Il nostro viaggio prosegue alla volta di Palmira. Dormiamo a Damasco e partiamo presto la mattina. Palmira è un'antica città nella parte orientale della Siria. I ritrovamenti archeologici risalgono fino al Neolitico e i documenti menzionano per la prima volta la città all'inizio del II millennio a.C.
Palmira fu governata da diversi imperi prima di diventare parte dell'Impero Romano nel I secolo dopo Cristo. La città si arricchì grazie alle carovane commerciali, gli abitanti divennero famosi come mercanti che stabilirono colonie lungo la Via della Seta e operarono in tutto l'Impero Romano. Nel terzo secolo Palmira divenne un prospero centro regionale. Raggiunse l'apice del suo potere verso il 260 d.C., quando il re Odaenathus sconfisse l'imperatore sassanide Sapore I. Al re successe la regina reggente Zenobia, che si ribellò a Roma e fondò uno stato autonomo. In risposta alla rivolta, nel 273 l'imperatore romano Aureliano distrusse la città, che fu successivamente restaurata da Diocleziano riducendola di dimensioni.
La strada tra Damasco e Palmira attraversa territori che si fanno sempre più desertici. Cominciano ad apparire le indicazioni per l'Iraq. Arrivati a Palmira andiamo a visitare quel che resta del Museo Archeologico dopo che è stato devastato dall'Isis. Per fortuna la maggior parte delle opere era stata portata in salvo al Museo Archeologico di Damasco. L'edificio dell'Archeologico è ancora in piedi, ma i terroristi hanno preso a picconate i volti di tutte le statue che erano troppo grandi per essere portate via, e distrutto tutto quello che hanno potuto. Vedere le sale del museo con la pittura blu scrostata, i controsoffitti sfondati, con pezzi che pendono, le statue di uomini o animali dai volti raschiati, perfino le ricostruzioni della città fatte a pezzi, è davvero un colpo al cuore.
Finita la visita al museo ci dirigiamo verso il sito archeologico di Palmira. Qui la situazione per fortuna è migliore di come uno se l'aspetti. Nonostante l'Isis abbia fatto saltare in aria parecchi monumenti, il luogo è talmente vasto e monumentale da essere ancora estremamente fascinoso. Inoltre, tra i monumenti fatti saltare in aria almeno il tempio di Bel, l'arco di trionfo, la parte più alta del teatro e il tetrapylon sembrano restaurabili per anastilosi, in quanto non tutto si è polverizzato. Molti dei blocchi sono semplicemente caduti o si sono frantumati. Più complessa appare la situazione del tempio di Baalshamin, di cui, almeno a prima vista, non sembra essere sopravvissuto molto in loco, a meno che il materiale non sia stato rimosso. Per quanto riguarda le catacombe con le loro torri, anch’esse fatte saltare in aria, si possono rimontare per anastilosi parte delle torri, ma i celebri volti delle persone sepolte scolpiti sui sarcofagi sono stati distrutti e sono probabilmente persi per sempre.
Inoltre, parte dei templi erano già stati rimontati in precedenti restauri. Quindi si potrebbe rifarlo utilizzando il materiale sopravvissuto. I russi hanno in progetto di farlo, ma per ora non si è mosso ancora nulla. Gli archeologi siriani lamentano che le sanzioni economiche contro il paese hanno impedito i restauri e denunciano che più passa il tempo più il materiale crollato rischia di deteriorarsi. Chiedono che la salvaguardia del patrimonio archeologico e culturale non sia sacrificata sull’altare di divisioni geopolitiche e fanno notare come la ricostruzione del patrimonio artistico di Mosul, anch'esso distrutto dall'Isis, sia molto più avanti, perché l'Iraq non è sottoposto a sanzioni.
Iniziamo la nostra visita partendo dal tempio di Bel. Le enormi mura esterne della grande piazza che lo circonda sono per fortuna intatte, con le immense porte e finestre e gli splendidi frontoni. Esternamente in parte erano stati riutilizzati dagli arabi per costruire una fortezza, internamente hanno ancora l'aspetto romano. Vi sono anche resti di enormi colonnati. Al centro del vasto cortile vi è quel che rimane del ù tempio vero e proprio. A parte un immenso portale, tutto il resto appare imploso, ma sembra esserci abbastanza materiale per rimontare parte del monumento. Gli imponenti colonnati che ancora circondano il perimetro fanno pensare a una foresta pietrificata. Proseguiamo la nostra visita dei resti dell'arco di trionfo: sono rimasti in piedi i due lati esterni, e gli archeologi russi hanno numerato le pietre in attesa di rimontarlo. Dall'arco di trionfo, perdendosi tra gli enormi colonnati intorno al cardo massimo, si arriva al teatro. Si apre dietro al palcoscenico un gioco di colonne che crea prospettive degne dei teatri più belli del mondo. Per terra giacciono incustoditi i ruderi della parte che sovrastava il colonnato centrale. Sono alla mercé di chiunque desideri camminarci sopra per un selfie. Per fortuna il teatro nel suo complesso, è ben conservato.
