BUONDÌ
FIESTA E GIRELLA
MERENDINA
ARTE ITALIANA

Di Angelo Motta si possono dire un sacco di cose, soprattutto si può dire che sia stato un bravo imprenditore, anzi, che sia stato un grande imprenditore estremamente innovativo. Ma così facendo riusciremmo solo a dare l’idea del suo contributo allo sviluppo dell’economia italiana, ma ci perderemmo il suo ruolo nella trasformazione dei consumi e della cultura degli italiani. Angelo Motta, infatti, dopo aver inventato il Panettone nel 1919 e il gelato Mottarello nel 1948, che cambiarono il Natale e l’estate degli italiani, nel 1953 si inventò anche il Buondì, che cambiò la colazione e la merenda dell’intero Paese.

Il Buondì fu un prodotto rivoluzionario, ma al tempo stesso il segnale di una trasformazione che stava avvenendo nella società italiana. Per capire l’importanza di questa semplice brioche, bisogna fare un piccolo riepilogo sulla colazione degli italiani e anche sulla merenda.

Togliamoci subito un pensiero: la merenda è un’invenzione recente. L’idea di un piccolo spuntino a metà pomeriggio o a metà mattina, che interrompa il digiuno e che dia nuove energie per arrivare ai pasti principali è estremamente moderna. Fino agli anni ’60, l’intervallo a scuola serviva per recarsi in bagno e per riposarsi un po’, o magari per ripassare in fretta e furia in vista del compito o dell’interrogazione dell’ora successiva. A nessuno veniva in mente di portarsi qualcosa da mangiare a scuola. Eppure, la parola “merenda” è nata proprio in ambito scolastico, dal verbo latino “merere”, vale a dire “meritare”; quindi, la merenda storicamente si configurava come un piccolo premio, che poteva anche consistere in un frutto o in una pagnotta fresca, da dare agli studenti per incentivarne l’impegno. È altamente probabile che questa usanza sia nata all’interno degli istituti educativi gestiti da ordini religiosi.



Fuori dall’ambito scolastico, la merenda era invece diffusa nel mondo agricolo, ma di fatto andava a sostituire uno dei due pasti principali, il pranzo o la cena. La famosa merenda sinoira, che recentemente è tornata di moda in Piemonte come attrazione turistica, era in effetti molto praticata dai contadini, ma il nome stesso, che deriva da “sina” (cioè cena), ci dice che era solo un modo per sfruttare fino all’ultimo le ore di luce nel periodo in cui i lavori nei campi erano più intensi.

Negli anni ’50 le cose cominciano a cambiare: la merenda a scuola inizia a diffondersi, come al solito partendo dai figli delle classi più agiate. Ma c’è un altro cambiamento, ancora più radicale, che in qualche modo è certificato proprio dal successo commerciale del Buondì Motta. Fino a quando l’Italia era un Paese agricolo, non solo non esisteva la merenda, come detto, ma anche la colazione di fatto era sconosciuta per gran parte della popolazione: i contadini si alzano molto presto e solo dopo alcune ore di lavoro si mettono a mangiare qualcosa, a quel punto, però, non è una colazione, ma qualcosa che assomiglia di più a un pranzo, spesso consumato direttamente nei campi. Gli orari di un operaio e di un impiegato sono completamente diversi ed è proprio con la veloce trasformazione dell’Italia da Paese agricolo a Paese industriale che la colazione diventa il primo dei tre pasti principali.



Questo cambiamento è certificato anche dalla trasformazione dei bar. Fino agli anni ’50, il bar era l’evoluzione della vecchia e tradizionale osteria; un locale che veniva frequentato quasi esclusivamente a partire dal tardo pomeriggio e in particolare alla sera, in ogni caso quando era terminato il lavoro, indipendentemente dal tipo di lavoro che i vari clienti svolgevano. La colazione al bar era una stravaganza che praticavano in pochi e, per i motivi già detti, solo nelle città. Si trattava comunque di un tipo di consumo che riguardava solo i lavoratori del terziario, per operai e artigiani la colazione era una faccenda domestica a base di caffè, latte e pane del giorno prima. Tra parentesi, questa intensa correlazione tra il settore economico e la colazione fuori casa spiega anche perché proprio a Roma si trovi una forte concentrazione di bar specializzati nella preparazione delle colazioni con la conseguente fioritura di cornetti, maritozzi, brioche e anche di cappuccini, dei quali ovviamente si raccontano per tutti le origini antichissime. In realtà è stata l’ipertrofica burocrazia capitolina a generare questa domanda, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra.

