In queste pagine ne aveva già scritto Giorgio Oldrini (trovi il suo racconto cliccando qui di seguito: www.foglieviaggi.cloud/blog/las-terrazas-come-ti-costruisco-una-riserva). Lui però era arrivato a Las Terrazas con una guida d’eccezione, uno dei fondatori della comunità forse più ecosostenibile al mondo: lo scrittore cubano Reynaldo Gonzales. Io e i miei compagni di viaggio arriviamo molti anni dopo, accompagnati dal nostro Cicerone cubano, la brillante guida Felix che alterna serio e faceto con invidiabile abilità, rendendo i trasferimenti più leggeri e interessanti. Sbarchiamo lungo la riva di un lago artificiale, primi arrivati di una carovana di tanti pullman turistici bianchi e blu made in China che fanno della prima riserva della biosfera di Cuba una tappa obbligata dei loro tour.

Las Terrazas si trova a 50 km dall’Avana, tra le montagne della Sierra del Rosario, nella provincia di Artemisia. La comunità, che ora conta un migliaio di persone, era nata negli anni Settanta e come ti spiega meglio Oldrini aveva l’obiettivo di riconvertire in chiave ecosostenibile una vasta zona rurale dell’isola, trasformandola da terra sfruttata fino ad esaurimento per le coltivazioni di caffè, canna da zucchero e cotone, a riserva naturale. E così in effetti è stato, con la piena collaborazione dei contadini della zona ai quali era stata offerta la doppia opzione: restare e dedicarsi all’ambizioso progetto oppure trasferirsi e dare una svolta forse ancor più radicale alle proprie vite. I più erano rimasti e il risultato è questo luogo che da un lato riporta ad atmosfere bucoliche si cui personalmente avevo letto soltanto nei libri e dall’altro prova ad essere un esempio per lo sviluppo dell’attività turistica in tutto il resto dell’isola. Perché dopo la riqualificazione ambientale i contadini, e ora i loro figli e nipoti, hanno come compito principale di comunità quello di aver cura della riserva, di promuovere attività compatibili con questo ecosistema ora floridissimo e di organizzare l’accoglienza dei turisti.

Io vengo accolto da un’immagine che conserverò a lungo tra i ricordi di questo viaggio a Cuba: è quella di un cavallo pezzato, come quelli degli indiani nei film di cow boy, che bruca placidamente l’erba verde smeraldo lungo le sponde di un laghetto dalle acque limpide. E ho scoperto che cosa provano davvero i turisti del Nord Europa (ma neanche tanto nordisti, i francesi per esempio) quando nella mia Genova vanno a visitare il Mercato Orientale: vogliono vedere carne, pesce, frutta e verdura venduti allo stato brado, fasciati nella carta, e prima esposti all’aria aperta, tutti in fila, impilati a piramide, allineati a seconda delle dimensioni, a crescere o a scalare, combinati tra loro sulle bancarelle con accostamenti di colori che nemmeno l’armocromista saprebbe far meglio. Al più grande mercato alimentare di Genova i più affascinati di fronte a tante meraviglie sono i turisti bambini, e magari tra cent’anni uno di loro si ricorderà “di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere...” la lattuga fuori dal cellophane. Ecco, quel cavallino pezzato in libertà a Las Terrazas mi ha provocato una di quelle sensazioni pronte per il cassetto dei ricordi.

Vabbeh, divago come al solito. Torno sulla via principale e una volta raggiunta la sponda opposta del laghetto mi ritrovo dentro una specie di bar palafitta. Arriva l’orchestra e attacca con i pezzi della tradizione cubana famosi nel mondo: Besame mucho, Guantanamera…. Giusto il tempo di dare agio al barman di preparare una specie di Cuba Libre al sapore e al colore d’arancia. Novità: è disponibile anche senza rum. Il piano terra del piccolo edificio in legno è in realtà l’approdo delle minuscole barche affilate come canoe destinate, immagino, ai turisti più romantici o forse ai più curiosi di scoprire la fauna lacustre della riserva.

