"MY OWN DAMN
BUSINESS"
IL POTERE
E LE DONNE DEM

Appena un mese fa, si parlava solo di maschi nella campagna elettorale per le presidenziali americane: maschi poco entusiasmanti perché troppo anziani, come i due candidati Donald Trump e Joe Biden, maschi in declino cognitivo, come appariva essere Biden, e maschi tossici, misogini e razzisti, come Trump e il suo vice J.D. Vance. Da un mese, le donne hanno occupato il palco e non lo lasciano. È tutto cominciato con Nancy Pelosi, alla quale Trump si riferisce sempre come, “quella pazza di Nancy.” Anche lei anziana, 84 anni, ex-presidente del Congresso, anzi, presidente emerita. È una signora elegante, molto ricca, e forte. Soprattutto capisce e sa usare il potere. Ne parla del suo libro 'The Art of Power', L’arte del potere, uscito in questi giorni. Ne allude con la fermezza di chi è davvero potente in due interviste, una con David Remnik del New Yorker e un’altra con Ezra Klein del New York Times. Non serve leggere questo libro per sapere di cosa tratta. E le interviste confermano quello che tutti sappiamo già perché la signora Pelosi l’abbiamo vista in azione proprio questo luglio, quando ha diretto con maestria la fuoriuscita di Biden dalla corsa alla presidenza.


(Bush, Pelosi e Hoyer alla casa Bianca nel 2006 - foto Eric Draper, archivi Casa bianca)


Nancy Pelosi è stata la prima a pronunciare la parola “condizione”, riferendosi alla disastrosa performance del presidente Biden nel dibattito con Trump del 27 giugno. Nel giro delle interviste con figure di democratici di spicco, la sua fece scalpore. “Condizione”, diversamente dall’età avanzata, o in combinazione con la stessa, suggerisce qualcosa di più come causa della mancanza di combattività e lucidità. Dopo di lei, esperti e commentatori hanno cominciato a parlare di deficit cognitivo, della necessità di far vedere Biden da un neurologo. Ed è stata sempre lei, la signora Pelosi, a intervenire di nuovo quando la serrata di Biden a tutte le richieste di una sua abdicazione, sia quelle private che quelle pubbliche, sembrava aver messo un punto definitivo alla questione. Il giorno dopo che il presidente ha mandato una lettera aperta al Congresso nella quale ribadiva che non aveva alcuna intenzione di abbandonare la corsa alla presidenza, la Pelosi è comparsa nella trasmissione della MSNBC “Morning Joe,” quella preferita da Biden, per parlare dell’Ucraina. Ovviamente, l’intervistatore le ha chiesto anche cosa pensasse della riluttanza del presidente a lasciare. Come se Biden non avesse ripetuto mille volte che di andarsene non se ne parlava proprio, lei ha risposto, “Deve decidere lui se vuole ancora correre, noi lo stiamo tutti incoraggiando a prendere quella decisione perché non c’è più tempo… voglio che lui faccia qualsiasi cosa decida di fare e così è. Noi accetteremo qualsiasi sua decisione.” In breve, Nancy Pelosi ha rimesso la palla in campo dopo il novantesimo minuto. Il resto lo conosciamo.


(Gretchen Whitmer)


Invece non conoscevamo bene Kamala Harris, la vice di Biden, in sole due settimane candidata consacrata dal presidente, accettata immediatamente da tutti i maggiorenti del partito, e soprattutto da tutti i possibili rivali alla sua candidatura, votata da tutti i delegati che si erano già dichiarati per Biden e accolta dalla base come una Madonna in processione. Un giorno anche Kamala Harris scriverà la sua storia, ma a noi che seguiamo giornalmente la sua campagna sta offrendo una buona anteprima delle sue memorie. Considerata poco efficace come politica, e invisibile come vicepresidente, è emersa istantaneamente come una star. Anche lei è una pazza, secondo Trump, anzi “più pazza di Pocahontas”, ha detto recentemente, e bisogna soffermarsi un po' per ricordare di chi stia parlando. Pocahontas è il soprannome da lui affibbiato all’ottima senatrice Elizabeth Warren, che una volta dichiarò di avere una piccola percentuale di sangue indiano. Trump da allora l’ha sempre presa in giro perché non concepisce e non ama le razze miste che sono così comuni nel paese di cui vuole essere ancora una volta il presidente.

Intanto la Harris sta raccogliendo folle adoranti molto più numerose di quelle di Trump, e questo lo fa impazzire. La Harris sorride, il suo vice Tim Walz, governatore del Minnesota, sorride più di lei. Trump e Vance invece mai, al posto del sorriso hanno un ghigno. La Harris è piena di gioia, dice Walz, loro sono strani. E così Walz, che sta sempre a lato e un po' dietro della Harris, posizione di solito destinata alle donne, ha etichettato i due campi opposti in modo indelebile. Ma in Michigan, quando una forte minoranza araba-americana e pro-palestinese ha fischiato la Harris per le politiche pro-Israeliane della sua amministrazione, lei non ha sorriso. Ha solo detto, “Se volete che vinca Trump, ditelo. Adesso parlo io.” Quei gruppi che hanno minacciato l’astensione se gli USA non imporranno un embargo sulle armi ad Israele li ha poi incontrati privatamente.


(Kamala Harris)


In Michigan era stata presentata alla folla entusiasta non solo dal presidente del sindacato dei lavoratori dell’industria automobilistica UAW, Shawn Fain, ma anche dalla governatrice dello stato Gretchen Whitmer, la candidata preferita da molti prima della scelta della Harris, anche lei autrice di un libro uscito da poco: 'True Gretchen. What I have learned about life, leadership, and everything in between'. La Whitmer è al suo secondo mandato. Lei vince le elezioni anche in uno stato non propriamente democratico come il Michigan perché cerca di capire di cosa ha bisogno la gente. La prima volta vinse con il motto “Fix that damn road!” Aggiusta quella dannata strada. Una volta eletta lo ha fatto. La seconda volta la Whitmer ha vinto difendendo il diritto all’aborto. Su questo ha seguito il motto che è anche di Walz: “Quello che succede nella mia camera da letto non sono dannati affari di nessuno.” Oggi il Michigan ha protetto il diritto all’aborto con un emendamento alla costituzione dello stato.

Sospetto che la parola “dannati” sostituisca “fottuti”, che è molto più forte. La Whitmer è consapevole, lo dice, di usare troppe parolacce, ma dice anche che quando ci vuole ci vuole. Il suo stile è diverso da quello della Harris e anche da quello della Pelosi, sofisticate californiane. Ma è uno stile potente, convincente e vincente. E lei ha solo cinquant’anni.

*Anna Di Lellio insegna politica internazionale alla New York University. Da trent'anni segue le elezioni presidenziali americane e partecipa alle campagne del candidato democratico nelle attività di porta a porta.

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