Una gigantesca tavoletta per il ciak, al centro della rotonda all’ingresso della città, annuncia che è questa la Hollywood del Marocco. E infatti lungo il viale lampionato (lo chiamo così perché non ci sono alberi, ma i lampioni sono fitti come i platani in corso Vittorio Emanuele II a Torino) che conduce verso il centro è tutto un pullulare di “Studios” e di scuole per professionisti e artigiani dell’indotto del cinema. E poi un paio di droni “armati” di videocamere sorvolano a bassa quota il traffico bloccato dalla polizia per consentire le riprese di chissà quale film di spari, dove auto di grossa cilindrata sgommano e si inseguono felici da un incrocio all’altro. Sembra una scena di “Un poliziotto a Beverly Hills”, ma senza villette di lusso. E poi vabbè siamo a Ouarzazate, modernissima città sulla rotta per il Sahara.
Noi però ci dirigiamo decisi con il nostro minivan verso Tarmigt dove, fin dal XVII secolo, ci attende la Kasbah di Amridil. Dicono che sia la meglio conservata di tutto il Marocco e non ho motivo di dubitarne. Tra queste mura di argilla è stato ambientato 'Lawrence d’Arabia' e, non avendo altri termini di paragone, mi pare che il tempo si sia fermato all’epoca in cui David Lean puntava la macchina da presa sulle mirabili imprese di Peter O'Toole e Omar Sharif. Correva l’anno 1962 e il film vinse sette Oscar. Correva, ma poi si è fermato nella cittadella-museo di Amridil, dove guide in costumi tipici e sorriso smagliante ci conducono su e giù attraverso un dedalo di corridoi stretti e ambienti angusti, un tempo adibiti alle attività umane più consuete: cucinare, mangiare, dormire, socializzare.
E allora ecco l’ambiente con i forni comuni dove si cuoceva il pane: sembrano quelli nostri da giardino, con la cupola bianca; ecco gli oggetti della quotidianità agreste: ruote di carro di un paio di secoli fa, attrezzi per fare la farina, tajine, ma anche un vecchio grammofono, borsette di rafia, otri per trasportare l’acqua, carrucole di legno per pescare l’acqua dai pozzi. Hai presente i nostri musei etnografici degli Appennini con dentro tutti gli attrezzi necessari per la quotidiana sopravvivenza? Ecco, il senso è un po’ quello. Attenti alla testa, si sale... e le torri della Kasbah sono decorate mirabilmente, ci perderei la giornata a seguire tutti i ghirigori. La cicogna in cima alla terrazza invece è finta, ma non significa che il grande uccello migratore sia estinto da queste parti, anzi, ne ho visti tanti vivi e vegeti.
A Ouarzazate abbiamo anche visitato un mercato all’aperto, una delle tappe più istruttive per i viaggiatori curiosi che vogliano scoprire usanze e pietanze del Paese che li ospita. Il reportage fotografico qui non è cosa semplice. Sempre meglio chiedere prima di scattare e non è raro che il soggetto neghi il permesso. Qui, come nel resto del Marocco.
Ouarzazate è anche il trampolino di lancio verso le favolose Gole del Dades, dove anche noi ci dirigiamo. Si arriva verso sera: l’albergo, tanto accogliente quanto tipico, è in fondo alla gola, ma le foto più belle si scattano qualche tornante più su. Le gole sono state scavate dal fiume Dades. Il quale per prepararsi il letto ha scavato fino a 400 metri di profondità tra rocce molto dure che si sono formate nel Giurassico. Per questo motivo, il letto in alcuni punti non può accogliere più di un materasso a due piazze messo per lungo: la larghezza in quei punti non supera infatti i 2 metri.
In cima al passo si sale per scattare fotografie di forte impatto estetico, e anche emotivo, perché la gola è appunto molto stretta e la pendenza della strada è elevata per poter superare il forte dislivello. L’effetto Stelvio è in sostanza esasperato dall’esiguità dello spazio. Quando la luce comincia a calare, fari e fanali delle auto in transito generano un paesaggio fantastico tra i tornanti e sembra che un drago sputafuoco si stia arrampicando sul versante della montagna fino al passo dove ci siamo sistemati con macchine e cavalletti tra i tavolini di un bar. Sì, quello che sale nel mio immaginario, reparto infantile, sarà anche un drago sputafuoco, ma quassù in realtà fa un freddo cane: del resto ci troviamo a 2.260 metri di quota. Ci vuole assolutamente un tè caldo prima di scendere a valle e incominciare a pensare al Sahara...
(5-continua)
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