"Otro daiquiri, hombre, por favor". Sorride sorniona quella faccia di bronzo di Ernest, seduto in un angolo del bancone del bar. Intanto una cantante di colore con i capelli biondo scuro allunga un acuto che fa tremare i lampadari senza impiego di microfono. Il suo petto si gonfia sfidando le barriere di un generoso décolleté e la sua voce scatena l'entusiasmo, non necessariamente alcolico, di un pubblico molto global: asiatici, canadesi, russi, italiani, tanti cubani, anche di età ultraveneranda. La statua bronzea di Hemingway a grandezza naturale sta lì a godersi ogni sera lo spettacolo. Del resto, è a lui che il Floridita deve il suo successo intercontinentale. Chi vuole bere un daiquiri con i controfiocchi, ancor oggi probabilmente il migliore di Cuba, deve venire qui, in fondo alla via pedonale che attraversa l’Habana Vieja e che conduce nei pressi del Parque Central e quindi del Capitolio. Io non mi intendo di cocktail (ma neanche di bibite analcoliche, sia chiaro), però devo dire che non è a causa della suggestione del mito che penso di aver assaggiato qualcosa di davvero particolare, delicato, profumato, freddo al punto giusto e rimasto ineguagliato durante tutto il periodo del mio viaggio a Cuba. E così ne prendo un altro: bastano 5 euro per ripetere quella che gli influencer definirebbero probabilmente “una straordinaria experience, raga”...

Ma non lasciarti influenzare neppure da me, il Floridita non ne ha bisogno: qui si prova a dimostrare il principio del ballo perpetuo... La gente entra e esce di continuo, tutto il giorno, ma fino, e non oltre, alle 11 “de la tarde”. I gruppi musicali si alternano con frequenza oraria nel microscopico palcoscenico - largo non più di due metri - ricavato accanto alla porta d’ingresso del locale. Però l’acustica dell’ambiente, di pianta ovale e di raffinata architettura liberty con qualche accenno di eclettismo, è così straordinaria che il minuscolo e unico amplificatore a disposizione delle orchestrine, pur pompando ben pochi watt, riesce comunque a generare un volume da stadio. Intanto i camerieri volteggiano in livrea bianca e rossa tenendo in equilibrio professionale tra la folla danzante i loro vassoi carichi di cocktail. “Otro daiquiri, por favor!”

Non so se ai tempi di Hemingway fosse già così, ma insomma qui c’è un’atmosfera da Cuba autentica e l’orda dei turisti che invade il Floridita a ondate non è ancora riuscita a contaminarla. Il giornalista che rivoluzionò il mestiere di scrivere qui era ospite fisso, anche se la sua casa di Finca Vigia si trova a una quindicina di chilometri dall’Havana. Hemingway visse per vent’anni nella più grande delle isole caraibiche, fino al 1960, quando con l’avvento del regime di Fidel decise di tornare negli Stati Uniti, a Ketchum, dove pochi mesi dopo si tolse la vita con un colpo di fucile. Una tragedia ancora non del tutto chiarita, perché Hemingway a Cuba non si era limitato ad andare a pesca e a scrivere alcuni dei suoi libri più famosi, tra cui “Il vecchio e il mare”, opera grazie alla quale lo scrittore aveva vinto prima il Pulitzer nel 1953 e poi il Nobel, nell’anno successivo.

All’inizio della Seconda Guerra Mondiale, ad esempio, Ernest aveva lavorato per i servizi segreti sovietici e solo un paio d’anni dopo era diventato “il nostro uomo all’Avana” dell’Fbi. Dapprima apprezzato come spia antinazista nella Cuba neutrale dove si incrociavano le rotte di tutti i servizi segreti del mondo, viene poi scaricato dalla stessa agenzia governativa americana che addirittura lo accusa di essere un “impostore”. Nel dossier dell’Fbi rimasto top secret fino al 2011 – anche se alcuni passaggi sono ancora occultati con l’inchiostro nero - Hemingway viene infatti descritto come inaffidabile, le sue informazioni sono definite prive di fondamento e si lascia credere che facesse il doppio gioco. “Troppo amico dei russi”. Ernest anche per questo cade in depressione, soffre di manie di persecuzione, si sente pedinato dagli agenti dell’Fbi, spiato dopo aver a lungo spiato.

