TSUNAMI
KAMALA
L'ENTUSIASMO
DELLE DONNE

Se non si capisce cosa è avvenuto in questa settimana, non si capisce cosa avverrà durante la campagna e alle elezioni. Fino a domenica scorsa, si parlava a buona ragione della squadra vincente di Donald Trump, maschio alfa al quadrato con il suo vice giovanissimo e super macho J.D. Vance. L’alternativa del sempre più fragile Joe Biden assistito dalla quasi invisibile vice Kamala Harris non entusiasmava neanche i democratici più inquadrati. In meno di 48 ore il gioco è completamente cambiato.

Kamala Harris è uscita dal suo bozzolo non appena Biden ha annunciato di volerle passare il testimone. Si è istantaneamente lanciata sia nel controllo del partito che nella campagna elettorale, dimostrando un acume politico che conosceva solo chi la seguiva dai tempi della sua carriera di procuratrice e senatrice. Nella brevissima e fallimentare corsa alle primarie democratiche del 2020 si dimostrò ondivaga e poco consistente, forse perché correva a sinistra competendo con Sanders, lei che di sinistra non è.



Ancora più sorprendente, la sua candidatura ha acceso un entusiasmo che non si vedeva dai tempi di Barak Obama, solo che Obama ci ha messo dei mesi per costruirlo, la Harris un giorno o due. Di questo tsunami politico attuale ho cominciato a scrivere lunedì scorso. Ma gli eventi continuano a sorprendermi.

Giovedì sera ero a cena quando ho ricevuto un SMS da mia cognata che vive nel New Mexico: “Sei nella chiamata zoom delle donne bianche per Kamala?”. Veramente no, io non ne sapevo niente, ma mi sono subito collegata.

Lo zoom si è interrotto due volte, poveretto, non ce la faceva a sostenere le più di centomila donne che si erano collegate. Alla fine in tanti abbiamo dovuto seguire gli interventi su Youtube, accorso ad assistere. Capirai, con 164mila donne che volevano partecipare, zoom non ce la faceva. Ho cercato di donare 50 dollari, ma ho dovuto provare quattro volte perché il sistema non reggeva. Abbiamo raccolto 8 milioni e mezzo di dollari di piccole donazioni, semplicemente con una zoomata.

Chi c’era dietro l’evento? Prima di tutto l’organizzatrice, la fondatrice di Moms Demand Action (Mamme Chiedono Azione), Shannon Watts, una giovane signora dell’Indiana mobilitata contro la violenza causata dalle armi da fuoco. Ma c’era anche un mondo di altre attiviste come per esempio Leah Greenberg, fondatrice di Indivisible, un gruppo che promuove candidati opposti a Trump e le sue politiche. E poi c’erano deputate, cantanti, attrici e scrittrici.


(Kamala Harris in radio con Hillary Clinton)


Tutti gli interventi avevano lo stesso messaggio e lo stesso tono, del tipo, ‘perché c…. noi donne bianche continuiamo a votare repubblicano?’ ‘muovetevi, c…. ! Che c…. state aspettando? Aspettate che le donne nere facciano sempre tutto il fottuto lavoro che dovremmo fare noi stronze?’ Insomma, un incitamento all’azione fatto con linguaggio da scaricatore di porto da signore carine, alcune bionde altre no, dal salotto di casa.

Ho imparato tanto, per esempio che dal dopoguerra il 53% delle donne bianche ha sempre votato per il partito repubblicano con due eccezioni, che nel 2016 il 47% delle donne bianche, ma solo il 2% delle donne nere, ha votato per Trump, e che nel 2020 il 57% delle donne bianche ha preferito Trump a Biden. Erin Gallagher, fondatrice di Ella, una rete che dice di facilitare l’accesso delle donne al capitale umano, finanziario e sociale, chiama queste elettrici “donne tossiche” e dice, “dobbiamo prenderne atto, le donne bianche hanno fottuto profondamente tutto ogni fottuta volta.”

