Finalmente è aperto il nuovo tratto della linea 4 della metropolitana di Milano, quello più atteso, il collegamento tra l’aeroporto di Linate e piazza San Babila nel cuore della città. Ora bastano 12 minuti per muoversi lungo questa tratta. Un altro record milanese, un’altra tappa raggiunta nella lunga marcia verso la trasformazione di Milano in quella città efficiente, vitale e ben infrastrutturata che gli amministratori vedono come l’unica in grado di scalare le classifiche delle aree urbane migliori del mondo.
Certo vantarsi a metà del 2023 per l’apertura di una tratta di metropolitana che avrebbe dovuto essere in servizio in tempo per l’Expo del 2015 (i lavori furono infatti assegnati nel 2011) fa parte della nuova linea di comunicazione della città di Milano: qualunque cosa succeda è certamente un successo e spesso anche un primato. Ma tant’è. È comunque la quinta linea di metropolitana della città e l’estensione dei mezzi pubblici è sempre una buona notizia in termini di traffico, qualità dell’aria e sostenibilità. Sul sito di M4 S.p.A. è spiegato che, una volta a regime, le ultime due linee – la M4 e la M5 – comporteranno ogni anno una riduzione di circa 30 milioni di spostamenti in auto, una diminuzione delle emissioni del 2%, un calo del consumo di petrolio di 16 milioni di tonnellate e pure 500 incidenti stradali in meno.
In realtà di queste due nuove linee di metropolitana, ribattezzate la Blu e la Lilla per via del colore che le contraddistingue, colpisce proprio l’assenza di colori. Le stazioni, i percorsi, i mezzanini, le banchine e persino i treni brillano per la straordinaria varietà di tonalità di bianco e grigio, alcune scelte direttamente dai progettisti, molte ottenute grazie all’illuminazione artificiale e alla casualità con cui colpisce le superfici. E non è da meno l’aeroporto di Linate, stazione di partenza e arrivo della nuova M4, a sua volta oggetto di un progetto di riqualificazione da 40 milioni di euro iniziato nel 2019 e completato nel giugno del 2021, all’insegna del bianco totale.
Ma dovremmo dire del total white visto che i comunicati stampa parlavano di un “restyling architettonico ed ambience del terminal” al fine di conferirgli una nuova identità per “migliorare la traveller experience e la customer satisfaction dei passeggeri”. Il risultato è un’inquietante sequenza di ambienti completamente bianchi, fatti di superfici lucide e luci scintillanti interrotte solo dai colori delle merci in vendita in un’infinita galleria di negozi a cui non è possibile sottrarsi se si vuole raggiungere il gate assegnato all’aereo su cui ci si deve imbarcare. Solo per la nuova area imbarchi si parla di una superficie di 4mila metri quadrati interamente rivestita con un sistema di pavimentazione continua in resina bianca a finitura lucida.
Vivere in ambienti bianchi, come è noto, non è il massimo. Non serve ricordare che rinchiudere un prigioniero in una stanza completamente bianca (muri, pavimento, soffitto) con superfici lisce e perennemente illuminata da luci al neon disposte in modo da impedire la formazione di qualunque ombra, è considerata una delle peggiori pratiche di tortura. Basterebbe invece sapere che il bianco ha sì la capacità di far sembrare gli ambienti più luminosi e ampi, ma ci vuole equilibrio. Usato sui soffitti può infatti provocare un senso di vuoto e apparire asettico; sulle pareti, finisce col risultare privo di energia e può proiettare ombre grigie; sul pavimento, è inibente e riduce l’equilibrio motorio.
Colpa dell’indice di rifrazione. L’esperienza del colore, come spiegano gli esperti di progettazione cromatica, dipende infatti dall’intensità della luce, dal modo in cui essa è riflessa da una superficie, nonché dagli oggetti colorati presenti. E il ruolo fondamentale è svolto proprio dalle superfici: pavimenti, pareti, soffitti, mobili, oggetti. I loro colori assorbono e riflettono una certa quantità di luce che determina l’indice di rifrazione. Nel campo visivo, ciò che raggiunge l’occhio quando la luce viene riflessa da una superficie non è l’intensità dell’illuminazione bensì la densità luminosa. In pratica ciò che ci colpisce è il riflesso della luce incidente sulle diverse superfici che varia in base al colore, ma anche alla lucidità o all’opacità dei materiali, cioè al loro essere riflettenti, assorbenti o trasparenti. Differenze eccessive tra densità costringono l’iride a continui aggiustamenti che provocano un affaticamento dell’occhio. Per questo le normative forniscono regole e parametri precisi a cui attenersi per progettare correttamente gli spazi. Il bianco, che ha un indice di rifrazione del 90%, non è esattamente consigliabile per creare ambienti accoglienti e atmosfere rilassanti.
Ma il completamento della linea M5, la riqualificazione dell’aeroporto di Linate e ora l’apertura della M4 non sembrano bastare per raccontare la distanza che Milano ha scelto di avere dai colori. Questa sorta di trilogia della cromofobia ci posiziona in un anonimo conformismo urbano bianco e grigio, e ci allontana da gloriose tradizioni. Come il giallo Milano, detto anche giallo Maria Teresa, usato a partire dal XIX secolo per nascondere l’invecchiamento dell’intonaco bianco messo a dura prova dalla fuliggine dei camini e che caratterizzava anche il Teatro alla Scala e Palazzo reale. Come il rosso delle tegole dei tetti, dei mattoni delle mura spagnole, delle chiese e di tanti edifici monumentali. Come le molte sfumature del marrone del pavé e dei cubetti di porfido usati per lastricare le strade e le corsie dei tram. O come il verde dei grandi viali alberati milanesi introdotti con il Piano Beruto del 1889.
Meglio non pensare allo straordinario lavoro fatto per l’allestimento delle stazioni delle prime due linee di metropolitana di Milano, la Rossa e la Verde; allo studio sapiente dei materiali, delle superfici e dei colori nel progetto di Franco Albini, Franca Helg e Antonio Piva con il contributo di Bob Noorda per la grafica, ancora oggi considerato un riferimento nella storia del trasporto pubblico mondiale. Accontentiamoci di avere ben cinque linee di metropolitana a disposizione. E quando ci innervosiamo per i ritardi, le attese o la ressa confortiamoci pensando che non siamo diventati isterici. È il bianco che non aiuta.