SILENZIO
E COMMERCI
SUL DELTA
DEL MEKONG

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Prima di partire da Saigon Anna ci accompagna a dare un’occhiata veloce alla facciata della Cattedrale di Notre Dame e all’edificio che ospita l’ufficio postale, progettato da Gustave Eiffel.


(Saigon, Notre Dame)


Sono solo le 7.15 di domenica mattina. L’ufficio postale aprirà alle 8.00 (è aperto anche la domenica) e noi non abbiamo tempo di aspettare. Ci godiamo la facciata e sbirciamo l’interno attraverso il cancello chiuso. Centinaia di studenti fanno colazione insieme nello spiazzo antistante l’edificio, seduti sul marciapiedi e sul prato, già asciutto nonostante il temporale di ieri sera. Un’abitudine diffusa, ci spiega Anna: i Vietnamiti si svegliano presto e non amano mangiare da soli. Del resto a Saigon non si fa altro che mangiare: ogni scusa e ogni orario vanno bene per uno spuntino in compagnia.


(Saigon, colazione in strada davanti all'ufficio postale)


Torniamo sul bus e ci avviamo per il lungo spostamento verso Sud, il Mekong e il confine. Sonnecchio, mi sveglio: risaie, fiume, piante, la voce un po’ aspra di Anna mi culla, mentre descrive il lavoro dei contadini che curano la risaia o, nella stessa risaia, dopo il raccolto, pescano. Il fiume dà da vivere a tutti e qui manca il superfluo, non il necessario.


(Il Mekong)


Anna è nata da queste parti. Ne conosce ogni aspetto e ce lo racconta con l’entusiasmo che le è caratteristico. Si accorge di un mio risveglio e si affretta a indicarmi il paesino che stiamo attraversando: Sa Dec, il villaggio in cui viveva la famiglia della protagonista del libro della Duras. Mi indica anche la scuola in cui ha insegnato la madre della scrittrice (il romanzo è autobiografico). Si duole di non avermi potuto mostrare il traghetto del primo incontro tra gli amanti: dormivo e non ha voluto svegliarmi.


(Case sul delta del Mekong)


Arriviamo a Cai Be. Anna compra della frutta per farcela assaggiare. Una imbarcazione dal tipico fondo piatto ci aspetta per un primo giro sul fiume: intorno a noi case e negozi galleggianti. Sulle barche si vende di tutto, dalla frutta al pesce, dalla verdura all’acqua, ai prodotti artigianali. Sulle sponde abitazioni su palafitte e opifici dediti alla lavorazione del riso.


(Una barca-negozio)


In un ramo di fiume tranquillo ci aspettano tre piccole barche a remi. Ci dividiamo a gruppi di tre e partiamo, con l’obbligatorio cappello a cono, per una lunga passeggiata tra la folta vegetazione e le poche palafitte. Un uomo in acqua, vestito, sta forse pescando o recuperando qualcosa che ha perduto. C’è una quiete che invita a parlare a bassa voce per non rompere l’incantesimo dello sciabordio lieve della barca sul fiume.


(L'uomo nel fiume)

Il caldo è forte. Dopo mezz’ora di questa navigazione silenziosa e straniante approdiamo nei pressi di un altarino con la statua del budda. Non so a chi di noi sia venuta l’idea, ma posso dire che esiste una foto, che certo non mostrerò tra quelle a corredo di questo racconto, in cui Massimo, Antonio e io esibiamo i nostri stomaci nudi e prominenti, in una tanto divertente quanto irrispettosa parodia dei Budda.

Torniamo a piedi lungo un sentiero fitto di vegetazione. Anna di tanto in tanto stacca una foglia e ce ne mostra l’uso o il profumo. Curcuma, pepe, albero della gomma, una foglia di chissà quale pianta che lima le unghie. Lungo il sentiero qualche abitazione di legno. Un paio di queste al piano inferiore hanno aperto un bar. Ci fermiamo per un caffè salato, uno dei migliori assaggiati durante il viaggio, e ci divertiamo a scherzare con la proprietaria.


(Chi lavora e chi dorme)


Poi di nuovo in barca tutti insieme fino a un’azienda a conduzione familiare che produce, in maniera artigianale, riso soffiato, caramelle di zucchero di palma, gallette di riso e svariati dolci tipici. Sono esposte anche pomate al veleno di cobra, e anche qui resisto alla curiosità dell’acquisto. Poi mi pento: la curiosità prende il sopravvento troppo tardi. Qualche galletta, però la compriamo.


(Caramelle artigianali)


Dopo il pranzo in un ristorante ricavato in una costruzione stile coloniale, ci imbarchiamo di nuovo per risalire il fiume fino al molo presso il quale il nostro autista, ribattezzato Bellicapelli per la folta chioma, ci aspetta col bus.

Il viaggio verso sud procede pigramente fino a Chau Doc. Ci arriviamo all’imbrunire. Attraversiamo la città brulicante di vita e di attività. Anna ci informa che qui ci sono diversi templi molto venerati, uno in particolare che ospita una divinità femminile, Ba Chua Xu, considerata la Dea Madre. Nel fine settimana Chau Doc è meta dei pellegrinaggi di fedeli che vengono a pregare in questa zona considerata sacra.


(Pesce del Mekong)


Noi dobbiamo cambiare bus e salutare Bellicapelli: il suo mezzo è troppo grosso per la stretta salita che porta al nostro albergo sulla collina.

Il lodge è molto particolare. Su questo poggio, dal quale si apre la vista sulle alture della Cambogia e sembra potersi scorgere in lontananza il mare (ma è solo un’illusione) si respira il silenzio e con esso un’aura mistica, quasi soprannaturale.


(Il lodge)


Anna ci ha riferito che ci troviamo in un posto molto tranquillo, i cui clienti sono per lo più pellegrini. A me torna in mente l’Infinito di Leopardi, i sovrumani silenzi. Anche qui viene spontaneo parlare sottovoce.

Ceniamo in albergo. Non incrociamo altri ospiti. Complice l’acustica del tetto a pagoda scopriamo che i gechi, almeno quelli vietnamiti, emettono un verso molto forte, quasi un grido.


(Dal lodge di sera)


La cena è piacevole, il mio piatto a base di melanzane e carne macinata è ottimo.

Scendiamo i gradini che portano all’ampio terrazzo della nostra camera che affaccia sulla valle.

Parafrasando il già citato Giacomino, naufraghiamo nel sonno.

(5. continua)

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