TRUMP-BIDEN
VINCE DONALD
LA PAURA DEM:
NUOVO NOME?

Ho guardato il dibattito tra Trump e Biden con un gruppo di amici giornalisti, scrittori, psicologi, tutti democratici e preoccupati da morire per una possibile vittoria di Trump, nella cittadina di Great Barrington in Massachusetts, che più blu non si può. C’era trepidazione all’inizio, ma anche speranza che Biden potesse brillare e dimostrare la sua superiorità politica oltre che morale. Poi è seguito l’orrore, infine la depressione. Dopo dieci minuti l’amica giornalista, che aveva nascosto la testa sotto un cuscino del divano, ne è emersa dicendo: “Biden deve dimettersi immediatamente, ora!” Il consenso è unanime, c’è ancora tempo, la convenzione democratica non è ancora avvenuta, un nuovo candidato potrebbe essere nominato.

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Trump ha stravinto il dibattito, e non conta che abbia detto una valanga di bugie. Ne è uscito rafforzato, e in modo decisivo. Alla vigilia si parlava di un Trump indisciplinato, che sarebbe arrivato impreparato, al contrario di Biden, addestrato da esperti consiglieri a rispondere a qualsiasi domanda. E invece Trump ha dimostrato di aver imparato la lezione alla perfezione. Non ci voleva molto, perché i principi della comunicazione politica sono pochi ed elementari. Si sceglie un messaggio semplice e lo si ripete in tutte le salse. Alle domande si risponde, quando necessario, come si vuole, non come si deve. E non si parla mai di programmi e politiche in dettaglio. Per esempio, quando a Trump hanno chiesto se avrebbe sostenuto uno stato Palestinese, lui ha risposto che è una questione di soldi ed è subito passato a parlare della NATO e di come gli altri paesi membri non pagano contributi adeguati, lasciando tutto il peso dei finanziamenti agli USA. E quando gli hanno chiesto di commentare il proprio ruolo nell’insurrezione del 6 gennaio 2020, si è lanciato in una diatriba su come nel 6 gennaio del 20 il paese stesse molto meglio di ora. Alla domanda su come affronterà il problema degli asili nido, ha risposto accusando Biden di non aver licenziato i generali colpevoli dell’umiliante ritiro dall’Afghanistan. Solo sugli asili Biden lo ha richiamato all’ordine, per il resto il presidente è rimasto sulla difensiva, incapace di cambiare il tono di una discussione che ha visto Trump costantemente all’attacco.

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Biden è apparso fragile come non doveva, a volte confuso, incoerente, e sempre con un’espressione di incredulità sul viso per le menzogne iperboliche snocciolate da Trump. Ha certamente presentato con chiarezza i risultati della sua amministrazione, ma non è mai stato convincente. Ha parlato di politica concretamente, dimenticando l’altra lezione fondamentale della campagna: le emozioni, nel bene e nel male, sono quelle che un candidato deve mobilitare. E così Trump ha avuto campo libero per ripetere i suoi messaggi: sotto Biden l’America è un paese fallito, l’inflazione è stata causata da Biden, Biden sta portando il mondo verso la terza guerra mondiale, Biden ha aperto i confini a malati mentali e criminali che stuprano le donne americane e rubano il lavoro ai neri.

Trump ha presentato gli argomenti a sostegno di 'Make America Great Again'. I suoi sono tutti messaggi basati sulla paura e il risentimento, fondati su menzogne, come l’idea che i democratici sono a favore dell’aborto di feti di nove mesi senza un motivo serio, e perfino a favore dell’assassinio di un bambino appena nato. O come l’idea che Biden è così pro-palestinese da essere come i palestinesi, ai quali però non piace perché troppo debole.

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Tutti messaggi asseriti con certezza e arroganza. Non piacerà ai sostenitori di Trump né agli indipendenti, ma sappiamo che i repubblicani e i democratici vivono in due mondi paralleli e i seguaci di Trump sono disposti a credere alle sue bugie. Parte la discussione, i primi commenti del dopo dibattito alla CNN. Si comincia con il giornalista John King: racconta come, durante il dibattito, abbia ricevuto messaggi da una varietà di personaggi e gruppi del partito democratico che questa sera esprimono solo panico. Anche in TV il consenso è sull’assoluto bisogno, per vincere le elezioni, di cambiare candidato.

*Anna Di Lellio insegna politica internazionale alla New York University. Da trent'anni segue le elezioni presidenziali americane e partecipa alle campagne del candidato democratico nelle attività di porta a porta.

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