Turismo, okay, ma anche arte, ti dicevo. E così la prima tappa del tour nella biosfera è l’atelier di un pittore che si chiama Ariel. Lui è famoso perché dipinge su carta riciclata, in proprio, con i colori che gli procura la foresta senza intermediari. Mi piacerebbe mostrarti le sue opere, ma lui ci prega di non fotografarle: sono molto originali e se proprio volete vederle dovete andare a trovare l’autore e magari comprare uno dei suoi lavori. Ce ne sono di tutti prezzi e le cartoline con gli uccelli e le coloratissime orchidee della riserva a me sembrano davvero dei piccoli capolavori. Ariel come lo spirito dell’aria immaginato da Shakespeare, ma nel suo laboratorio non c’è tempesta, anzi, la natura è in stato di quiete come il cavallino pezzato che ci aveva accolti. L’atelier è la parte per il tutto, la sintesi dello spirito della riserva. Che si manifesta con maggiore evidenza in cima al cucuzzolo dove, quasi invisibile (l’evidenza quasi invisibile: credo di averti già spiegato perché) si trova l’unico albergo di Las Terrazas: si chiama Moka, come la nostra caffettiera, è un quattro stelle con piscinetta ed è stato costruito non intorno a te come nella pubblicità, ma intorno agli alberi. Pensa che uno di questi continua a crescere attraverso tutti i piani dell’hotel. Fa parte dell’arredamento in sostanza ed è probabilmente il pezzo più apprezzato dagli ospiti. Quelli più divertenti sono invece gli “alberi dei turisti”: i cubani li hanno soprannominati così perché la loro corteccia, sottilissima, si squama come la pelle dei turisti fustigata dal sole feroce dei Caraibi. Qui nel giardino dell’hotel, circondati da orchidee più alte di me, ce ne sono tanti e il nomignolo che gli hanno assegnato è molto pertinente.

L’albero più diffuso, almeno all’apparenza, è però la “palma real” che è uno dei simboli dell’isola. Sai quanti alberi sono stati piantati, secondo programma, dai volontari a Las Terrazas? Sei milioni. Lo scopo era dimostrare che la terra sfruttata per secoli dai latifondisti per produrre caffè, tabacco e cotone poteva essere restituita alla natura. E non si può certo dire che l’impresa, ideale ancor prima che ecologica, non abbia dato i risultati previsti. In queste foreste, sulle quali volteggiano più numerosi che altrove le aure tignose (avvoltoi tipici dell’isola), sono tornate a vivere infinite specie di animali tropicali, tra cui un altro uccello particolarissimo che è forse il simbolo più importante di Cuba: il Torocoro. Il suo piumaggio ha infatti gli stessi colori della bandiera cubana: blu, bianco e rosso. Io e altri del gruppo siamo riusciti a fotografarne uno - pare che sia una piccola impresa – nel bel mezzo di un luogo che in Italia potremmo definire un aquapark, solo che qui è tutto naturale: si tratta di una serie di cascatelle e di piscine formate dall’acqua cristallina del fiume San Juan dove i turisti stagnano felici in silenzio. Lungo una sponda c’è anche un villaggio turistico. So già a cosa stai pensando: sbagliato. Tecnicamente è un villaggio turistico, in realtà si tratta di capanne con il pavimento a un paio di metri da terra. All’interno, in un unico ambiente, ci sono soltanto stuoie e cuscini per la notte. I servizi sono comuni, come in un campeggio. A me è sembrato che anche qui gli ospiti si rilassassero alla grande.

E il caffè? Che fine ha fatto? Prima qui era tutto e ora è niente? Beh, intanto è memoria. Vicino al ristorante Buena Vista, dove naturalmente non manca la musica dell’orchestrina locale, si può visitare quel che resta di una “finca” del caffè. La sua architettura aveva due scopi: agevolare la lavorazione e sfruttare per bene gli schiavi. Se vuoi capire meglio, vai alla grande ruota di legno pieno e spingi forte sul palo che la fa girare per sbucciare per bene ogni frutto della pianta del caffè. Poi quando sei stanco, puoi provare a riposarti nella capanna accanto, che è praticamente una stalla per muli a due gambe...

Poi però a riconciliarti con la seconda bevanda più consumata al mondo, dopo il tè, ci pensa la Maria. Si dice che il suo sia il miglior caffè di Cuba. E siccome si dice pure che il miglior caffè al mondo sia quello di Cuba, possiamo dire che Maria è la regina globale del caffè. Coltiva le piante a una ventina di metri dal suo locale e la miscela dei chicchi è segreta. La macchina a pressione per preparare il prezioso nettare amaro naturalmente è italiana, ma c’è un problema: la corrente va e viene. Per nostra fortuna qui c’è anche la moka: sarebbe stato un delitto rinunciare al migliore caffè del mondo e risalire col rimpianto sul pullman che ci riporterà con la sua aria condizionata dentro i canoni del progresso formato standard...
(6. continua)