ANTICA
EFESO
LA METROPOLI
DEI CONTRASTI

Mi illudo per un attimo che il viaggio sia uno. Bodrum-Efeso: 170 chilometri circa. Le due località forse più famose, assieme a Smirne, della Turchia egea collegate dalla D330, la grande arteria che porta il mare fino all’Anatolia più selvaggia e viceversa.

Bastano pochi chilometri per accorgermi che il viaggio che sto affrontando è una scatola cinese che contiene più itinerari, più esperienze. In sottofondo scorre una vezzosa musica turca, molto pop e poco tradizionale, che scandisce le note di un paesaggio rimasto fedele a se stesso: colline brulle, un mare pieno di enigmi e soprattutto stuoli di venditori ambulanti che sui cigli delle strade vendono la qualunque.

Questo angolo di Turchia, oggi periferico, una manciata di secoli fa era un centro di primissimo livello. Proprio lungo queste coste, infatti, gli antichi coloni greci fondarono la Ionia. Uno spettacolare distretto socio-culturale dove le genti di stirpe ellenica plasmarono un mondo greco fuori dalla Grecia. Nel giro di pochi secoli iniziarono a sorgere città e centri di potere destinati a rimanere scolpiti nei libri di storia. Mileto, Magnesia, Efeso, Smirne, Euromus.


(Euromus, il tempio di Zeus - foto di Carole Raddato)


Proprio Euromus è la prima ad abbagliarmi con tutta la sua bellezza. È oltre il guardrail, bisogna prestare molta attenzione per notarla. Non ne resta molto: ampi sprazzi dell’area pubblica, qualche stoa, rocchi di colonne. La gemma di Euromus, fondata presumibilmente intorno al VI sec. a.C., è ben nascosta protetta da una fitta schiera di alberi: il Tempio di Zeus Lepsinos. È il tempio meglio conservato dell’antichità classica in Turchia. Fu eretto nel corso del secondo secolo a.C., nella fase di massimo splendore per la città. Ha sedici colonne sull’alzato, ancora ben erette, molte delle quali con iscrizioni recanti i nomi degli evergeti, ovvero dei benefattori che vollero legare il proprio nome alla città e in qualche modo all’eternità.


(Magnesia)


Euromus è solo una piccola sosta. Lo stesso per Magnesia, di cui resta una cortina di spesse mura e filari di colonne a indicare forse un tempio, e Mileto con le sue rovine mal conservate. Una fitta al cuore mi coglie. Vedere lo stato di abbandono della città che diede i natali alla filosofia classica mi intristisce. Tuttavia, nonostante il tempo cancelli uomini e cose, lungo queste sponde uomini mostrarono ad altri uomini che un mondo diverso, razionale e governato dall’armonia, era possibile. Mileto a sud, Lesbo a nord. L’invenzione del pensiero, da una parte; quella del canto, dall’altra. I pilastri della cultura occidentale racchiusi in poco più di duecento chilometri.


(Efeso)


Efeso è collocata al centro di una vallata. Un ampio parcheggio segna l’ingresso, costeggiato da una fila di bancarelle che esibiscono souvenir e "veri falsi" di famosi brand europei e mondiali. Arrivo che è mezzogiorno in punto. Un mezzogiorno di fuoco, in tutti i sensi. La calura spegne persino il vento che pure aveva iniziato a cantare tra gli arbusti e gli ulivi. Efeso è una vera e propria metropoli dell’antichità. Di questo aspetto 'metropolitano' conserva la tendenza a fondere elementi tra loro diversi e contrastanti. Dal teatro greco alle fontane romane; poi ancora un teatro, quello di epoca imperiale (oggi in fase di restauro), a monumenti funebri, strade basolate, ninfei, sculture, molte acefale, colonne, capitelli rovinosamente abbandonati o superbamente in cima a colonne sfolgoranti. Oriente e occidente, conquistatori e conquistati, guerra e pace. Efeso si regge sui contrasti.


(Efeso, la biblioteca di Celso)


Il contrasto per antonomasia è rappresentato dalla Biblioteca di Celso. Un patrimonio UNESCO rinchiuso dentro all’immenso patrimonio dell’antica città.

Il contrasto non è solo negli stili, metà austera facciata di un tempio metà solenne propileo di un maestoso monumento pubblico, ma soprattutto nella collocazione. La Biblioteca infatti sorge accanto all’arco di Augusto con una vistosa e orgogliosa iscrizione che celebra la vittoria del princeps Augusto sui pirati. Conquistatori e conquistati. Sapere e potere. Il confine è estraneamente labile. Cammino tra i portici della biblioteca, cercando riparo dall’arsura che mi sta provando più di quanto pensassi. Un leggero venticello si alza, assieme all’odore di creme solari e di panini. Mi soffermo sulle statue all’ingresso, personificazione del sapere e della saggezza. Ancora una volta un contrasto: la forza della ragione e a pochi metri da essa la brutalità della conquista.


(Efeso, l'Odeon)


Prima di arrivare alle porte di Efeso un cartello mi ha incuriosito.

"Meryem Ana evi", sette chilometri.

Sette chilometri impervi, curve e dislivelli spaventosi. Efeso man mano si allontana, solo il teatro greco è ancora visibile in lontananza. Bus di turisti affollano lo spiazzo con al centro una statua della Vergine Maria. Il turismo di massa, tutto like e selfie sfrenati, non è interessato al rispetto né dei luoghi né della fede.

Sì, perché quello che sto per visitare è uno dei luoghi più potenti della cristianità. Proprio qui, su questa altura sepolta da boschi impenetrabili, avrebbe trovato la morte secondo la tradizione Maria, madre di Gesù. In turco infatti "Meryem Ana evi" significa "La casa di Maria".


(Efeso, il tempio di Adriano)


Un lungo viale alberato prima, una scalinata a terrazza poi, portano a un‘antica cisterna, probabilmente di età bizantina, e a poca distanza ad una piccola e minuta cappella. Un solo ambiente: si riesce a malapena a starci. All’interno ci sono ex voto, rosari, effigi.

Il luogo è visitato da cristiani, sia di credo cattolico che ortodosso, da musulmani e da altre confessioni. È difficile descrivere l’impatto con questo sito. Si ha come l’impressione di invadere l’intimità di una famiglia. Una casa semplice, austera. Proprio come Maria, madre di Cristo, che giunse in queste terre per dare testimonianza del figlio risorto dalla morte assieme al prediletto apostolo Giovanni.


(Efeso, la casa di Maria)


L’emozione taglia l’aria. Due bambine si rincorrono a poca distanza da me. Una è musulmana: sento il suo nome, Jasmine, dalla voce della mamma che la chiama; l’altra è ebrea, il suo nome è Miriam, Maria in ebraico. Giocano insieme, senza nemmeno conoscersi. E sempre insieme accendono due ceri fuori dalla cappella. Non conoscono la guerra, giocano semplicemente. Ignorando che a centinaia di chilometri, in una terra anch’essa arida e ricca di cultura e contrasti, decine di migliaia di persone muoiono per un’inutile striscia di terra.

(4. continua)


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