TRUMP
E VANCE
MANGANELLI
E DOPPIOPETTO

Ora che la campagna elettorale è in pieno svolgimento, è sempre più chiaro che per i repubblicani la posta in gioco è la trasformazione di una democrazia imperfetta come quella statunitense in una democrazia illiberale. Non a caso Donald Trump e il suo clone più giovane, J.D. Vance, ammirano Putin, Orban, Kim Jong Un, e Xi Jinping per come comandano, Netanyahu per come vorrebbe comandare.



J.D. Vance quando non insulta le donne fa campagna elettorale non tra folle adoranti - quello è il terreno di Trump -, ma nella polizia. Giovedì scorso ha parlato alla Milwaukee Police Association, che si è dichiarata per i due repubblicani. Il 7 agosto è andato dalla Police Officers Association of Michigan, organizzazione che riunisce migliaia di poliziotti in dodici contee. Anche loro si sono dichiarati per la coppia Trump-Vance. Nel Michigan, J.D. Vance ha parlato, a un pubblico ristretto ma altrettanto adorante, delle due questioni che gli stanno a cuore: l’immigrazione e il crimine nelle città. Dietro di lui sul podio non c’era gente assortita che sventolava cartelli con il suo nome; c'erano poliziotti in divisa sull’attenti che sembravano guardie pretoriane. C’è da stare sicuri che sono pronti a sopprimere manifestazioni pacifiche, in stile militare.

Trump non ha un buon rapporto con i militari, che rispettano la Costituzione e finora si sono rifiutati di combattere sul fronte interno contro una popolazione esclusivamente civile. Nell’estate del 2020, quando il movimento 'Black Lives Matter' si manifestò in diverse città americane per protesta contro le uccisioni di uomini neri da parte della polizia, Trump avrebbe voluto inviare l’esercito a fermarlo. Non ci riuscì, ma se vincesse in novembre - spiega il New York Times - tenterebbe di realizzare il suo sogno.

In Minnesota, luogo dell’assassinio a sangue freddo di George Floyd, la situazione diventò così drammatica che il capo della polizia, al quale i manifestanti avevano bruciato la stazione, ma anche il sindaco di Saint Paul, chiesero allo stato l’intervento della Guardia Nazionale. Il governatore Tim Walz attese quasi una giornata prima di chiamare la cavalleria. Ci vollero poi tre giorni per calmare la situazione. Oggi che Walz è candidato come vice di Kamala Harris, i repubblicani lo criticano per questo “ritardo.” Ma il fatto che ci abbia pensato un po' su prima di dispiegare la Guardia Nazionale in strada non è un crimine, è un segno di saggezza politica. Significa che il governatore ha soppesato, come è giusto, la necessità di difendere il sacrosanto diritto alla protesta di migliaia di persone con quella di domare le folle violente che del movimento si facevano scudo.



Niente giustifica la militarizzazione della vita civile, neanche le eventuali estremizzazioni del 'Black Lives Matter'. Ricordo l’aspetto spettrale del Village nel giugno del 2020, quando dopo le razzie di gruppi di manifestanti svariati negozi avevano inchiodato protezioni di legno a porte e vetrine. Ricordo una pasticceria francese-canadese messa a ferro e fuoco perché i proprietari avevano mantenuto la scritta in ebraico sulla porta per preservare il carattere più antico del luogo, ex forno di immigrati ebrei nell’East Village. Nascosti nella cantina, avevano sentito le grida di rabbia contro il “business ebreo.” Per rispondere a queste espressioni violente e vigliacche basta una polizia efficiente, che è obbligata per mestiere ad avere una strategia di conservazione dell’ordine senza debordare nella violenza e nella soppressione delle libertà democratiche. L’uso della Guardia Nazionale, non dell’esercito, dovrebbe essere una soluzione estrema. Ma non è così che il partito repubblicano vede le cose.

