Palazzo Reale di Milano dove ha segnato il record nazionale di visitatori per una mostra. Non tutto però è andato come avrebbe dovuto. I lavori si sono protratti per cinque anni, i costi sono lievitati a 56 milioni di euro e la storica direttrice Anne Baldassari è stata rimossa dal suo incarico in seguito ad alcuni scontri con una parte del personale. Ma il 25 ottobre del 2014 il museo ha riaperto, inaugurato dal presidente Hollande che lo ha orgogliosamente definito “uno dei più belli e affascinanti al mondo”.
Clamorosa anche l’operazione fatta a Rotterdam dal Museum Boijmans van Beuningen, il principale museo della città. Durante i lavori di ristrutturazione partiti nel 2019, e che ne comportano la chiusura almeno fino al 2028, il re Guglielmo dei Paesi Bassi, nel 2021, ha potuto inaugurare il Depot Boijmans Van Beuningen, un grande edificio progettato da MVRDV che contiene una collezione di oltre 150mila opere e oggetti suddivisi in quattordici sezioni, costruita in 172 anni coprendo un arco di cinque secoli. La sua apertura è stata salutata con entusiasmo dal mondo dell’arte perché per la prima volta al mondo un deposito museale apre al pubblico stabilmente, con tanto di orari e calendario, e viene pure progettato per diventare un simbolo architettonico della città.
E in Italia che succede? Con il patrimonio di cui disponiamo e lo stato medio dei nostri edifici storici, verrebbe da pensare a un fiorire di simili iniziative. E invece no. Nelle ultime settimane i nostri musei si sono distinti per annunci clamorosi, ma in tutt’altra direzione. Come l’avvio della collaborazione tra il Museo di Capodimonte di Napoli e il Louvre di Parigi così presentata in conferenza stampa da Laurence des Cars, la presidente del museo parigino: “Nel 2023 i più bei capolavori del Museo di Capodimonte apriranno un dialogo con quelli del Louvre, all’interno del museo, nel quadro di un dispositivo inedito. Una ricca programmazione musicale e cinematografica arricchirà questo invito, per portare definitivamente per un semestre Napoli a Parigi”.
La mostra è stata appena inaugurata dal presidente Mattarella, vede opere come il Ritratto di giovane donna del Parmigianino, la Crocifissione di Masaccio, la Trasfigurazione di Giovanni Bellini, la Danae di Tiziano e la Flagellazione di Caravaggio, esposte nella Grande Galleria, nella Sala dell’Orologio e nella Sala delle Cappelle, poste in dialogo con la collezione francese.
Come ha sottolineato il blog dedicato al mondo dell’arte miriconosci.it, “L’idea di questo partenariato, però, non sembra essere così vincente: se infatti al Louvre godranno dell’arte custodita a Napoli, accompagnata da concerti e spettacoli che vedranno anche la partecipazione di musicisti e cantanti del Teatro San Carlo di Napoli, non è invece ben chiaro cosa ci guadagnerà Napoli che, oltre a inviare sessanta opere – tra cui trentatré dipinti – chiuderà le sale. Non è dato saperlo, visto che nel comunicato stampa ministeriale vengono citati solo i benefici per la Francia”.
Si era in effetti ventilata l’ipotesi di approfittarne per chiudere il museo e procedere con necessari lavori di sistemazione. Ma Sylvian Bellenger, direttore francoamericano del Museo e Real Bosco di Capodimonte, ha rifiutato categorico. Il museo non chiuderà mai. Manutenzione se ne farà, ci saranno operazioni di restauro e riqualificazione, verrà aperto un nuovo ristorante e saranno implementati l’impianto di illuminazione e di climatizzazione, ma i visitatori potranno sempre entrare, pagando il prezzo pieno. Di certo c’è anche che, finiti i lavori (e rientrate le opere), la gestione degli spazi sarà in mano a un privato per i prossimi vent’anni.
Milano punta invece sul raddoppio del Museo del Novecento di piazza del Duomo. Nel 2021 il Comune ha aperto un concorso di progettazione, vinto dal gruppo capitanato dall’architetta Sonia Calzoni, per adattare a centro espositivo la seconda torre dell’Arengario. Sembrava tutto a posto. Approvato il progetto di fattibilità, il Comune aveva dato il via all’iter per l’ampliamento del museo. Potevano contare anche sulla generosità di Giuseppina Antognini, mecenate milanese disposta a donare cinque milioni di euro e un primo nucleo di opere del XX secolo. Poi silenzio assoluto, interrotto solo dalla polemica sulla passerella, ovvero sul collegamento tra i due corpi dell’Arengario, fatto di cristallo e posto a 19 metri d’altezza per cui la soprintendenza non si era mostrata entusiasta. Poi dei progetti esecutivi non si è più saputo nulla. Esclusi i fondi del Pnrr, non si capisce nemmeno come potrebbe essere finanziato. Quello che è certo è che la seconda torre dell’Arengario, scelta dall’Amministrazione per ospitare il nuovo museo, avrebbe potuto essere il pezzo più appetibile dell’adiacente palazzo affacciato sul Piazza del Duomo, messo a bando dal Comune per ospitare un nuovo hotel di lusso. Il bando è andato deserto. Sarà un caso. Ma la piazza del Duomo al momento resta senza il nuovo museo e senza il nuovo albergo.