IL DOPPIO VOLTO
DEL TEAM
LA DESTRA DI
TRUMP-VANCE

Lo avevamo intuito guardando il dibattito del 27 giugno. Donald Trump è apparso come un candidato disciplinato, in controllo del suo messaggio, e - indipendentemente dal nostro giudizio sulla persona e la sua politica - come un candidato ottimo. Il Trump che ieri ha inaugurato la convenzione repubblicana a Milwaukee dopo essere scampato con un graffietto ad un attentato questo fine settimana è il candidato perfetto. In testa ai sondaggi, si sta muovendo verso la vittoria senza sbagliare un passo. La scelta del senatore dell’Ohio J. D. Vance come vicepresidente è un’altra prova della sua ingegnosità politica. Nato nel 1985, Vance è alla cuspide tra la generazione X e quella dei Millennial, cioè ha la metà degli anni di Trump e del presidente in carica Joe Biden. Come Bill Clinton, Vance viene da una famiglia di estrazione bassa e disastrata, ed è stato cresciuto dai nonni in un ambiente umile ma di solidi valori morali. E poi ha studiato a Yale, università di élite abituata a sfornare presidenti. Questa storia di ascesa sociale è presentata nel suo libro Hillbilly Elegy, diventato poi un film.

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Diversamente da Bill Clinton, la lezione del sogno americano che Vance ha imparato non è quella dell’inclusione, ma quella del risentimento trionfante. Vance, con i repubblicani, non rigetta la politica identitaria dei progressisti quanto la inverte, rivendicando a piena voce un posto centrale ai maschi alfa bianchi in un’America tanto prepotente ed arrogante quanto isolazionista. Non guasta che abbia una moglie giovane, bella, di origini indiane, anche lei diplomatasi a Yale. Diversamente da Mike Pence, il vicepresidente di Trump nella campagna del 2016, un baby boomer conservatore e religioso ma rispettoso della Costituzione quando messo alle strette, Vance ha già dichiarato che è dalla parte di Trump nel considerare un’eventuale sconfitta alle urne come prova sicura di broglio elettorale. In altre parole, nel caso di una vittoria democratica come nel 2020, non sarà solo Trump ad incitare le sue truppe contro il Congresso, ma anche Vance, che tra l’altro è anche un ex-marine. Invece nel caso di una vittoria di Trump a novembre, il suo vice Vance sarà catapultato alla vittoria anche nel 2028 e nel 2032, alla tenera età di 47 anni.

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Guardando al futuro, abbiamo di fronte la possibilità di un lungo periodo di regno repubblicano. Il tentato assassinio di Trump sabato scorso è uno dei tanti episodi di violenza politica che caratterizzano la storia americana. Senz’altro condannabile, non è tanto sorprendente né tanto drammatico e non solo perché fortunatamente Trump ne è uscito illeso. Non siamo al 1968, o almeno non ancora, quando ad aprile Martin Luther King fu assassinato e i neri si ribellarono nelle maggiori città americane, a giugno anche Robert Kennedy Junior fu assassinato, e proteste violente scoppiarono a Chicago in agosto durante la convenzione democratica. Ciò che più sorprende oggi è la rapidità con cui Donald Trump ha reagito all’attentato. Ancora nell’abbraccio stretto degli agenti del servizio segreto dopo gli spari, si è alzato da terra con il pugno alzato a significare che la sua lotta continua. Il maschio alfa che non si arrende mai, neanche quando abbattuto, neanche se anziano, è un miracolo da osservare.

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Ma c’è di meglio. Lunedì mattina una giudice della Florida ha archiviato il caso del trasferimento illecito di documenti secretati alla sua residenza di Mar-a-Lago. La sentenza ha stabilito che la nomina del procuratore speciale Jack Smith a investigare il caso contro Trump non è costituzionale. È una sentenza che si armonizza con la linea di difesa scelta da Donald Trump: non sono un criminale ma la vittima di una cospirazione politica democratica capitanata da Joe Biden. L’attentato e la sentenza hanno offerto a Trump la possibilità di invertire il senso del discorso politico. Tre giorni fa era lui il più grande pericolo per la democrazia americana. Oggi è la vittima dei nemici della democrazia e della Costituzione che si rialza in piedi contro ogni aspettativa. Oggi, la corsa di tutti i democratici a condannare l’attentato in nome dell’unità del paese, come del resto dovevano, lo difende dalle critiche come uno scudo magico.

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(J.D. Vance)

Dopo aver già consolidato da tempo la base repubblicana, Trump ha duplicato i suoi sforzi scegliendo dunque Vance come vicepresidente. Giovane, prestante, ricco e intelligente, ma proveniente dal basso, Vance porta tra le élite un’America popolare che è in parte reale e in parte immaginaria. Nel 2008 i repubblicani inventarono “Joe the plumber,” l’idraulico Joe, una persona fisica e simbolica a significare l’uomo comune come volto dell’intero elettorato. Oggi questo ruolo è giocato da Vance, capace di interpretare per il pubblico cosa voglia dire essere hillbilly, buzzurro. Con l’amministrazione Biden i democratici hanno smesso di torcersi le mani a cercare l’elusivo uomo comune da rappresentare, perché le politiche attuate negli ultimi quattro anni hanno migliorato la vita della media degli americani, insomma, del popolo. Peccato non siano riusciti a comunicare questo successo allo stesso popolo, al quale il messaggio di Biden arriva indebolito, o non arriva per niente.

Il presidente Biden continua a pensare di essere il candidato migliore per sconfiggere Trump. Non crede ai sondaggi negativi, non presta attenzione ai media che per rifiutare le loro critiche. E si difende dietro i gruppi che gli sono leali sia dall’alto della Casa Bianca che dalla base delle chiese afroamericane. Ma sul New York Times di lunedì interviste con neri che intendono votare per Trump a novembre ci dicono che uno dei motivi della loro decisione è la percezione di Trump come forte, coraggioso, senza filtri, insomma un leader. Questi elettori non fanno parte del mondo simbolico del buzzurro bianco trasportato a Yale dalla propria intelligenza ed etica del lavoro, ma si identificano con il perseguitato da una giustizia alla quale non credono e con il maschio simbolico che oggi, con il team Trump-Vance, ha un doppio volto.

*Anna Di Lellio insegna politica internazionale alla New York University. Da trent'anni segue le elezioni presidenziali americane e partecipa alle campagne del candidato democratico nelle attività di porta a porta.

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