SHAKHRISABZ
'CITTÀ VERDE'
DI TAMERLANO

Nella antichità il suo nome era Kesh, poi fu lo stesso Tamerlano a ribattezzarla Shakhrisabz “città verde”, perché nei molti giardini voluti dal condottiero crescevano alberi e fiori in quantità. I primi insediamenti risalgono a circa 2700 anni fa e la cittadina, messa in ombra dalle bellissime città-stato in pieno sviluppo di Bukhara e Samarkanda, non ha mai avuto alcuna importanza storica fino alla nascita di Tamerlano che, in realtà, era nato in un piccolo villaggio a sud di Kesh.


(Amir Temur - Tamerlano)


Tamerlano pare che abbia speso notevoli energie e risorse per abbellire Shakhrisabz, da lui considerata città natale, e tutti i palazzi e monumenti esistenti, o ciò che ne resta, vennero fatti costruire o commissionati da Tamerlano stesso, fino a quando fu in vita. Ma alla fine, sebbene avesse espresso la volontà di riposare in pace in questi luoghi, i suoi resti sono custoditi sotto un enorme blocco di giada nel sontuoso Mausoleo Gur-i-Emir di Samarcanda. Difficile garantire la verità, ma pare evidente che il condottiero cambiasse pensiero di frequente.


(L'entrata di Ak-Saray)


Shakhrisabz ha continuato la sua vita tranquilla e indipendente fino alla metà del XIX secolo quando cadde in mano all’emiro Nasrullah, e poco dopo, nel 1870, a seguito di una rivolta contro le pesanti tassazioni imposte dallo zar, ebbe termine ogni indipendenza amministrativa e politica della città.


(Ak-Saray, il Palazzo bianco)


La mattina in cui l’ho visitata pioggia e grigiore uniti all’assenza di turisti e locali in giro per le strade non potevano migliorare l’aspetto della città che, a detta della guida, appare quasi sempre vuota e un po' triste in una mescolanza di grandiosi resti, cupole e madrase e palazzi moderni. La guida, assai brava e con un italiano eccellente imparato in Italia, a Perugia, ci conduce verso il Palazzo Ak-Saray che significa “palazzo bianco”a sottolineare le origini nobili del proprietario. La costruzione, iniziata nel 1379, durò circa 25 anni. I diari dell’Ambasciatore spagnolo Clavijo che visitò la città e la corte di Tamerlano nel 1404 parlano di grandi banchetti, di vini a profusione e feste sontuose.


(Il complesso di Dorut Tilovat)


Dai resti del palazzo – l’alta torre di entrata centrale, il rivestimento della facciata ben preservato, le decorazioni smaltate - si intuiscono le dimensioni notevoli e la preziosità dei materiali utilizzati. Sui due lati del portale di ingresso in caratteri cufici ancora si leggono, si fa per dire, le due diverse scritte: sul lato orientale “il sultano è l’ombra di Allah”, sul lato opposto “il sultano è un’ombra”. Una intenzionale asimmetria legata alla perfezione di Allah a fronte della imperfezione dell’uomo.


(Dorut Tilovat, la moschea Koz Gumbaz)


A breve distanza ci sono una moschea e una scuola coranica costruite nel 1914 e gli antichi bagni pubblici del XV secolo. Sul lato opposto della strada c’è la Madrasa Koba che venne utilizzata come caravanserraglio e oggi ospita molti negozietti che offrono un artigianato un po' diverso rispetto a quello delle grandi città, inclusi i “suzani”, grandi copri tavolo/letto piuttosto belli.


(Il mausoleo Dorus Siadad)


Dopo un chilometro circa c’è il complesso Dorut Tilovat, madrasa e moschea dalla cupola blu di Koz Gumbaz, ristrutturato nel 1994 con particolare attenzione ai mosaici di rivestimento. Il complesso venne terminato nel 1437 da Ulug Beg, nipote di Tamerlano.

Poco oltre incontriamo i resti di un’altra opera mastodontica di Tamerlano, il Mausoleo di Dorus Siadad, che venne costruito dopo la scomparsa prematura di due dei suoi figli, Jehangir e Umar Sheik. Tamerlano, a seguito di questo evento, fece costruire una cripta anche per sé con delle scritte decifrate dagli storici, cripta che avrebbe dovuto ospitare il corpo del condottiero. Ma quando venne aperta a metà del XX secolo vennero rinvenuti due corpi la cui identità è rimasta un mistero. Ma sembra certo che il corpo di Tamerlano sia custodito a Samarkanda, nella città dalle cupole blu.


(Al passo Teshiktosh, i forni)


Termina la visita di Shakhrisabz, ma mi attende un’altra avventura interessante.

Macchina, autista e guida prendiamo la strada del passo Teshiktosh che, scavalcata la punta di 1.790 metri circa, scende verso Samarcanda. Salendo si sente il freddo e l’umido della pioggia, e giunti al passo ci fermiamo per un pranzo al ristorante, pare molto famoso, Kattatosh, per gustare il piatto locale che, detto in breve, è a base di montone. Non starò a descrivere i miei sentimenti, io che di carne non ne mangio quasi, e chiedo se per caso ci sarebbe una alternativa. La guida, con assoluta garbata fermezza, mi dice che DEVO provare questo piatto e mi assicura che non ha un sapore forte ed è assai gustoso. Decido che devo provarlo, non tanto per l’assenza di alternativa ma per la curiosità e per il principio secondo il quale se si viaggia in terre lontane e incognite bisogna essere preparati anche alla carne di montone, che è ancora il meno peggio.


(Al passo Teshiktosh, la preparazione della carne)


Il ristorante – assai affollato di locali, semplicissimo, senza tovaglie, con molti tovaglioli di carta e grandi piatti fondi – si affaccia su una vallata verdissima mentre comincia a comparire la nebbia. Prendiamo posto e poi andiamo a vedere le “cucine” poste più in basso, quasi sotto la sala da pranzo. Situate in una specie di grotta aperta sui tre lati, ma ben riparata, ospitano 3-4 enormi forni verticali stile tandoori, in argilla e terracotta (sembrano paioli), posti sul fuoco acceso a terra in una piccola buca. I forni sono riempiti di braci e sulla apertura è posta una larga griglia sulla quale vengono adagiati pezzi di montone, poi chiusa con un coperchio a cupola (le foto spiegano meglio di me). Diversi uomini sono affaccendati attorno ai forni tra il disporre la carne, sorvegliare la cottura e ritirare le parti arrostite. Interessante, gli odori non sono sgradevoli. Torniamo al tavolo dove, intanto, hanno portato acqua freschissima, una insalata di pomodori molto gustosa, grandi fette di pane. Infine arriva una grande scodella colma di pezzi di carne.


(Al passo Teshiktosh, la cottura)


Esteticamente non era il meglio, ma ho partecipato al banchetto e devo dire che la carne era gustosa e priva di sapori aggressivi. Un ottimo pasto per i contenuti, l’ambiente, le scoperte e la gente gentile ed ospitale.

Da provare se ci si trova da quelle parti.

(6. continua)



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