Il 5 luglio è la Giornata Mondiale del Bikini, il World Bikini Day. Si festeggia in questa data perché coincide con la prima apparizione, alle piscine Molitor di Parigi nel 1946, del costume da bagno a due pezzi creato dallo stilista francese Louis Réard. Se non vi sembra un’occasione così importante da dover essere commemorata in tutto il mondo, sappiate che il 9 aprile è l’Unicorn Day, “un giorno speciale per celebrare la più affascinante creatura mitologica di tutti i tempi”. La giornata è stata introdotta nel 2015 chiamando in causa l’arte e le culture antiche dalla Mesopotamia alla Cina, ma non si sa bene da chi. Il promotore, come spesso succede nelle trovate del marketing e della comunicazione, resta sconosciuto.
Il problema è che queste occasioni sono ormai trattate come le giornate internazionali fissate dalle Nazioni Unite secondo criteri molto rigorosi e dedicate ai temi che rappresentano i principali campi di azione dell’organizzazione, ovvero: il mantenimento della pace internazionale e della sicurezza, l’avanzamento dello sviluppo sostenibile, la difesa dei diritti umani, la garanzia del diritto internazionale e gli interventi umanitari. Basta guardare un qualunque tg per capire che non si fa poi così tanta differenza tra la celebrazione della Giornata mondiale dei diritti umani, il 10 dicembre, e quella delle torte, il 17 marzo; o tra il 22 aprile Giornata della Terra e il 19 novembre del Monopoli. L’importante è dare il messaggio chiaro che stiamo vivendo, qui e ora, un momento fondamentale.
È il segno dei tempi. Forse il più profondo di quest’epoca: la nostra condizione di individui completamente immersi nel presente. Lo storico François Hartog ha registrato il fenomeno dandogli il nome di presentismo. "Il presentismo – ha spiegato Hartog in una recente intervista al Manifesto – si è affermato quando siamo passati da una rappresentazione del tempo come un futuro aperto, cioè inteso come processo e guidato dal progresso, a una del futuro che si chiude. Così il presente tende a diventare l’unico orizzonte. Fino al punto da non avere futuro! È quello che ho chiamato presentismo, cioè un presente onnipresente che fagocita, per così dire, il futuro e il passato. Un presente solipsistico che produce giorno dopo giorno il futuro e il passato di cui ha bisogno".
Siamo interessati solo al presente, che è anche l’orizzonte dove ci trattengono il nuovi strumenti di comunicazione, come i social media. Nel suo recente libro “La resilienza dell’antico” un altro storico, Giovanni B. Magnoli Bocchi, spiega: “Viviamo in un tempo in cui il rapporto con il passato è mediato dalla sua possibilità di utilizzo: abbiamo bisogno di highlights, di momenti clou, di eventi, dal momento che il legame ossessivo che abbiamo con il presente ci obbliga ad ancorare anche ciò che è accaduto all’attualità. Le commemorazioni divengono il luogo per eccellenza in cui la società consuma il suo passato, in una fruizione rapida che non lascia troppi sedimenti”.
Se partiamo da questo presupposto riusciamo forse anche a trovare una ragione nel bisogno dell’attuale governo di segnare un evento non certo inaspettato, la morte di due politici molto anziani, con un tripudio di celebrazioni rendendo norma ciò che norma non è mai stato: la combinazione dei funerali di stato con il lutto nazionale. E così per Silvio Berlusconi e Arnaldo Forlani, entrambi ex presidenti del consiglio, sono stati celebrati funerali di stato secondo la regola ricordata anche sul sito dell’Ufficio del cerimoniale di Stato: “Le esequie di Stato spettano ai Presidenti degli organi costituzionali, anche dopo la cessazione del loro mandato, e ai ministri deceduti durante la permanenza in carica”. Ma per entrambi i politici, accomunati anche dall’essere personaggi controversi e dall’essere stati condannati in via definitiva con pena sostituita dall’affidamento ai servizi sociali, è stato proclamato il lutto nazionale. Questo invece è un atto non dovuto, ma deliberato dalla presidenza del consiglio.
Sembrerebbe essere il frutto della stessa ansia che prende tutti i consiglieri comunali d’Italia appena muore qualcuno di minimamente famoso di intitolargli vie, piazze, aule, giardini e persino aiuole. E senza aspettare i dieci anni indicati dalla legge come tempo minimo necessario all’intitolazione. Dieci anni che oggi sembrano un tempo infinito, ma che in realtà sono un periodo ragionevole per comprendere se il segno lasciato dal defunto o il messaggio relativo alla sua vicenda sono davvero in grado di pesare nella memoria collettiva.
Curioso e paradossale che tutto questo avvenga mentre scienza e filosofia mettono in discussione la nozione stessa di tempo come siamo abituati a pensarlo. La fisica moderna ci ha dimostrato che il tempo funziona proprio in modo diverso, a cominciare dal fatto che non è uniforme. Scorre a velocità diverse in base a dove ci troviamo e come ci muoviamo. Ma come spiega il fisico teorico Carlo Rovelli, tra i massimi esperti di gravità quantistica: “L’uniformità non è la sola caratteristica del tempo dove la nostra intuizione sbaglia. Un’altra sorpresa è stata la scoperta che la differenza tra passato e futuro non compare nelle equazioni elementari che governano il mondo fisico. Ma la scoperta più sconcertante è stato capire che la nozione di 'presente' non ha senso nel grande universo; ha senso solo vicino a noi. 'Qui-e-ora' è una nozione ben definita, ma 'ora' da solo non lo è. I filosofi discutono oggi animatamente questa scoperta: se noi chiamiamo realtà ciò che esiste ora, cos’è la realtà dopo aver capito che non c’è un 'ora' ben definito nell’universo?”.
Siamo un nulla se ci paragoniamo alle vastità dell’universo, lo sappiamo da moltissimo tempo, ma evidentemente non riusciamo ancora ad elaborarlo.