Sì, lo so, perdonami, mi sono di nuovo perso in una storia parallela, ma che ci vuoi fare? Ormai mi conosci. Ora però, anche se mi piacerebbe continuare a parlartene a lungo, mi conviene tornare sulla via principale. Che porta dritta alla Bodeguita del Medio, un’altra pietra miliare di tutti gli itinerari turistici nell’isola. "Mi mojito en la Bodeguita, mi daiquirì en El Floridita", scriveva Hemingway all’epoca. E non si poteva certo sbagliare: se il daiquiri del Floridita, per il quale pare avesse persino collaborato nella scelta degli ingredienti, rimane ancora oggi tra i migliori dell’isola, il mojito della Bodeguita, locale tipico nel cuore dell’Habana Vieja, è altrettanto eccezionale. In questo bar ristorante, molto più ruspante del Floridita, si ha l’impressione che la festa sia appena cominciata e che non si riuscirà a vederne la fine. L’orchestra al piano terra impone il ritmo della giornata anche agli avventori in attesa di entrare e arrampicarsi su per le scale strette e ripide che conducono alle sale superiori. Dove suonano, ma senza darsi fastidio (e non so come sia possibile), altre due orchestrine. Ogni centimetro quadrato di superficie orizzontale o verticale – dai tavoli alle pareti - è coperto di brevi messaggi a imperituro ricordo di un passaggio.

Il fatto è che i testi vergati con tanto trasporto sui muri del locale in realtà imperituri non sono proprio per niente, anzi, hanno vita brevissima: le pareti, infatti, vengono periodicamente ridipinte a causa del sovraffollamento di testi affettuosi corredati di nazionalità e data di transito degli autori. Quindi ogni tanto si dà una mano di bianco per fare spazio ai grafomani che verranno. I messaggi sono così tanti che tracimano persino sulla facciata della casa che sta di fronte alla Bodeguita, dove una mano mossa da speranze vane ha lasciato un avviso bilingue tanto giustificabile quanto inutile: “Per favore, non scrivete sul muro”. L’efficacia del cartello è attestata dallo sciame di scritte multicolori che lo assediano.

Dalle parti della Bodeguita, a 200 metri di distanza, si trova pure l’Hotel Ambos Mundos in cui Hemingway soggiornava negli anni Trenta, cioè molto prima di prender casa all’Avana. L’albergo risale agli inizi del ‘900 ed è in stile eclettico, come in architettura usava spesso all’epoca. Il giornalista chiedeva sempre la stessa camera: la 511, al quinto piano, che è rimasta come allora ed è stata trasformata in un micro-museo dedicato all’illustre ospite. Ma quando arrivo io, l’albergo è chiuso-cerrado-closed. Ora leggo che è stato riaperto alle prenotazioni una settimana fa per circa 60 dollari a notte (tariffa minima): Ernest invece pagava un dollaro e mezzo. Te lo dico così ti fai anche un’idea dell’andamento dei prezzi del soggiorno all’Avana nel corso degli anni. All’Ambos Mudos, si dice che il Nostro avesse scritto la parte finale di “Morte nel pomeriggio” (1932) e le pagine iniziali dei romanzi “Verdi colline dell’Africa” (1935) e “Avere e non avere” (1937).

Il Vecchio e il mare invece l’aveva scritto a Finca Vigia, nel 1951, ispirandosi alle storie che gli raccontava l’amico marinaio Gregorio Fuentes. La casa, restaurata dopo un lungo periodo di abbandono, dal 2019 è stata trasformata in un museo che io spero di poter visitare la prossima volta... “Buona fortuna, disse il vecchio. Adattò gli stroppi dei remi agli scalmi e sporgendosi avanti a spingere le pale nell'acqua, incominciò a remare al buio per uscire dal porto...”. Due righe del Vecchio e il mare bastano per ricordarti la potenza narrativa dello stile Hemingway. Però ora ti devo anche dire che se lo scrittore fosse uomo dei tempi nostri, probabilmente non sarebbe riuscito ad ambientare a Cuba la storia del vecchio Santiago e della sua ultima battaglia epica con il grande marlin. Il motivo sembra quasi surreale: i cubani, da anni ormai, non possono navigare il loro mare. Non lo vieta una legge, ma una disposizione delle autorità evidentemente preoccupate di una nuova fuga di massa, dopo quella degli anni '80, verso la Florida, le cui coste si trovano ad appena 170 km di distanza. E questo è il motivo per cui il mare di Cuba è deserto in modo davvero innaturale e i pesci si trovano soltanto sulle tavole dei ristoranti per turisti.

La pesca è un’attività gestita direttamente dallo Stato e la navigazione di diporto è consentita soltanto per portare a spasso gli ospiti stranieri. La norma resta in vigore anche se la migrazione verso gli Usa non è mai stata così massiccia come dopo il Covid: si calcola che nel 2022 siano stati 150 mila i cubani che hanno abbandonato l’isola per inseguire il sogno americano. Sono passati perlopiù attraverso i Paesi del Centro e del Sud America per poi arrivare in Messico e quindi tentare l’ingresso negli Usa da clandestini. Anche se la via del mare, secondo la Guardia costiera americana, non è mai stata del tutto abbandonata, persino a rischio della vita, tentando la traversata con qualsiasi mezzo che sia in grado di restare a galla, dalla camera d’aria di un camion alla vecchia lancia di legno fradicio.
(7 – continua)