BODRUM
ANTICA
MERAVIGLIA
DEL MONDO

Il sito sta per chiudere. Ho fatto il giro svariate volte senza trovare uno straccio di posto per la macchina. Alla fine, stremato dal caldo e dall’impazienza, parcheggio dove capita. Poco m’importa se rimedierò una multa o peggio. Attraverso la strada c’è una sbarra che delimita l’ingresso. Il custode, che non spiccica una parola d’inglese, tamburella sull’orologio. Poi si mette ad agitare velocemente le braccia. Il sito è chiuso e lui vuole tornarsene a casa. A muso duro gli faccio notare che mancano ancora cinque minuti. Tiro fuori la mia tessera da giornalista, mi spaccio per reporter di una testata importante interessata a documentare il sito. Abbassa lo sguardo, stacca di malavoglia il biglietto, sbuffa. Esce dal gabbiotto, infila le mani in tasca, e mi tiene a vista. Mi fa capire che non mi aspetterà oltre l’orario di chiusura.



Passo oltre, scendo le scale e mi trovo all’interno di un recinto infossato. Tutt’intorno colonne, pezzi di capitelli, resti di basamenti. Al centro un quadrato, una vera e propria trincea, si prende tutta la scena. Questi attori del passato testimoniano quanto resta del Mausoleo di Alicarnasso, l’antico nome greco di Bodrum. La città lo tiene cucito dentro un ventre di case bianche e negozi, tra noleggiatori di auto e rivenditori di tabacco. Ma qui centinaia di secoli fa, sotto la volta di un cielo stellato e un mare "paradiso dell’eterno azzurro" come lo definì Omero, avremmo ammirato l’imponente monumento funerario di Mausolo, satrapo di Caria. Una delle sette meraviglie del mondo antico. Il museo annesso al sito, tra un suggestivo plastico e reperti esposti, racconta questa storia di grandezza. Una magnificenza destinata a vincere anche sulla morte.



Un quartiere dopo l’altro, serrati come una Casbah, ritrovo la strada verso il centro dove le vie cittadine di Bodrum si innestano sulla D330 che collega la località al resto della penisola anatolica. Proprio all’inizio di quest’arteria, in uno dei punti più alti della città, spunta il teatro. Intatto, bellissimo. Eretto nel IV sec. a.C., poteva ospitare fino a 13mila spettatori. È incastonato, come un diamante, in uno dei luoghi più suggestivi e panoramici di Bodrum. Una volta arrivati in cima alla cavea, da dove si ammira un orrendo allestimento musicale che deturpa lo spazio riservato in antico all’orchestra, Bodrum si mostra senza più filtri. Il mare turchese, il porto turistico con i traghetti che pigramente entrano in rada e il profilo stanco del Castello di San Pietro. È tutto lì, a suggerire una vita tranquilla, senza affanni, senza corse.



Per ammirare le ultime meraviglie di Bodrum devo salire ancora più in alto. La porta di Myndos si erge in una zona periferica della città, costellata di negozi di ortofrutta e locali notturni. C’è persino un ristorante italiano dove, a dispetto della diffidenza iniziale e delle improbabili insegne, ho mangiato discretamente bene. Su una collinetta, costeggiata da un percorso e arbusti bruciati dal sole, la porta è impressionante. Restano i due pilastri laterali, null’altro. Poi un profondo fossato. Da questa porta usciva la strada che portava all’antica Myndos (oggi Gumuslük), ricordata anche da Plinio il Vecchio. Il silenzio è scosso solo dal vento che dal mare sale fin qui e che porta con sé tante storie. La più sorprendente, e sconosciuta è quella dell’assedio di Alicarnasso per mano di Alessandro Magno. Secondo gli storici fu proprio sotto gli spalti di questa porta che avvenne un sanguinoso combattimento tra i cavalieri del condottiero macedone e i soldati di Alicarnasso. Una strenua difesa che non bastò alla città per conservare la sua libertà.



La libertà persa anticamente da Bodrum è possibile ritrovarla dall’altra parte della città. Una schiena colorata di mulini a vento che di fatto taglia in due la cittadina: sotto il porto con le barche e le bandiere, sopra la striscia bianca di case e alberghi affacciati su colline verdeggianti. Per un attimo ho l’impressione, col sole che si tuffa nell’Egeo, di essermi perso tra le pagine di Cervantes e del suo don Chisciotte. Non più Turchia né Egeo. Ma Spagna e con essa la terra polverosa della Mancia. Le pale dei mulini ancora in piedi girano lentamente. Una motocicletta parcheggiata sul ciglio della collina guarda il mare, inventandosi un’altra prospettiva di libertà. Il sole si è fatto tutt’uno con l’orizzonte. Mentre sono seduto su un masso, godendomi ciò che la luce ancora consente di vedere, mi ricordo di un motto attribuito al grande storico Erodoto, nato proprio qui a Bodrum/Alicarnasso, e da Cicerone considerato il padre della storia. "La felicità umana non sta mai ferma in uno stesso luogo".



Come notato dal filologo austriaco Albin Lesky, uno dei maggiori grecisti del Novecento, in merito alle incongruenze presenti nelle sue Storie, anche Erodoto aveva il diritto di sonnecchiare, qualche volta.

(5. FINE)


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