TENAGLIA DEM
SU BIDEN
IL GIOCO
DELL'ATTESA

La settimana scorsa è passata come la lunga vigilia di qualcosa di importante che doveva accadere ma non è accaduta: l’annuncio che Joe Biden intende ritirarsi dalla corsa per la presidenza. Nell’universo democratico non si che parla che di questo. In realtà i partiti sono due, quello a favore della sostituzione di Biden e quello a favore dello status quo, e le posizioni si stanno estremizzando.

Al canonico barbecue del 4 luglio per la festa dell’indipendenza, in tre mi hanno tolto la parola perché ho sostenuto la prima ipotesi. Ritiratami sconsolata in un’altra parte del giardino, ho incontrato due persone che avevano vissuto la stessa esperienza. Se sei per il ritiro di Biden, i contrari ti accusano di fare il gioco di Trump. E invece il punto è battere Trump, ipotesi quasi impossibile con Biden candidato.

Con le buone Biden non si ritira. Ha riaffermato la sua decisione parlando ai sostenitori in Wisconsin, chiacchierando con un commentatore amico alla radio in Pennsylvania, e rispondendo alle domande cortesi ma taglienti di George Stephanopoulos della rete Tv ABC. Una settimana fa il problema era solo la sua età. Oggi sono la sua testardaggine, l’arroganza, la mancanza di contatto con la realtà, e la sua salute mentale.

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(Nancy Pelosi)

Comincio da quest’ultima. È stata la ex-presidente del Congresso Nancy Pelosi, 84 anni e voce un po’ tremante ma lucidissima, che cinque giorni fa ha aperto il dibattito commentando l'orribile performance al dibattito: “Forse non è questione di stanchezza ma di condizione di salute”. Tutti abbiamo visto Biden parlare in modo incoerente, perdere il filo del discorso e a volte balbettare parole incomprensibili. Il presidente si muove lentamente, stancamente e rigidamente. Il suo fisico, alto e snello per un ottantunenne, è visibilmente fragile. I lineamenti del volto sono rigidi.

Per il neurologo Sanjay Gupta, commentatore sulla salute alla CNN, si tratta di una collezione di sintomi coerenti con una degenerazione neurologica. Gupta sostiene che il Parkinson non è la sola causa di questi sintomi, e per capire cosa spieghi quelli mostrati da Biden occorre una varietà di test cognitivi, ai quali finora non è stato sottoposto e non intende sottoporsi.

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Ufficialmente sappiamo che nel febbraio scorso un neurologo ha escluso che il presidente avesse il Parkinson dopo averlo sottoposto ad un test specifico. Ma solo ora il New York Post ha scoperto che lo specialista sul Parkinson dell’Ospedale Militare 'Walter Reed' ha visitato la Casa Bianca otto volte nell’ultimo anno. Resta la domanda: perché Biden ha consultato questo specialista con tanta frequenza? E perché l’abbiamo saputo solo ora?

Quando gli è stato chiesto “farà un test cognitivo per dissipare i dubbi sulla sua salute?” Biden ha detto seccamente “no”. La famiglia, il suo staff, gli eletti e gli elettori democratici che lo sostengono pensano che abbia ragione, che sia solo stanco, che sia davvero il candidato più forte contro Trump, che cambiare candidato ponga molti più rischi dell’accettazione dello status quo, e che i critici stiano creando più danni che altro. Non si rendono conto che se le condizioni fisiche di Joe Biden sono degenerate velocemente negli ultimi quattro mesi, come testimoniato dai suoi stessi collaboratori, nei prossimi quattro che ci separano dalle elezioni potrebbero peggiorare ancora. Se pensano di poter contrattaccare i critici impegnando Biden in più comparse pubbliche, stanno giocando un gioco rischiosissimo.

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(Biden con Kamala Harris)

I sondaggi danno Biden sei punti sotto Trump, e in perdita negli stati che contano, quelli non solidamente democratici ma dove si ha una chance di vittoria. Biden li nega. I sondaggi dicono che farà perdere anche i candidati al Congresso e al Senato. Nega pure questo. Il crescente dissenso dentro il partito ha fatto uscire allo scoperto cinque rappresentanti eletti che gli hanno chiesto di ritirarsi. Robetta, il partito è con Biden. Il suo tasso di disapprovazione è al 36%, cioè statisticamente pochissimo.

Non è vero. Si cercano spiegazioni su cosa possa esserci dietro questo atteggiamento bizzarro. È colpa della sua psicologia alla Rocky Balboa, del tipo 'se cado mi rialzo'? Oppure è colpa della famiglia, dalla moglie Jill, finora universalmente apprezzata e oggi sospettata di essere una Lady Macbeth, al figlio Hunter, un criminale condannato? Oppure dei suoi consiglieri più stretti, che non gli dicono la verità e non la dicono a noi, anche se la sanno? Insomma, è una cospirazione?

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Qualsiasi sia la risposta a queste domande, Biden rischia di lasciare un’eredità che non gli dà lustro. Al contrario. Quando Stephanopoulos gli ha chiesto come si sentirebbe se restasse nella corsa e perdesse contro Donald Trump, Biden ha detto: “Sarei tranquillo se sapessi di avercela messa tutta.” È una risposta imperdonabile. La competizione per la presidenza americana non è come la gara di sci di fine corso dove viene data a tutti una medaglia; e ciò soprattutto nel 2024, quando è in gioco il destino degli Stati Uniti e di riflesso del mondo.

Tra tutti i commenti, quello di Howard Wolfson, esperto stratega politico democratico, sembra il più adeguato: “Se stai guidando la tua macchina dritto verso un abisso, ci sono certamente dei rischi a virare a destra o sinistra.” Fuori dalle metafore, il rischio di cambiare candidato in un momento così grave per il paese vale senza dubbio la posta in gioco. Soprattutto quando anche l’altrettanto impopolare Vicepresidente Kamala Harris è avanti a Trump nei sondaggi.

Domenica pomeriggio Hakeem Jeffries, capogruppo democratico al Congresso, ha discusso con il da farsi con i suoi il da farsi con i suoi, e quattro deputati importanti hanno detto che Biden deve ritirarsi. Il senatore Mark Warner sta invece organizzando i senatori. I media non allentano la pressione. Se Biden non lascerà la corsa volontariamente, potrà essere apertamente sfidato alla Convenzione Democratica il 19 agosto.

*Anna Di Lellio insegna politica internazionale alla New York University. Da trent'anni segue le elezioni presidenziali americane e partecipa alle campagne del candidato democratico nelle attività di porta a porta.

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