Via da Télouet la terra arida si arrossa anche di più se possibile. Tracce bianche lasciate dai camion carichi di sale provenienti dalle miniere della zona accentuano il rosso di questo deserto di roccia sul quale il sole si accanisce come il martello sulla sua incudine, anche se meteorologicamente non è ancora estate. Sembra di essere in Arizona e invece l’ultima epopea qui non è quella del Far West. È pur sempre cinema, è pur sempre la storia di una sfida tra buoni e cattivi l’un contro l’altro armati, però John Houston non c’entra: la storia è ben più antica di quella dei cow boy, il film è molto più recente. E ne scopriremo la location dopo una traversata tra rocce rosse bianche di sale a cavallo del nostro minivan, adeguatamente climatizzato. Dal mio sedile anatomico per ora mi resta difficile scatenare un inferno, fosse pure ad un cenno di un Decimo Massimo Meridio con le sembianze di Russell Crowe.
Sonnecchio, scatto qualche foto dal finestrino per poter portare a casa non dico un racconto per immagini, ma almeno un percorso. Dopo due ore e mezzo di viaggio, con poche soste nella monotonia del paesaggio, arriviamo ad Ait Ben Haddou, appena in tempo per incappare in un tè non esattamente nel deserto, ma comunque sul set di un altro film dal titolo segreto che per certo ostacola temporaneamente alcune delle nostre attività fotografiche. Però considera che questo è un set a cielo aperto fin dai tempi di 'Lawrence d’Arabia' e che questo destino si è protratto fino a quelli del clamoroso successo mondiale della serie tv 'Il Trono di Spade', passando per 'Gesù di Nazareth', 'Il tè nel deserto' (come ti anticipavo giocando con le parole, più sopra), 'La Mummia', 'Alexander', 'Le Crociate' (ancora di Ridley Scott...), tanto per citare i più famosi. Insomma, da queste parti il cinema fa sul serio da sempre. E forse è anche per questa ragione che la città fortificata sul cucuzzolo di un colle lambito dal fiume Asif Ounila è patrimonio Unesco dell’Umanità dal 1987.
La città vista da lontano sembra un grande castello di sabbia, rossa come tutto il resto qui intorno per centinaia di chilometri. Per raggiungerla e varcare le porte d’accesso hai due possibilità: attraversare un ponte pedonale, più moderno di quanto dovrebbe essere nel mio personale immaginario; poi c’è l’opzione Gladiatore, ovvero saltellare su uno dei guadi artificiali agevolati - ad uso di autoctoni e turisti - allineando sacchi di sabbia da una sponda all’altra. Una volta al di là del fiume, la porta più a valle della fortezza è presidiata da un cammelliere sempre pronto a disporre i suoi dromedari a favore di fotografo. Dall’alba al tramonto, poi basta. Per le riprese notturne il dromedario lo devi aggiungere, se proprio vuoi, con Photoshop. Dentro, tra i gradoni sconnessi che conducono al punto più alto della rocca, il balzo nel passato è più marcato di quando noi andiamo a visitare i nostri borghi medievali: qui risulta tutto molto più irregolare, modellato dal trascorrere del tempo e dall’uso sistematico e continuo. È probabilmente un effetto della qualità dei materiali di costruzione: solidi, certo, è una fortezza, ma molto friabili: insomma, un’unghia può più di una cannonata.
Salgo su per il dedalo di vicoli a gradoni diseguali e non oso immaginare qui ad agosto che colpi di calore. Raggiungiamo infine la vetta, sfiorando macchine da presa e comparse in uniforme, riflettori e cavalletti. Lassù, nel punto più alto della rocca, forse un tempo c’era il corpo di vedetta, magari anche qualche cannone puntato su una delle principali rotte commerciali transahariane che conduceva infine a Marrakech attraverso il passo Tizi n’Tichka, a oltre duemila metri di quota, di cui ti ho parlato in una delle puntate precedenti. Ora qui c’è un bel bar all’aperto arredato di tavolini bassi e spartani, cuscini e tappeti pregiati, morbidi, accoglienti. La vista non è niente male e ci accingiamo ad aspettare la luce del tramonto per tramortire la nostra ansia di riprese fotografiche suggestive. Che in effetti a un certo punto arrivano, anche se Paolo, la nostra guida, dice che certe volte è persino meglio di così.
Quassù ho anche modo di osservare da vicino la tecnica di costruzione degli edifici nella città fortezza, perché all’ingresso del locale c’è un muro tirato su di fresco forse per rimediare a qualche crollo causato dal terremoto. È molto evidente che si tratta di un impasto, incredibilmente compatto, di argilla rossa, terra e paglia. Era così già nell' XI secolo, quando vennero realizzate le prime fortificazioni, ed è rimasto così nel XVII secolo, epoca alla quale risalgono le costruzioni, tra cui naturalmente una moschea e un caravanserraglio, che possiamo ancora ammirare oggi per la loro raffinatezza architettonica e l’elaborato intreccio delle decorazioni sulle facciate, in monocromia e in bassorilievo. Così emozionante che la sera ci ritroviamo tutti, armati di cavalletto, a fotografare le stelle che girano intorno alla fortezza: tecnicamente si chiama star trail, ma non tutti i luoghi sono così scenografici.
Così passiamo la notte a fotografare le stelle. Io ho problemi in realtà: me la prendo con la mia nuova macchina fotografica che insulto per una notte intera e per i giorni successivi. E poi invece semplicemente non sapevo usarla correttamente. La macchina del resto ha sempre ragione, io invece pure: pertanto un giorno ci lasceremo per incompatibilità di carattere. Per la cronaca, infine, è probabile che le riprese in cui siano incappati fossero per Il Gladiatore 2, sempre di Ridley Scott, ma senza Russel Crowe, in uscita nella sale di tutto il mondo a novembre 2024.
(4-continua)
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