Ci sono due battute nel cinema che possiamo usare per spiegare il livello di sofisticazione a cui la tecnologia informatica è arrivata.
La prima è “…Giura di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità”: La seconda è “…tutto ciò che dici può essere usato contro di te”.
Nel primo caso sarebbero state le fiamme dell’inferno a fare da deterrente convincente.
Nel secondo caso, si ricordava che le parole dette devono essere coerenti tra di loro e ogni falla in ciò che dite può ritorcersi contro.
Fate finta ora di essere il protagonista di un thriller, nel momento in cui il sofferente di turno, un attimo prima di spirare, vi passa un ritaglio di giornale su cui ha appuntato OPENAICHATGPTAPI.
Se siete dei “baby boomers” (risate in sottofondo) il vostro film probabilmente si svolgerà, per un paio di ore, in varie scene tutte centrate su disavventure incontrate nel tentativo di decifrare il contenuto del biglietto.
Se invece siete dei “gen z”, accenderete il vostro telefonino, accederete al vostro browser preferito e chiederete cosa rappresenta il misterioso codice ed ecco, nel giro di un decimo di secondo, cosa vi apparirà: “ Risultati relativi a OPENAI CHATGPT API ChatGPT è un chatbot che ha sviluppato OpenAI per rispondere alle domande degli utenti finali.”

Eh sì! I tempi (in tutti i sensi) sono cambiati.
Ora se “OpenAI” è stato sviluppato “per rispondere alle domande degli utenti finali” la prima domanda che mi viene in mente è come ha fatto il mio browser (io uso Google) a decifrare OPENAICHATGPTAPI e formulare una frase con un senso compiuto?
Se per Nanni Moretti le parole sono importanti, nessuno lo ha preso più sul serio dei due coinquilini Larry Page e Sergei Brin.
Nel mondo accademico, un ricercatore che pubblica i suoi studi sulle riviste tecniche importanti viene valutato in base, certamente, al suo contributo alla scienza, ma anche in base a quante volte viene o verrà citato da altri scienziati e in base a quanti altri scienziati cita nel suo studio. È una misurazione di quanto viene considerato importante uno scritto, e uno scrittore, dalla comunità scientifica. Questa arcana scienza si chiama bibliometrica. Una specie di molti amici, molto onore.
Immaginate di trovarvi a sfogliare uno schedario vecchio stile, quelli che si trovavano nelle cassettiere in biblioteca con tante schede di libri. Con le dita indice e medio scorrevate avanti e indietro tra le schede finché non si arrivava a quella che si cercava.
Questo è il World Wide Web (www), che comunemente chiamiamo internet, e i nostri eroi Larry e Sergei, nel 1995 si erano proposti di capire e razionalizzare il modo in cui tutte queste schede interagivano tra di loro, sviscerando i “links” (collegamenti) tra quanto si trovava sul web. Per farlo i due hanno approcciato la sfida con la tecnica della bibliometrica, con l’obiettivo di contare quanti collegamenti vi erano sul web e definendo l’importanza di una pagina in base a quanti collegamenti si portava dietro.

