Quando l’ho vista la prima volta sono rimasta affascinata dal silenzio delle sue strade, dal sole che batteva sulle mura color miele e da quest’aria di museo en plein air. Dormivo in una madrasa trasformata in albergo, modestissimo ma non mancava nulla, e appena uscita mi vennero incontro delle donne vestite con abiti tradizionali che mi offrirono oggetti fatti a mano: calzerotti di lana, copriteiere, piccoli tappeti e tovaglie da tavolo. Ricordo di aver acquistato qualcosa. Non c’erano ristoranti all’interno della città vecchia. Oggi, come allora, Khiva e la sua parte antica chiamata “Ichon-Qala” (dentro le mura), è sempre circondata, appunto, dalle sue belle mura, con un centro storico meravigliosamente conservato, come sospeso nel tempo, e, sebbene la presenza turistica sia notevolmente aumentata, passeggiare per le sue stradine è molto suggestivo e affascinante. La città è stata oggetto da parte dei sovietici di un accurato programma di restauro e ci si muove all’interno di questo “museo” come in un villaggio incantato. Vorrei anche dire come in un set cinematografico, ma sembrerebbe un luogo finto, e invece la città è vera, vivace e assai bella.
L’ ”Ichon-Qala” di Khiva è stato il primo sito in Uzbekistan ad essere iscritto tra i Patrimoni della Umanità nel 1991.
Naturalmente insieme con il numero di turisti, proporzionalmente, è aumentato il numero di negozi e mercatini, ma, in realtà, contro le mura color sabbia di moschee, madrase e monumenti, il rosso di abiti e di “suzani” (tappeti da tavola o da muro) sta benissimo, è un felice accostamento.
A differenza di Samarkanda e Bukhara, i monumenti di Khiva non sono sempre ricoperti di piastrelle, mosaici e decori, ma sono costruiti, o restaurati, con mattoncini a vista che creano bellissimi disegni color sabbia o color miele. Sui tetti di alcuni alberghi si aprono immense terrazze gestite da ristoranti. L’ora del tramonto è perfetta per ammirare il panorama della città vecchia, poi arrivano le luci come tante lucciole.
Leggende a parte - che vorrebbero Khiva fondata 2500 anni fa da un figlio di Noè quando vagando nel deserto scoprì un pozzo di acqua dolce ed esclamò: Khi-va (acqua dolce)! - le sue prime tracce risalgono all’VIII secolo, forse prima, quando era una piccola fortezza, oasi carovaniera lungo la Via della Seta, punto di ristoro e centro commerciale. Viene anche ricordata per il commercio di schiavi, il più importante dell’Asia Centrale, durato qualche secolo.
Un ruolo di importanza politica Khiva lo assume solo nel XVI secolo, verso il 1511, quando diventa la capitale del Khanato di Khorezm, dopo la distruzione della precedente capitale ad opera di Tamerlano, consolidato sotto Abu Gazi Khan. Seguono lunghi periodi di lotte tribali tra i vari khan di turno che, commercio degli schiavi a parte, saranno ricordati per astuzia e ferocia. Quando lo zar Pietro il Grande nel 1717 invia a Khiva un esercito di 4000 uomini in missione esplorativa sul mercato degli schiavi che garantiva proventi, ricchezza e fama alla città, i soldati, accolti da ospiti, vennero divisi e fatti alloggiare in piccoli gruppi in varie abitazioni e massacrati nel corso della notte. La testa del principe Bekovich, che accompagnava gli uomini, venne spedita all’emiro di Bukhara.
Tra alti e bassi, solo alla fine del Settecento (1770) la tribù uzbeka Kungrad prevalse sulle altre ottenendo il predominio sulla regione e garantendo a Khiva un periodo di stabilità, sviluppo, crescita ed espansione dei commerci prevalentemente con la Russia. Sebbene ricca e prospera Khiva non interruppe comunque il commercio di schiavi che rappresentavano una delle principali merci di scambio. I rapporti con la Russia non erano dei migliori e il ruolo della città viene più volte citato nel libro di Hopkirk “Il Grande Gioco”.
Nel 1873 Khiva viene sottomessa alla Russia e i khan diventano vassalli dello zar fino al 1920, quando il khanato viene abolito dai bolscevichi e sostituito dalla Repubblica Popolare del Khorezm che, dopo pochi anni, sarà assorbita dalla Repubblica Socialista Sovietica dell’Uzbekistan.
L’ultimo Khan che si arrese ai russi fu Mohammad Rahim Khan II che regnò piuttosto a lungo dal 1864 al 1910; filosofo e poeta, assai più interessato all’arte che alla politica, attuò tuttavia numerose riforme in politica, economia e istruzione per migliorare la città e la vita degli abitanti. Alla sua corte usava ospitare poeti e compositori, è stato il primo a introdurre la litografia in Asia Centrale nel 1874 e a sostenere lo sviluppo della fotografia e della cinematografia. Sotto il suo regno vennero costruite nel Khorezm molte madrase, moschee, minareti e scuole coraniche, infatti almeno 45.000 studenti frequentavano le 1500 scuole presenti sul territorio e almeno 6500 persone ricevettero una educazione di livello superiore. Una madrasa, costruita alla fine dell’Ottocento su sua indicazione, è ancora lì e ospita il Museo di Storia del Khanato di Khiva.
