BIDEN
THE DAY AFTER
COSÌ SI AVVIA
IL TRENO DEM

(Una litografia del 1837: la prima apparizione dell'asinello Democratico - immagine ripresa da The Smithsonian magazine)

I democratici si sono svegliati il giorno dopo la catastrofica condotta di Joe Biden nel dibattito con Donald Trump come dopo una brutta sbronza. Dico democratici e non partito democratico perché il partito non esiste in quanto tale, c’è un popolo e i suoi “grandi:” per esempio, i 750 super-delegati alla convenzione, inclusi tra gli altri i capigruppo al Congresso, i governatori e i più prominenti tra la leadership del Democratic National Committee, fra i quali la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer e la senatrice dell’Illinois Tammy Duckworth. Quello che stanno facendo i grandi, insieme all’entourage di Biden, prima di tutto la sua famiglia, non lo so. Ma posso provare a spiegare come possono muoversi, se dovessero decidere di chiedere a Biden di farsi da parte, una volta che la polvere sollevata dal dibattito si sia dissipata.

Il popolo invece so che cosa sta facendo, perché ne faccio parte. Comincerò quindi dal popolo. La sera del dibattito, noi che guardavamo la televisione eravamo tutti in posizione fetale. In molti avevano pensato bene di astenersi dal guardare, e molti altri hanno spento la TV dopo i primi dieci minuti. Il giorno dopo molti si sono mobilitati. Nel pomeriggio mi sono ritrovata in una riunione con una trentina di volontari a Sheffield, Massachusetts, non pochi su una popolazione di tremila. Tutte facce nuove, mi ha detto la vicina di casa Holly, l’organizzatrice della riunione come fondatrice del gruppo “Left Field”. Letteralmente, left field è la parte di sinistra del campo di baseball, ma idiomaticamente vuol dire “inaspettato”, “strano”, significato che viene dal fatto che una palla lanciata da sinistra sorprende il giocatore che sta correndo verso la casa base per segnare. In altre parole, vuol dire “non ci hanno visto arrivare”.

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Holly e alcuni suoi amici hanno fondato Left Field nel 2016, dopo la vittoria di Trump, per aiutare candidati democratici a vincere seggi al Congresso. La riunione di venerdì era stata annunciata sui giornali locali e con il passa parola. Si è svolta a Dewey Hall, un edificio costruito nel 1887 per onorare il pastore locale abolizionista e oggi usato dalla comunità per attività sociali. Ci sono state poche parole di apertura: cinque minuti di presentazione del gruppo, un minuto di riconoscimento della catastrofe del dibattito, e l’esortazione a scendere in campo perché oggi è la democrazia che è in gioco. L’obiettivo di Left Field è concreto. Impegnarsi nella campagna di Josh Riley, candidato democratico al Congresso nel vicino distretto dello stato di New York, battuto solo per 5mila voti nel 2022 dal repubblicano Marc Molinaro. In Massachusetts non ci sono competizioni elettorali sfavorevoli ai democratici, si lavora dove c’è bisogno. E comunque vadano le elezioni presidenziali, bisogna vincere al Congresso. Nella riunione si spiega come si lavorerà e si raccolgono nomi e numeri di telefono.

La campagna non si svolgerà guardando i dibattiti in televisione o seguendo i candidati su Facebook o i loro tweet su X. Si farà il porta a porta, si telefonerà e si scriveranno lettere o cartoline agli elettori. È dimostrato che questo è il metodo migliore per portare la gente a votare. Ma votare per chi? Nel nostro caso Josh Reily è un candidato locale, un giovane ed energico avvocato con esperienza politica come funzionario al Senato. Ma questa campagna di base aiuterebbe molto anche il candidato democratico alla presidenza in quel distretto a nord dello stato di New York, che a differenza della città è conservatore. Left field ci ha offerto dei cartelli Biden-Harris, di quelli da piantare in giardino per significare l’intenzione al voto. Nessuno li ha presi, nel caso non siano loro i candidati. Convincere Biden a lasciare la candidatura, e trovare chi possa sostituirlo con successo, sta dominando la discussione ovunque, nelle case, nei media, e tra i grandi del partito.

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Seguendo la mia vicina Holly, che è un esempio di militanza democratica in senso lato, ho scritto una email personale a Jill Biden per chiederle di far ritirare il marito. Holly sta preparando un testo da diffondere tra parenti, amici e altri attivisti perché lo firmino e lo mandino alla First Lady chiedendo lo stesso. Sarà facile ottenere che Biden sgombri il campo? No, ma si può fare. Ecco quali sono gli ostacoli da superare, una volta ottenuto quel risultato. Joe Biden è stato eletto candidato nelle primarie, e alla convenzione di Chicago, il 19-22 agosto, se nulla cambierà sarà nominato ufficialmente. Le regole sono chiare, anche se un po’ complicate. Alla convenzione parteciperanno 3200 delegati di base distribuiti secondo una formula matematica tra i cinquanta stati più il Distretto di Columbia dove c’è la capitale Washington. Questi delegati, assegnati secondo i risultati delle primarie, sono quasi tutti per Biden, che non è stato credibilmente contrastato da nessuno. Ma una riforma dello statuto non li obbliga a votarlo, bensì permette di votare “in tutta coscienza”, il che può voler dire che possono non votare per lui se pensano sia il candidato sbagliato.

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Ci sono poi i super-delegati, assegnati automaticamente. Sono i grandi, i governatori, i leader del Congresso e del partito. Dovrebbero essere 750. Dopo il 2016, quando i sostenitori di Bernie Sanders accusarono i potenti del partito di aver nominato Hillary Clinton che era la preferita tra di loro, non possono votare alla convenzione se non dopo il primo ballottaggio. È quindi possibile che qualcun altro, diverso da Biden e da Kamala Harris, impopolare nel paese e nel partito ma erede naturale della candidatura, possa essere nominato. Lo scenario più probabile, se si scegliesse questa strada, prevede il ritiro volontario di Biden e nel migliore dei mondi possibili anche della Harris e la proposta di un nuovo candidato sulla quale ci sia grosso modo un consenso.

C’è poi la questione dei fondi. A chi andranno le decine e decine di milioni ammassati finora da Biden? Su questo si sentono anche assurdità, tipo, “andranno automaticamente a Kamala Harris”. Invece Biden prima di tutto dovrà saldare i conti ancora aperti con fornitori di vari servizi e lo staff. Quello che resta potrà girarlo ad un cosiddetto “leadership PAC” (Political Action Committee), cioè un fondo dedicato a chi è nominato alla convenzione. È certamente possibile anche se non augurabile che nulla cambi da qui ad agosto. Dai sondaggi sappiamo che se Biden ha perso nettamente il dibattito non ha perso che poco più di un punto di percentuale e Trump non ha guadagnato nulla. E sempre nei sondaggi Biden resta il democratico che ha più chance di battere Trump. Ma dal dibattito hanno guadagnato i terzi candidati, pur essendo uno più improbabile dell’altro, e questo è un rischio. E se il problema della vecchiaia di Biden è serio, non è il solo che piaga la sua candidatura. Ce ne sono diversi che metterebbero nei guai anche un’eventuale altra candidatura democratica. Ma questa è un’altra storia.

*Anna Di Lellio insegna politica internazionale alla New York University. Da trent'anni segue le elezioni presidenziali americane e partecipa alle campagne del candidato democratico nelle attività di porta a porta.

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