Brin e Page invece si portano dietro un corredo genetico notevole con genitori scienziati della NASA e professori universitari di matematica. Loro stessi avevano all’epoca intrapreso studi in matematica e informatica.
Dopo una serie di successi e insuccessi, i due erano riusciti a creare un programma che classificava i siti in base a quante volte quel sito veniva citato e in base alle citazioni che comprendeva. Così facendo è stato possibile tracciare un’immensa rete di documenti presenti sul web.
Se provate a scrivere “Trump” nella barra di ricerca di Google, noterete in fondo alla pagina che ve ne sono tante altre a seguire. Se scrivete il mio nome, mi fermo a un modesto 9 pagine.
Questo meccanismo si chiama “Search Engine” o motore di ricerca e all’epoca non ve n’erano tanti, ma funzionavano leggendo il testo inserito nella ricerca, abbinando pagine per affinità e non per reale collegamento. Così facendo era possibile che la ricerca producesse risultati del tutto irrilevanti.
Il motore di Page e Brin era decisamente superiore e la sua potenza cresceva al crescere di internet: più pagine più collegamenti e più collegamenti voleva dire accuratezza nella ricerca.
Ovviamente non stiamo parlando di centinaia o migliaia di documenti, ma di almeno un googol, che sarebbe il termine matematico che rappresenta il numero 1 seguito da cento zeri.
E quale nome dare al più potente motore di ricerca al momento disponibile?
Ed eccovi GOOGLE.
Dapprima in fase sperimentale presso l’Università di Stamford, in California, ci volle poco a scoprire che i due avevano una lampada di Aladino per le mani. Era ora di creare una start-up, e così fu.
Né Page né tanto meno Brin terminarono il loro corso Ph.D all’università. Chissà perché.
In compenso hanno creato trent’anni fa, e in un solo anno da quando si conobbero, un colosso tecnologico dal fatturato annuo di circa 90 miliardi di dollari USA (USD) e con utili netti di circa il 25-30% (fatevi due conti!).
E da dove vengono questi ricavi? Dalla pubblicità in gran parte e da servizi a pagamento venduti a privati e aziende.

Ma definire la macchina Google come solo un veicolo pubblicitario sarebbe riduttivo.
Nel decifrare OPENAICHATGPTAPI Google ricorre a tanti dei suoi brevetti nella NLP (Natural Language Processing ovvero Elaborazione Naturale del Linguaggio) che sono algoritmi di Intelligenza Artificiale in grado di analizzare, rappresentare e comprendere il linguaggio naturale.
Nasce così BERT (Bidirectional Encoder Representations from Transformers), un modello capace di comprendere le parole che precedono e seguono la principale, e che consente di comprendere non solo la singola parola ma di dare un senso a un’intera frase. Nel preferire frasi lunghe piuttosto che parole chiave, l’algoritmo, di fatto, imita il modo in cui una persona pensa quando effettua una ricerca. È come se dovessimo aiutare il programma ad aiutarci.
E visto che BERT risale al 2018 (nell’era della moderna tecnologia stiamo parlando di preistoria) gli scienziati di Google introducono MUM (Multitask Unified Model) un modello in grado di comprendere un testo, approfondire la propria conoscenza del soggetto anche usando altri media e anche ricorrendo ad oltre 75 lingue diverse, fornendo infine risposte a domande complesse.
In questo modo, Google vi chiede conferma della parola scritta quando identifica un errore ortografico e, nel contempo, si dà da fare per darvi riscontro. Applica algoritmi complicatissimi usando ogni dato utile della richiesta, filtrando le pagine già consultate sia dal richiedente che da chi ha fatto la stessa o simile richiesta e componendo una lista di possibili risposte. Tutto ciò in pochi istanti.
Senza però escludere che se la richiesta è di natura commerciale, saranno coloro che hanno pagato ad apparire in alto nella lista.
E se le risposte non vi aggradano e iniziate a perdere la pazienza, fate attenzione a non far trapelare il vostro umore, perché Google lo capisce.

Le parole sono importanti (e questo lo sappiamo) ma 'come' si dicono lo è anche. I toni usati rivelano se il messaggio che si vuole inviare è positivo, negativo o neutrale. Incrociando gli enormi volumi di dati provenienti dalle mail inviate, dalle “chat”, dai commenti che vengono lasciati sui social media o dalle recensioni di questo o quel locale, l’IA è in grado di condurre analisi dei sentimenti (sentiment analysis) che, per i professionisti del marketing, sono una miniera d’oro di dati utili per attività di vendita.
E volete che Google non offra anche questo servizio?
Ecco perché, anche in caso di innocenti ricerche su internet, bisogna sempre dire la verità, tutta e sola. Perché se non lo fate vi arriveranno pubblicità che non vi potranno mai interessare.
In alternativa, non accendete il computer.
E nemmeno il cellulare.
(4 - continua)