Mentre cammino per le rovine della città mi è impossibile non pensare a Khaled Mohamad al-Asaad, lo storico capo degli archeologi di Palmira. Dopo averlo detenuto per settimane, gli jihadisti dell'Isis lo hanno trascinato in una piazza, dove un uomo mascherato gli ha tagliato la testa davanti alla folla. Il suo corpo inzuppato di sangue è stato poi sospeso per i polsi a un semaforo con una corda rossa, con la testa appoggiata a terra tra i piedi e gli occhiali ancora addosso, come testimonia una foto diffusa sui social media dai sostenitori dello Stato islamico. Dopo la morte di al-Asaad, l'Isis ha appeso un cartello sul suo cadavere elencando i suoi presunti "crimini": essere un "apostata", rappresentare la Siria alle "conferenze degli infedeli", servire come "direttore dell'idolatria" a Palmira, visitare "l'Iran eretico" , e comunicare con "i servizi di sicurezza siriani". Secondo quanto riferito, il suo corpo sarebbe stato esposto nella città nuova di Palmira e poi nel sito archeologico, i cui tesori erano già stati in parte demoliti dall'ISIS.
Insieme ad al-Asaad, anche Qassem Abdullah Yehya, vicedirettore dei Laboratori DGAM, che anch'essi proteggevano il sito di Palmira, è stato assassinato dall'ISIS mentre era in servizio, il 12 agosto 2015. Aveva trentasette anni. Fa ancora più male pensare che tutti i governi e istituzioni culturali del mondo hanno compianto la sua morte e che però oggi non muovano un dito per la salvaguardia del sito archeologico per il quale ha vissuto ed è morto.
A lato del teatro si apre una grande piazza con imponenti edifici e colonnati, in mezzo pascola un gregge di pecore con un giovane e simpatico pastore che si ferma per conoscerci. Ci mostra anche una pecora nera piena di fiocchi di lana colorata legati al pelo. Passiamo un po' di tempo con lui e poi continuiamo la visita. Camminiamo accanto ai resti del tetrapylon che giace, a parte alcune colonne, anch'esso a terra dopo che l’Isis lo ha fatto esplodere. Sembra in parte ricomponibile anche perché dai resti si evince che già era stato rimontato con qualche innesto moderno. Certo bisognerebbe fare in fretta, perché i pezzi sono tutti per terra e chiunque ci può saltare sopra, danneggiandoli ulteriormente. Prima di recarci alla necropoli con le sue torri, fatte tutte saltare in aria dall'Isis, ci fermiamo presso una sorgente sacra per gli antichi abitanti della città. L'acqua cristallina crea una piscina da cui emergono una colonna e due altari. L'acqua sacra lambisce anche alcune splendide grotte.
Terminare le visita con la necropoli è forse il modo più triste per lasciare Palmira, la regina del deserto. L'Isis non ha avuto pietà nemmeno per i morti e ha fatto saltare in aria le torri cimiteriali al cui interno erano conservati ancora i volti scolpiti delle persone sepolte. Per ora si riesce a entrare solamente in uno degli ambienti sotterranei, ma i visi scolpiti sui sarcofagi sono stati raschiati e gli affreschi cancellati. Vi sono anche graffiti con frasi folli lasciati dai terroristi. Cosa sia rimasto sotto le macerie delle altre torri, è ancora tutto da indagare. Sicuramente potrebbero essere in parte rimontate, pietra su pietra.
La sera torniamo a dormire a Damasco, e il giorno dopo partiamo per Bosra, per vedere lo splendido teatro romano. Da fuori ha l’aspetto di una fortezza araba, ma appena si entra tutto cambia. Vi sono immensi corridoi a volta, veri labirinti che circumnavigano il teatro e permettono di arrivare ai vari piani degli spalti o alla scena. Quando si riemerge da uno di essi, non si può che rimanere senza fiato per lo spettacolo che si apre. Dietro il palcoscenico si eleva una quinta teatrale di tre piani, il primo ha dei maestosi colonnati, rimontati durante un restauro. Si tratta. senza tema di smentita, di uno dei teatri romani più belli al mondo. Fu costruito con pietre di basalto nero probabilmente nella prima metà del II secolo d.C. durante il regno di Traiano.
Il teatro fu originariamente costruito fuori dalle mura della città, ma in seguito fu completamente racchiuso all’interno di una fortezza (le fortificazioni della città di Bosra furono ampliate tra il 481 e il 1251). Il teatro è largo 102 metri e può ospitare circa 17.000 persone. Serviva una città che un tempo contava 80.000 abitanti ed è uno dei teatri meglio conservati sia in Siria che in tutto l'Impero Romano. Fu restaurato tra il 1947 e il 1970, prima conteneva grandi quantità di sabbia che potrebbero aver contribuito a proteggerne l'interno. Vale davvero la pena sedersi sui suoi spalti per una mezzoretta, solamente per meditare e osservarne tutti i particolari. Il gioco delle colonne dietro il palco, il movimento sinuoso dei muri sopra le colonne, al secondo e terzo piano. Anche girare negli immensi passaggi coperti è un po' come muoversi in un enorme labirinto, in cui non si sa mai da dove si sbucherà fuori.
Finita la visita del teatro, attraversiamo la vasta area archeologica intorno, che ha subito danni durante la guerra civile ma nonostante tutto è in buono stato. Si tratta di un vasto centro che dall’epoca romana è stato abitato con continuità fino a pochi anni fa. Qualcuno ancora abita nelle antiche case. Si incontrano rovine di case, templi romani, chiese e moschee medioevali. Non c’è saluto più bello alla Siria che perdersi in questo magnifico luogo. Il pomeriggio partiamo alla volta di Beirut, con la speranza di tornare presto in Siria e la consapevolezza di quanto sia importante richiamare l’attenzione sul restauro del suo patrimonio storico e artistico e su come quest’ultimo non debba in alcun modo essere sacrificato per diatribe geopolitiche. L’Unesco è nato per salvare il patrimonio archeologico e artistico dovunque esso sia e su questo non possiamo permetterci di fare marcia indietro.
(5. fine)