VECCHIO
O MASCHIO
LA CORSA
DEI LEADER USA

Chi non si è mai posto la domanda: “Possibile che alle prossime presidenziali americane si sia costretti scegliere tra l’ottantunenne Biden e il settantottenne Trump?” Il senso comune, negli USA e nel mondo, è che i due siano troppo vecchi per essere candidati alla leadership più potente nel mondo.

Ma Biden è accusato di essere più che vecchio. “Sleepy Joe,” un addormentato, il soprannome che gli ha appioppato Trump e gli è rimasto appiccicato, suggerisce “rincoglionito,” uno che non ricorda, confonde date, paesi e presidenti, come quando di recente ha collocato l’egiziano Al-Sisi alla presidenza del Messico.

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Di Trump si può dire che oltre ad avere la sua bella età ha anche il vocabolario di un bambino di otto anni , ed è un campione di strafalcioni e gaffe . Leggiamo che ha confuso Biden con Obama e l’Argentina con una persona. Eppure, nel primo dibattito tra i due candidati, che si svolgerà giovedì 27 a Cleveland sotto il patrocino della CNN, tutti i riflettori sono puntati su Biden.

Sono tutti d’accordo che deve dimostrare di non essere la figura di nonnetto senile che gli è stata cucita addosso, complici i media che diffondono immagini manipolate malignamente. Tanto per citare un caso recente, durante il G7 in Puglia non stava vagando confuso come volevano far credere, si era solo allontanato dal gruppo dei politici per salutare il paracadutista.

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Di Trump si dà per scontato che dica stranezze. Se rischia di scivolare da un podio, come gli è successo diverse volte, il fatto viene riportato una volta e finisce lì, un po' perché i democratici non sanno fare la comunicazione politica, un po’ perché Trump è rapidissimo nel reagire alle sue pubbliche debolezze con tale aggressività da dare l’impressione di essere, al contrario, molto vigoroso.

Qui vorrei azzardare una ipotesi, che combina varie riflessioni già emerse da qualche tempo ma poco presenti nella discussione. La questione non è tanto dell’età e della confusione mentale. Trump e Biden sono della stessa generazione e quanto a confusione mentale Trump batte Biden. Ma Trump batte Biden in un test non detto e credo più importante ai fini della campagna: quello sulla mascolinità.

A differenza di Biden, Trump esibisce tutti i tratti più distintivi della mascolinità convenzionale, quelle del boss per antonomasia: l’aggressività, la competitività, l’autopromozione, la propensione a dare agli altri la responsabilità per le proprie colpe, la sicurezza di sé e il narcisismo. Non è detto che la leadership femminile non esibisca gli stessi tratti, ma sono questi tratti che continuano a definire la leadership politica e non solo.

Su questo tema si scrisse anche nel 2020. Allora Biden si presentò come un tipo alternativo di leader maschio, il paternalista, contro Trump l’autoritario. L’invecchiamento e la conseguente fragilità hanno però creato le condizioni per un rilancio da parte di Trump della mascolinità autoritaria come simbolo di competenza. Il vecchio è simbolicamente meno potente in tutti i sensi, e meno competente in quanto “non compos mentis.” Ci sono precise indicazioni che il martellamento di Trump sulla vecchiaia/debolezza/femminilizzazione di Biden possa funzionare, e qui suggerisco come.

Trump continua a battere regolarmente Biden nei sondaggi , mentre si stanno erodendo i margini di vantaggio del presidente democratico tra le donne, le minoranze di colore, e i giovani, il cosiddetto gender, race ed age gap. In concreto, dal 2020 Biden ha perso il 5% del suo vantaggio tra le donne, il 23% tra i neri, il 13% tra gli ispanici, e il 12% tra gli elettori da 18 a 29 anni. Le statistiche sull’elettorato bianco sono molto più stabili, ma va detto che qui il gap a favore di Trump è più del 13% e il 28% tra i bianchi senza titolo universitario, la grande maggioranza dei quali sono maschi.

Mentre è preoccupante che Biden stia perdendo il suo vantaggio tra le donne, i dati indicano che le sue perdite sono rilevanti tra i maschi di altri sottogruppi. Thomas Edsall, autore di una rubrica settimanale sul New York Times, offre una spiegazione di questa tendenza che trovo convincente anche perché basata su ulteriori dati ed analisi: l’aggressività politica attrae di più gli uomini, dai quali ci si aspetta che mantengano la propria identità di “veri maschi,” e che quindi sono propensi a seguire una leadership che si conforma all’immagine aggressiva della mascolinità convenzionale. Trump è in questo senso più attraente di Biden.

Forse non è troppo una sorpresa che una forte identificazione dei maschi con un’immagine di mascolinità convenzionale si rifletta nell’adesione al partito repubblicano. Tra i maschi repubblicani, il 54% si autodefinisce “molto mascolino,” e il 39% “un po’.” Il contrario avviene tra i maschi democratici. Non esiste la stessa divisione tra le donne: sia le democratiche che le repubblicane si identificano con una femminilità tradizionale al 40%. In altre parole, non è l’identificazione di genere che determina l’adesione politica delle donne. Il problema per i democratici è che la maggioranza dei maschi neri e ispanici si auto-identificano come “molto mascolini,” e sono quindi più vicini ai maschi repubblicani. I giovani maschi sono tradizionalmente più conservatori delle loro coetanee; non ci sono prove di uno spostamento a destra, ma i sondaggi rivelano che quasi il 40% di loro pensano che la società funziona meglio se uomini e donne stanno al loro posto, cioè quello che è “più naturale per loro,” e la metà pensa che la società americana è diventata troppo “molle e femminile.”

Giovedì prossimo, il presidente Biden ha un obiettivo fondamentale: convincere il suo elettorato, specialmente quello maschile, che ha l’energia, l’intelligenza e la vitalità necessarie a battere il crasso bullismo del suo rivale.

*Anna Di Lellio insegna politica internazionale alla New York University. Da trent'anni segue le elezioni presidenziali americane e partecipa alle campagne del candidato democratico nelle attività di porta a porta.

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