Non è stata un’estate facile per molte città italiane, prese nella morsa di fenomeni metereologici estremi, dal caldo che non lascia respirare ai nubifragi che devastano il territorio. Milano, in particolare, verso la fine di luglio ha vissuto una notte di paura, sferzata da piogge e venti di forza inusuale che sono costati, tra l’altro, la vita a migliaia di alberi.
Non è la prima volta che la città si è trovata a fare la conta dei danni dopo un fenomeno eccezionale. A molti è venuto naturale il paragone con la grande nevicata del gennaio 1985, la più grande del XX secolo. Tuttavia i due eventi non sono paragonabili per eccezionalità. Nel 1985 successe qualcosa di incredibile, una concomitanza di fenomeni più unica che rara, che permise di scrivere quella che ancora oggi viene definita “una storica pagina della meteorologia”.
La notte dello scorso 24 luglio si è trattato invece di un temporale di inaudita violenza, accompagnato da fortissime raffiche di vento, destinato ahinoi non a segnare un unicum nella storia, ma purtroppo a ripetersi. Come ha spiegato il geologo e ricercatore del CNR Mario Tozzi anche in una recente intervista a Radio Capital: “Questi fenomeni, naturalmente, a una certa scala ci sono sempre stati. Però adesso sono tutti accelerati, più frequenti, più violenti, fuori dalle stagioni tradizionali e fuori dalle zone in cui tradizionalmente avvenivano”.
Eppure tornare al gennaio dell’85 è interessante per comprendere meglio i fatti di oggi. Giorgio Bocca, sintetizzando i discorsi e gli sfoghi di amministratori e cittadini raccolti girando per le strade coperte di neve in una Milano attonita e improvvisamente consapevole che anche la metropoli più efficiente d’Italia poteva paralizzarsi del tutto, scriveva su Repubblica: “Qui raccontiamo la guerra del gelo e della neve nella grande città di Milano, ricca e fragile, civile e vulnerabile, progredita, ma anche indebolita dalla sua crescita economica e civile, dai seicentomila che ogni mattino vi arrivano dall’hinterland per lavori e faccende in gran parte sconosciuti, dal grande terziario delle banche che ha congelato il suo cuore, dai veleni industriali che la rodono sotto gli asfalti che coprono i navigli. La grande, ricca Milano dove i tecnocrati vanno scoprendo che ecologia ed efficienza stan diventando la stessa cosa, che là dove non c’è alta qualità della vita non c’è neppure libertà di muoversi, di fare, di produrre”.
Davvero i tecnocrati hanno scoperto l’indissolubile legame tra ecologia ed efficienza? Ma soprattutto davvero lo hanno reso parte fondante delle loro politiche urbane? A giudicare da quanto stiamo vedendo oggi a Milano qualche dubbio è legittimo. Infatti, se nel 1985 Milano restò paralizzata dalla neve per tre giorni, le strade furono rese nuovamente agibili solo grazie all’intervento di 650 militari di leva e dei carri armati della caserma Perucchetti, l’eccessivo carico di neve fece crollare il tetto del velodromo Vigorelli come di molti altri edifici pubblici e privati in tutta la città e provocò la distruzione del palazzo dello sport costruito solo nove anni prima, quest’anno a farne le spese sono stati soprattutto gli alberi (circa cinquemila), completamente sradicati dal terreno o danneggiati in modo grave e irreparabile nella chioma.
Ma se nel 1985 nessuno poteva sperare che gli edifici milanesi reggessero a un carico di neve di quelle proporzioni (ne caddero 90 centimetri in 60 ore), oggi la distruzione degli alberi sembra essere collegata più al loro stato che all’eccezionalità della perturbazione. Piante vecchie, malandate, con gli apparati radicali soffocati dal cemento e dall’asfalto (o addirittura tranciati durante gli scavi per la costruzione delle linee di metropolitana o i parcheggi sotterranei) non potevano in alcun modo reggere a venti così forti.
E poco importa che il sindaco Giuseppe Sala si sia affrettato subito a dire che la manutenzione del verde non era parte del problema. La verità è che anche per eliminare dalle strade e dai parchi gli alberi caduti (operazione non ancora completata) e per provvedere alle necessarie opere di pulizia e ripiantumazione il sindaco stesso ha dovuto fare appello ai milanesi per trovare volontari e finanziatori. Perché il comune di Milano ha da tempo esternalizzato molti servizi di cura e manutenzione – dalla custodia dei musei alla potatura degli alberi, dalla gestione delle mense scolastiche a quella delle piscine pubbliche – tagliando anno dopo anno le risorse a questo destinate.
Ormai la questione è molto chiara: non si tratta di mettere a bilancio generiche voci che riguardano azioni da espletare in qualche modo. Si tratta invece di ripensare il complesso delle attività fondamentali per il buon funzionamento di una città e di prevedere lo stanziamento di risorse adeguate. Come ha ricordato il paesaggista Andreas Kipar nell’intervista a Repubblica proprio all’indomani dei temporali dello scorso luglio: “La logica numerica del ‘fare di più’ bisogna dimenticarla. Non dobbiamo piantare più alberi, dobbiamo piantarli meglio. Nelle capitali estere vengono piantati alberi veri, di sette, otto metri. Non alberelli. Ma se a Milano si parla di un costo medio di 200 euro ad albero, piantumazione inclusa, nelle città virtuose su questi temi siamo a duemila euro ad albero. Perché vanno ancorati, il suolo va migliorato. Non si può pensare di piantare sulle macerie di prima. Dobbiamo cominciare a pensare a una logica qualitativa più che quantitativa”.