Passati gli scritti e cominciati gli orali, viene da fare qualche riflessione sulla Maturità 2023 che è apparsa fin da subito come la grande eccezione alla regola. Ovvero, come l’unico evento capace di rispondere pienamente a quella frettolosa predizione secondo cui dopo il Covid nulla sarebbe più stato come prima.
L’esame di stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione, questo il suo nome ufficiale, è tornato sì alla formula pre-Covid stabilita dal decreto legislativo n. 62 del 2017, ma sembra di essere in un altro mondo. Dell’ansia per l’esame della vita, che cominciava in primavera con l’attesa nervosa delle scelte del ministero per le materie della seconda prova scritta e che culminava nelle notti insonni prima dello scritto di Italiano, resta ben poco. Di quel crescendo di paure, emozioni, aspettative che segnava il passaggio epocale verso la vita adulta e metteva per la prima volta lo studente da solo a rispondere del suo corso di studi, della sua preparazione, della sua capacità di improvvisare e di relazionarsi con professori sconosciuti, si è persa traccia. Chissà se oggi si potrebbe immaginare l’equivalente della scena di “Ecce Bombo” di Nanni Moretti in cui il candidato alla maturità presenta la sua tesina sul poeta contemporaneo vivente Alvaro Rissa. O se avrebbe ancora un senso scrivere una canzone come “Notte prima degli esami” e girarci pure un intero film.
Come si sono affrettati a spiegare molti commentatori, oggi la Maturità non conta più molto. A togliere il sonno agli studenti è semmai il test di ammissione all’università: la vera follia collettiva che sconvolge studenti e famiglie imponendo spaventosi tour de force, spese folli per accedere a miracolosi corsi di preparazione, per acquistare manuali e dispense di spiegazione delle prove, per effettuare preiscrizioni e iscrizioni multiple, oltre che sangue freddo per controllare risultati e graduatorie o valutare percorsi alternativi.
Una follia che comincia già al quarto anno di scuola superiore, provocando lo svuotamento di senso della maturità. Le università fanno a gara per accaparrarsi matricole e anticipano il più possibile le necessarie operazioni di pianificazione di corsi e organigrammi: prima sono in grado di quantificare il numero di nuovi studenti e meglio possono avviare l’organizzazione senza inutili sprechi. È la programmazione, bellezza! Ma intanto che succede agli studenti? Se all’inizio del quinto anno di liceo (o istituto tecnico) si ha già la garanzia di ammissione alla facoltà desiderata, che senso ha impegnarsi per dare il meglio alla prova di maturità?
Ma i test di ammissione all’università si rivelano un problema anche per chi li affronta al quinto anno di scuola superiore. Sottraggono tempo prezioso allo studio e all’acquisizione di quelle abilità che nella vita (anche universitaria) possono davvero fare la differenza e di cui si inizia ad avere consapevolezza proprio con la maggiore età. E tutto questo per che cosa? Per chiudere l’accesso alle università, non solo a quelle più esclusive, e ritrovarsi poi con un numero di laureati ridicolmente basso per un paese che si ritiene una potenza economica mondiale? Dati Eurostat alla mano, l’Italia è tra gli ultimi Paesi dell’Unione europea per la quota di laureati. Sono il 29% nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Siamo molto lontani dalla media europea (36%) e soprattutto dall’obiettivo indicato da Bruxelles: far salire al 45% entro il 2030 la media dei giovani che hanno completato l’istruzione universitaria. Peggio degli italiani ci sono solo i rumeni, a quota 25%.
Inutile anche continuare a lamentarsi se mancano tecnici e professionalità super-specializzate o peggio ancora parlare di fuga dei cervelli. I numeri di chi lascia il paese non sono nemmeno paragonabili a quelli di chi manchiamo proprio di formare, impedendo l’accesso all’università. Se non fosse che è un’immane tragedia, la vicenda del test di ammissione alle facoltà di medicina con numero chiuso e graduatoria nazionale sarebbe degna di un film di Mel Brooks. Il ministero annuncia un aumento dei posti disponibili a Medicina (18.133 più 1.248 per Veterinaria e 1.535 per Odontoiatria), ma ecco cosa spiegano gli esperti di studenti.it: “Alla sessione di luglio potrebbero esserci più iscritti? Probabilmente sì: tutti gli studenti sono ormai liberi dallo studio per la maturità, c’è chi proverà ad aumentare il proprio punteggio e, visto e considerato che aumenteranno i posti disponibili come anticipato dalla Ministra Bernini, potrebbero iscriversi alla sessione di luglio nuove aspiranti matricole spinte dall’aumento dei posti disponibili. Se infatti, prima delle nuove dichiarazioni della Bernini, a entrare sarebbe stato solo un aspirante medico su 5, ora le probabilità di farcela aumentano: con 19mila posti passerebbe uno studente su 4. Questo però solo se gli iscritti non dovessero aumentare nella sessione di luglio, quindi sarebbe possibile solo con i numeri attuali. Quanti saranno gli iscritti alla sessione di luglio lo scopriremo solo dopo il 5 luglio, quando chiuderanno le iscrizioni alla nuova sessione”.
Che lungimiranza… e che trasporto per la formazione di nuove generazioni di professionisti! Non paghi di rubare ogni giorno il futuro a questi ragazzi ci impegniamo ormai anche a devastargli il presente. Quella della maturità era l’estate più bella della vita, quella che chiude l’adolescenza, che non costringe ai compiti o al recupero delle materie, che regala tre mesi di libertà assoluta prima di condurre nel mondo dei grandi, all’università o al lavoro poco importa. Ora è l’estate della fatica e può trasformarsi nell’autunno della delusione, per l’università che non ti ammette e per il lavoro che non c’è.