Trump, che non si preoccupò minimamente dell’ordine pubblico quando la “sua” folla assaltò il Campidoglio il 6 gennaio 2021, minacciando la vita di leader politici e di agenti delle forze dell’ordine, vorrebbe mandare l’esercito nelle maggiori città americane per controllare il crimine ordinario e le manifestazioni pacifiche. Guarda caso le città che nomina sono le città democratiche di New York, Chicago e Washington. I suoi “eroi” del 6 gennaio non sono mai stati smobilitati. Il giornalismo investigativo di ProPublica ci rivela che la milizia American Patriots Three Percent (AP3), con base a Spokane, nello stato del Washington, conta migliaia di membri, tra cui poliziotti, soldati e piccoli commercianti. Per giunta sono in possesso di liste di poliziotti e sceriffi amici. Sono pronti a risolvere le elezioni con i proiettili, dicono, invece che con le schede elettorali. I miliziani di Spokane si sono già espressi picchiando membri del 'Black Lives Matter' e immigranti. Nel 2022 altri miliziani, in Michigan, hanno cercato di rapire la governatrice Gretchen Withmer. Questi individui sono solo il braccio armato dei repubblicani.



L’assalto alla democrazia è strategico. Passiamo dai criminali agli amici di Trump in doppiopetto. Il loro piano è delegittimare le elezioni nel caso di una vittoria di Harris, e di farlo da subito. Il think tank 'America First Policy Institute' (AFPI) da mesi ha iniziato dozzine di cause legali in diversi stati con lo scopo di restringere il diritto al voto e di seminare il caos nel processo elettorale. Uno dei fondatori dell’AFPI (con Ivanka e Jared Jushner) è Larry Kudlow, di cui si potrebbe dire molto o molto poco. "Il suo breve ritratto su Wikipedia è essenziale ma non basta. Economista che passò alle truppe mediatiche di Rupert Murdoch dopo essere stato licenziato da Bear Stearns, fece parte dell’amministrazione di Ronald Reagan e poi di Trump. Non ne ha mai azzeccata una, secondo un suo ritratto sull’Huffington Post di qualche anno fa, ma resta sempre a galla. Tanto per fare un esempio del lavoro della sua AFPI, nel novembre del 2021 fece causa all’amministrazione Biden per mettere uno stop all’ordine esecutivo che rendeva il vaccino anti-Covid obbligatorio nelle imprese con più di 100 dipendenti. Questo luglio, insieme ad alcuni politici texani e al segretario di stato dell’Ohio, l’APFI ha chiesto ad un tribunale distrettuale del nord del Texas, scelto per il suo giudice repubblicano, di revocare un altro ordine esecutivo di Biden che facilita la registrazione automatica alla lista degli elettori.



La lista delle cause in corso è lunga perché le elezioni sono vicine. In Georgia, l’AFPI sostiene la causa di Julie Adams, membro della Board of Elections, l’ufficio elettorale della contea più popolosa, la Fulton County, che si rifiuta di certificare il voto delle primarie. Sospetta frodi? No. Vuole solo ritardare i risultati e creare confusione. Fece lo stesso nel 2020, guadagnandosi l’amicizia di Trump che nel suo comizio in Georgia la settimana scorsa l’ha ringraziata per essere uno dei suoi “mastini.” Come la Adams c’è un esercito di repubblicani pronti a creare caos, soprattutto nella Georgia, dove in questi giorni è stata approvata una regola che permette ad un singolo membro del Board of Elections di bloccare la certificazione del voto. In breve, non c’è più bisogno della causa per permettere alla Adams di fare il suo lavoro di cane da guardia di Trump.

Per chi vuole sapere di più sugli attacchi legali alla democrazia c’è l'ottimo, già citato articolo di Democracy Doket. Gli obiettivi dei repubblicani sono, tanto per citarne alcuni, restringere il numero dei votanti, intimidire chi lavora negli uffici elettorali, rallentare o bloccare del tutto la certificazione dei voti, insomma alimentare la cospirazione sulle elezioni “rubate” per poi passare alle maniere più forti. Che ci riescano è il peggiore incubo dei democratici, quelli nel partito e quelli fuori, i democratici con la “d” minuscola, tutti sotto attacco.

*Anna Di Lellio insegna politica internazionale alla New York University. Da trent'anni segue le elezioni presidenziali americane e partecipa alle campagne del candidato democratico nelle attività di porta a porta.

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