CANVASSING
COSÌ FACCIAMO
IL PORTA A PORTA
PER KAMALA

Sono andata a fare la campagna elettorale come faccio da trent’anni negli Stati Uniti, cioè quello che facevo da ragazza in Italia: il porta a porta. La mia prima esperienza fu nel 1974. Votavo per la prima volta, e bussavo a casa di signore ignare per spiegare perché dovevano votare NO all’abrogazione del divorzio. Porta a porta qui si dice “canvassing”, una parola che verrebbe da cannabis, chissà perché, dato che vuole dire “chiedere il voto”. Ora sono nel Massachusetts, dove di campagna c’è poco bisogno perché lo stato fa parte del Blue wall, il muro blu. Per capirci meglio: è quello che erano le zone rosse dell’Italia centro settentrionale. Questo muro di resistenza che esiste dal 1992 è un po' tremolante dopo le crepe aperte nel 2016 da Hillary Clinton, che perse stati blu come il Wisconsin, la Pennsylvania e il Michigan (mettiamoci anche il Maine, perse pure quello) e regalò la presidenza a Donald Trump.

Del Massachussetts siamo sicuri, e quindi vado a fare la campagna nel vicinissimo stato di New York. New York è blu che più non si può, ma le zone rurali no. Nel 2022 il Partito Democratico perse quattro membri del Congresso da queste parti, e così perse la maggioranza. Se vogliamo che la prossima presidente, che speriamo sia Kamala Harris, possa governare, dobbiamo assicurarci di avere una maggioranza democratica al Congresso. Nello stato di New York, i democratici devono difendere due rappresentanti in carica e battere cinque repubblicani. Uno di questi è Marc Molinaro, ex-sindaco della vicina Tivoli (ebbene sì, Tivoli, New York), un repubblicano politico di professione, capace, furbo, uno che mente spudoratamente, come quando dice che è sostenuto dai sindacati. Molinaro è il rappresentante del distretto 19 al Congresso, e dobbiamo sconfiggerlo per eleggere al suo posto Josh Riley, giovane democratico, figlio di classe operaia che ha lavorato e si è indebitato per avere una buona educazione, è finito ad Harvard, e ha fatto molte cose, tra cui il capo di gabinetto di Al Franken, senatore democratico.


(Lo studio che ospita la riunione dei volontari)


Uno studio di architetti del paesotto di Hillsdale si presta a fare da quartier generale per il nostro gruppetto di volontari. Sono le 10 e lo studio è pieno di signori e signore di una certa età. Troppo presto per i giovani democratici che hanno fatto le ore piccole su Tik Tok a ballare per Kamala Harris. I nostri volontari sono tutti informatissimi e tutti arzilli.

(Prima del porta-a-porta)


Abbiamo già tutti scaricato l’applicazione Minivan 9 da Apple Store. L’organizzatore di Left Field (Campo della Sinistra), il gruppo di base non di sinistra ma centrista fondato dalla mia vicina di casa, ci assegna le zone. Mi assumo con mio marito Sam il compito più oneroso, 32 case da visitare. Mi danno il link degli indirizzi, che appaiono subito su una mappa di Minivan.

(La schermata d'apertura di Minivan


Non immaginavo fosse così faticoso fare il porta a porta in una zona rurale. In città è più facile, entri in un palazzo e ne fai anche 80 di porte. Qui si deve girare in macchina anche per diversi chilometri, e poi si incontrano i repubblicani. Avrei voluto incontrarne qualcuno che non corrispondesse così perfettamente agli stereotipi. E invece no. Tutti asociali, con grandi cartelli “Non entrare, proprietà privata”, all’ingresso del giardino, che abbiamo ignorato a nostro rischio e pericolo. Tutti con tatuaggi, anche una signora con una stalla di capre. Tutti con cani che facevano paura, fortunatamente tenuti dalla mano ferma dei padroni, che ci hanno fatto la grazia di non farci azzannare. Con i repubblicani non dovevamo parlare, il canvassing così presto nella campagna serve soprattutto a controllare le liste degli elettori e identificare i democratici da cui tornare più tardi.

Di scoperte ne abbiamo fatte diverse. In questo video dove i nomi sono oscurati per ragioni di privacy vi mostro come abbiamo registrato che una coppia di elettori marcati come U, che abbiamo pensato significasse Uncommitted, o non dichiarato, si sia invece rivelata democratica.

(Come funziona Minivan)

Prima dell’Iphone si girava con carta e matita, e le informazioni venivano registrate a mano, poi a fine giornata si tornava all’ufficio locale dove altri volontari inserivano le informazioni ottenute al computer. Con Obama e Hillary Clinton abbiamo sempre solo avuto carta e penna. Un grande spreco di tempo e lavoro. La prima e sola volta prima d’ora che ho usato Minivan è stato durante la campagna di Elizabeth Warren per il Senato nel 2012. Minivan è un piccolo miracolo: le informazioni vengono sincronizzate e arrivano direttamente in tempo reale all’ufficio centrale della campagna. Finito il primo giro di canvassing, sapremo chi vota democratico e non perderemo più tempo a bussare alle porte dei repubblicani, rischiando la vita.


(La schermata finale della app Minivan)


Dopo cinque ore sotto il sole a cercare ingressi che sono tutti rivolti verso il giardino nel retro, dove non c’è nessuno perché gli americani dicono che amano la campagna ma non escono mai fuori, sono rimasta in macchina e ho lasciato Sam bussare all’ultima casa. Il proprietario era marcato repubblicano, dovevamo solo constatare se abitasse lì. Passano cinque minuti e Sam non torna, mentre io cuocio in macchina. Allora vado a vedere cosa succede. Avvicinandomi sento le ultime parole di un signore, rigorosamente in canottiera e tatuaggi, “…sembra che il problema più importante dell’America siano i diritti delle donne…” poi mi vede, “mi scuso signora ma devo proprio dirlo.” Faccio un sorriso forzato, “certo, per noi donne i nostri diritti sono importanti,” e intanto pizzico Sam per fargli capire che non dobbiamo perdere tempo con quest’uomo. Ma il signore tatuato continua, incartandosi sempre di più mentre cerca di spiegare che una volta si sapeva dove stavano le donne, e stavano a casa, ora c’è una gran confusione.

Con la pressione ormai arrivata a duemila, gli sorrido e gli dico “ha ragione, la questione più importante di queste elezioni non sono le donne, è un’altra, è la libertà. Trump ce la vuole togliere, ha detto che se vince non dovremo votare più”. Vedo che fa un balzo impercettibile, ci sta pensando? Poi fa, “È una fake news.” “Non è una fake news, lo dice proprio lui, presti attenzione a quello che dice Trump, perché la libertà è importante”. Chiudo così la discussione e vedo che ci sta pensando. Noi che siamo incollati alle notizie non ci rendiamo conto che molti seguono solo i propri istinti, a volte i più bassi. Abbiamo incontrato anche un ventenne che aveva appena saputo che Joe Biden si era ritirato, glielo aveva detto il fratello una settimana dopo il fatto. Ma questo non è che l’inizio della campagna.

*Anna Di Lellio insegna politica internazionale alla New York University. Da trent'anni segue le elezioni presidenziali americane e partecipa alle campagne del candidato democratico nelle attività di porta a porta.

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