Per visitare alcuni dei più begli esempi di architettura islamica si resta all’interno delle mura. Nell’altra parte di Khiva fuori dalle mura “Dichon-Qala”, vive la maggioranza degli abitanti, poco meno di 100.000 persone. Delle quattro porte la più importante è “la porta del padre” Ota-Darvoza dove, solo a questa porta, viene richiesto un conveniente biglietto per entrare, che consente l’accesso gratis a tutti i siti e monumenti della città. Se si entra da un’altra porta si paga l’accesso ai vari siti di volta in volta.
Entrando da Ota-Darvoza si trova, anche qui a Khiva, una splendida fortezza, Kuhna Ark, edificata nel V secolo e più volte ricostruita, dove hanno vissuto i regnanti. Vale la visita perché il complesso, che presenta fini decorazioni in legno e maioliche, al suo interno custodisce la moschea, l’harem, le scuderie, la caserma e anche la prigione nota con il nome di Zindon. Dal magnifico cortile si accede alla sala del trono completata nel 1806 dove il Khan dava udienza alla folla. D’inverno, per evitare funesti raffreddori ma non mancare ai suoi doveri, si montava una yurta (una grande tenda) all’interno del cortile. Il trono interamente scolpito in argento pare si trovi ancora al Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo e sono in corso negoziazioni per averlo indietro. Bellissima la vista dall’alto dei bastioni. La moschea estiva, come dice il nome, è en plein air e tutta decorata con piastrelle con motivi floreali. Esisteva anche una zecca oggi museo che custodisce monete e banconote.
Lasciando la fortezza si incontra l’Hotel Khiva, una “trasformazione” della Madrasa di Mohammed Amin Khan costruita a metà Ottocento, oggi il bar occupa il posto della moschea. Non ho notizia dei commenti locali. Mohammed Amin fece anche costruire il minareto Kalta Minor, vicino alla madrasa, con l’idea di farne il monumento più alto del mondo, ma venne ucciso in battaglia e il minareto si fermò all’altezza di soli 26 metri di bellezza e di eleganza.
La Moschea Juma o Moschea del Venerdì è grandiosa con le sue 218 colonne in legno scolpito che ne sorreggono il tetto. Costruita nel X secolo e poi rimaneggiata, dona un grande senso di quiete Una parte delle colonne, quelle più decorate, sono anche le più antiche e originali. Vicina la Moschea Bianca di Ak con bellissime porte intarsiate e lì accanto c’è l’Hammam Anusha Khan del 1650 che già allora vantavano un eccellente sistema fognario, di riscaldamento sotterraneo e di approvvigionamento idrico.
Ancora Madrase e minareti. Quelli di Islam Khodja sono gli ultimi costruiti a Khiva verso il 1910, su commissione postuma di un Gran Visir troppo riformista per le idee del Khan regnante e fatto assassinare. Il minareto è alto quasi quanto il Kalon di Bukhara e la Madrasa ospita un interessante museo con reperti di storia locale.
Il Khan Allah Kuli ha lasciato diversi monumenti, tutti costruiti nel XIX secolo: un bazaar e un caravanserraglio ancora adibiti al commercio, una Madrasa e il Palazzo Tosh-Hovli, ovvero “casa di pietra”, costruito in momenti successivi e in segmenti diversi e che per questo ha l’aspetto di un labirinto con oltre 150 stanze, corridoi, nove cortili e diverse entrate. Bello il quartiere femminile caratterizzato da decorazioni nei toni del blu.
Due Mausolei concludono la visita dei monumenti più significativi di Khiva.
Il Mausoleo di Sayid Alauddin, un personaggio sufi, il più antico della città ancora in piedi; è stato costruito nel 1310 su ordine dei regnanti mongoli dell’Orda d’Oro. Il Mausoleo di Pakhlavan Mahmood, santo guerriero dell’Islam considerato il patrono di Khiva, uno dei più belli in assoluto della città. Il santo è scomparso nel 1325, ma il mausoleo è stato edificato assai più tardi nell’Ottocento e ospita la famiglia del Khan dell’epoca, Mohammed Rahim, al quale è stata dedicata una stanza in un prezioso stile persiano con ornamenti in avorio.
Sebbene Khiva sia assai più piccola di Samarkanda e Bukhara e tutta concentrata all’interno delle mura, vorrei suggerire di dedicarle almeno due giorni pieni e sempre in compagnia di una guida che, come detto altrove, evita lo spreco di tempo e evita di perdersi nelle stradine dove è bello vagabondare al tramonto.
Con Khiva si conclude il giro tradizionale dell’Uzbekistan, delle città-stato e dei suoi gioielli tradizionali. Ma non vanno dimenticati altri luoghi, da scoprire se possibile: Thermez, Nukus e la capitale Tashkent. Alla prossima…
(4. continua)