L’auto corre veloce in mezzo al nulla. Il viaggio sembra non avere fine. Dai diportisti abbronzati di Bodrum, con gli yacht alla fonda e le bancarelle colorate, sono passato in mezzo a un paesaggio cancellato dalla siccità. Sterpaglie bruciate, colline brulle, monti minacciosi, lingue d’asfalto che si allungano per centinaia di chilometri dentro gli infissi di un cielo impossibile. Per arrivare a Pamukkale, mia prossima destinazione, devo fare un viaggio lungo quanto un’Odissea. Attraversare tre province, fino ad approdare in quella di Denizli dove l’Anatolia più aspra e selvaggia ha inizio.
Arrivo a mezzogiorno, il sole picchia forte manco fosse Efesto in persona. Decine di persone sono in rigorosa fila indiana, divise in due gruppi. Gentilmente chiedo all’assistenza del sito se sono previsti ingressi per la stampa. Sono fortunato: sotto il cartello PRESS non c’è nessuno. L’ingresso a Pamukkale è qualcosa di magico. Un’unica entrata per passare da un sito UNESCO, come appunto le piscine naturali di Pamukkale, all’antica città di Hierapolis e alle piscine di Cleopatra. Natura e cultura, tutto raggruppato in un fazzoletto di colline aride e isolate nel nulla.
Hierapolis è una distesa di rovine, pezzi e fusti di colonne accasciati al suolo come tanti soldati caduti dopo una battaglia. Per contrasto templi imponenti - come il Plutonium e quello dedicato ad Apollo - resistono sfidando gli dei e il sole agostano. Tuttavia la gemma di questo sito archeologico - degna della "città sacra" fondata, secondo le fonti più accreditate, all’indomani della pace di Apamea del 188 a.C. tra la repubblica romana e Antioco III nel cuore dell’antica Frigia - è sicuramente il Teatro. Domina la città da uno sperone roccioso, divorato da massi di rocce e arbusti. Non appena si raggiunge la vetta si ha la sensazione di sentirsi un dio. Solo il vento ti accarezza, assieme al silenzio di queste pietre che da millenni conoscono solo pace e grandezza. Un cartello, alla sommità della cavea, informa che dal 1957 nel sito è attiva la Missione Archeoligica Italiana di Hierapolis grazie alla quale è stato possibile il restauro del teatro, l’allestimento museale a valle e soprattutto la scoperta, non molti anni fa, del luogo dove ebbe luogo il martirio dell’apostolo Filippo. Il ritrovamento risale al 2008, grazie all’équipe di archeologi italiani guidati dal prof. Francesco D’Andria dell’Università di Lecce, la quale ha identificato, in un sito denso di moltissime tombe, tracce di una basilica a tre navate con nartece, sorta attorno al sepolcro dell’apostolo. Ancora più sorprendente è la scoperta, da parte dello stesso prof. D’Andria, di un’iscrizione nel complesso basilicale che recita "doulos tou apostolou Philippou", ovvero "servo dell’apostolo Filippo".
Respiro l’aria calda che sale dalle colline circostanti. Per un attimo mi sento un piccolo testimone della storia. Proprio qui, in questo luogo crocevia di secoli e culture, ha trovato la morte - intorno all’80 d.C. per mano del governatore della città a seguito della conversione al cristianesimo della moglie - uno degli apostoli più vicini a Gesù.
L’emozione mi coglie, un brivido mi attraversa.
Riscendo a valle e il percorso guidato, fiancheggiato da alberi e panchine, mi conduce prima al Museo di Hierapolis che custodisce pezzi straordinari, tra cui statue di epoca imperiale (risalenti nello specifico al principato di Adriano) e soprattutto sarcofagi dalla manifattura raffinata. Mentre sfilo accanto a questi reperti di incomparabile bellezza penso che qui in Frigia, così come in altre province orientali, l’impero romano fu altra cosa rispetto all’Occidente. Un coacervo di lingue, usi, costumi. Una sublimazione dello spirito romano che in qualche modo è transitata nel mondo bizantino e da qui fino alle soglie dell’epoca moderna.
Pamukkale in turco evoca un’immagine molto dolce e romantica. Il suo nome infatti significa "castello di cotone". Quello che appare alla mia vista è un’architettura bianca, abbacinante tanto da ferire gli occhi. Il sole rovente amplifica la lucentezza. Sono rapito da questo bagliore, sprazzi di una luce che non esito a definire divina. Un sistema di piscine a terrazze, formatesi nei secoli in seguito alla concrezione del calcare contenuto nell’acqua. Il sito si attraversa interamente a piedi nudi. L’acqua delle piscine è calda, il fondo è coperto da una fanghiglia calda anch’essa molto piacevole. Frotte di turisti si tuffano o scattano foto di gruppo.
"Ancient pools": la scritta troneggia all’ingresso delle piscine di Cleopatra. Qui la natura c’entra molto poco, a differenza di Pamukkale. Un’altra forza, in alcuni casi più trascinante della natura, ha permesso l’esistenza di questo sito. L’amore di Marc’Antonio per la regina d’Egitto Cleopatra. Per amore dell’ultima dei Tolomei, infatti, Antonio dispose la costruzione di queste piscine internamente scavate nella roccia e alimentate dalle stesse sorgenti termali della vicina Pamukkale. Anche qui, infatti, ci si bagna in un’acqua caldissima, con la temperatura che raggiunge i 34 gradi. Lo spazio delle piscine è raccolto ma una volta immersi si viene subito conquistati. Il fondo infatti non è né di sabbia né di ghiaia. Un lungo pavimento fatto di fusti di colonne, architravi e pezzi di marmo. Un vero e proprio tappeto della storia, quello che resta di un’antica struttura a forma circolare, forse un tempio o un balneum personale della regina.
Il sito di Hierapolis si allontana, inghiottito dalle schiene brulle di Frigia.
Ciò che non si affievolisce, però, è l’incontro emozionante avuto con questa città e il suo territorio. Un compendio di tutto ciò che appartiene all’umana bellezza.
(3. continua)