Questa volta, se 44 mila donne nere si sono parlate via zoom la sera dell’annuncio della candidatura di Kamal Harris, le donne bianche hanno deciso di non essere da meno. Essendo il 39% dell’intero elettorato, conteranno molto. Il partito, e la campagna di Harris, l’hanno capito subito, e per lunedì sera hanno convocato un’altra chiamata zoom, questa volta nazionale, delle donne di tutti i colori.



Di fronte a questa mobilitazione, direi di aspettare a seguire i sondaggi, ci vorrà del tempo per registrarne l’effetto. Non vale la pena fare finta di essere strategici e controllare gli stati in bilico. Troppo presto. Suggerirei invece di concentrarsi su ciò che accade, valutando la chiacchiera mediatica con giudizio.

Per esempio, è importante che Barak e Michelle Obama si siano dichiarati per Kamala Harris. Non direi sia stato indispensabile, dato che lei si era assicurata la nomina giorni prima. Non è vero che tutti i grandi del partito abbiano preso tempo per dichiararsi, solo Obama ha ritardato per motivi che solo lui conosce. I Clinton hanno appoggiato entusiasticamente la Harris cinque minuti dopo che Biden si è ritirato.

È vero che Kamala Harris fu scelta come vicepresidente perché nera, dato che Biden aveva promesso una donna nera come vice durante la campagna. La scelta dei vicepresidenti è sempre fatta in modo da colmare una lacuna del candidato, o rafforzarlo. Trump scelse Mike Pence perché aveva bisogno di avere a fianco un politico religioso, lui che era uno scandalo. Ora Trump ha scelto il giovanissimo Vance per sottolineare la vecchiaia di Biden. Obama scelse Biden perché era un politico bianco con l’esperienza che gli mancava, e così via. I vicepresidenti non sono scelti solo perché bravi, ma per l’etichetta che portano.



Kamala Harris fu scelta tra le donne nere papabili perché brava, con una carriera alle spalle di procuratrice a livello di contea, di città (San Francisco), e della California, dove l’ufficio del procuratore è il più grande d'America. In California, tanto per fare un esempio, ha rappresentato studenti e veterani contro le università private che li avevano frodati, vincendo una causa miliardaria. Solo nel 2017 è stata eletta senatrice. Diversamente dai politici italiani, ma anche dagli stessi Clinton, Obama, e Biden, non ha fatto solo politica nella sua vita.

Non è vero che si stia aspettando la convenzione di fine agosto per nominarla. Come spiegato la settimana scorsa, in Ohio una vecchia legge stabiliva il 7 agosto come limite per la presentazione dei candidati ufficiali in questo stato. Se si aspettasse la convenzione, si sarebbe fuori tempo massimo. La nuova legge che sposta quella data entra in vigore il 1 settembre. In altre parole, se la Harris aspettasse la convenzione per ufficializzare la sua candidatura e presentarla in Ohio, i repubblicani potrebbero portarla in tribunale. E si sa come vanno a finire le cause elettorali, con i giudici piantati al loro posto da Trump a tutti i livelli del sistema giudiziario, inclusa la Corte Suprema. Potrebbe accadere che in Ohio non potranno votare per la Harris.



Nelle prossime settimane si deciderà il vice democratico per rientrare nella data del 7 agosto. I candidati sono diversi e tutti molto bravi, ma il nuovo vice sarà scelto sulla base dell’etichetta che pare più strategica: il più giovane? Uno del sud? Del mid-west? Con esperienza sull’immigrazione? Con esperienza con i sindacati? Ma il consenso è che deve essere maschio e bianco per bilanciare la Harris. Anche lui, insomma, promosso per il suo genere e la sua razza.

*Anna Di Lellio insegna politica internazionale alla New York University. Da trent'anni segue le elezioni presidenziali americane e partecipa alle campagne del candidato democratico nelle attività di porta a porta.

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