Proprio qui sta la grande intuizione di Angelo Motta, vale a dire la possibilità di replicare in casa la colazione che ancora troppo pochi potevano consumare al bar. Preceduto nel 1951 dal Mottino, che era un piccolo panettone, il Buondì fu lanciato sul mercato nel 1953; l’intenzione del suo inventore era quella di produrre una brioche industriale in grado di ricordare la cosiddetta Veneziana, la tipica brioche che fin dal primo dopoguerra era da abbinare al caffè nelle colazioni consumate nei bar milanesi. Quello del Buondì fu un successo immediato. Il prodotto divenne in breve tempo molto popolare proprio perché riuscì ad intercettare entrambi i cambiamenti in atto: l’industrializzazione, con la diffusione della colazione domestica, e la scolarizzazione di massa, con la merenda che diventava sempre più praticata. Il Buondì, come dice il nome, nasce per essere consumato al mattino insieme al caffelatte, ma il suo successo offrì alle famiglie italiane una semplice ed economica soluzione anche al problema della merenda a scuola per i figli.

Questa seconda modalità di consumo fu un tale successo e per giunta così inaspettato da prendere in contropiede la stessa Motta, che dovette incrementare la produzione di Buondì oltre le sue stesse previsioni. A quel punto anche le altre industrie dolciarie cominciarono ad esplorare questo nuovo segmento di mercato, che fino a quel momento di fatto non esisteva. Prima fra tutte una giovane e aggressiva azienda piemontese, la Ferrero, che iniziò a studiare la possibilità di produrre un piccolo dolce lievitato non più pensato per la colazione e poi convertibile in merenda, ma proprio da portare a scuola o al lavoro per spezzare il digiuno a metà mattina o a metà pomeriggio.



Nel 1960 nasce la Fiesta, che infatti è una merendina realizzata con un pan di spagna leggermente imbevuto di liquore aromatizzato con scorze di arancia, e rivestito da uno strato di cacao. Per renderla anche più esteticamente appetibile vengono tracciati dei ghirigori a forma di onde sulla superficie. La Fiesta dovette sgomitare non poco per conquistare quote rilevanti di mercato, non dovette combattere solo contro il già affermato Buondì ma anche contro le merende per così dire artigianali che i fornai e gli alimentari vendevano a studenti e lavoratori; dalla classica schiacciata, fino ai panini imbottiti che divennero essi stessi il simbolo della pausa pranzo nei cantieri edili e non solo.

Dopo un decennio di lenta crescita, la Fiesta conobbe un vero e proprio boom all’inizio degli anni ’70. Nuove campagne promozionali della merendina a partire proprio dal 1971, con spot all’interno di Carosello, davano la misura di una maggiore concentrazione sul target specifico di studenti e lavoratori della classe media in espansione. Come testimonial principale venne scelto il gruppo musicale dei Ricchi e Poveri, ma soprattutto vennero lanciati nuovi slogan come “Fiesta ti tenta tre volte tanto”, “Nutre con piacere”, per arrivare a “Non ci vedo più dalla fame”, che sanciva il ruolo della merendina all’interno di una breve pausa di studio o di lavoro.

Nel frattempo, la Motta stava reagendo alla sfida della Ferrero con un nuovo prodotto, destinato, ancora una volta a stravolgere l’intero comparto, vale a dire la Girella, la cui distribuzione iniziò nel 1973. Però qui è necessario fare un breve riepilogo, perché la Motta del 1973 non era la stessa azienda di vent’anni prima che aveva creato il Buondì. Dal 1968, infatti, l’IRI aveva rilevato il controllo della Motta, alla quale si aggiunse anche l’Alemagna nel 1970. Proprio all’interno delle Partecipazioni Statali fu deciso di entrare nel settore dei cosiddetti prodotti da forno a consumo a continuativo, le merendine appunto, con un piccolo dolce specifico da affiancare al Buondì, il cui consumo fuori casa era in rapido declino.



La Girella provocò un vero e proprio salto di qualità nel settore. Esattamente come era già accaduto con il Buondì, il successo della nuova merendina creò le premesse per l’ingresso di nuovi marchi e il lancio di nuovi prodotti sempre più elaborati. Tale espansione riguardò anche l’export, dove i dolci da forno italiani in pratica non avevano concorrenti. Grazie anche alla solida reputazione del panettone, i monodose lievitati e quelli a base di pan di Spagna conobbero un crescente successo in Europa e non solo; questo tipo di dolce rimane ancora oggi saldamente legato al gusto italiano, l’ennesimo caso di Made in Italy di totale derivazione industriale.

Il successo della Girella, come detto, attirò nuovi marchi e stimolò la fantasia di creativi e pubblicitari. Se ancora nel 1982 le partecipate dell’IRI detenevano una quota pari al 23% del mercato delle monodose, di lì a poco tutti gli equilibri sarebbero stati stravolti. Nel 1975 la Ferrero lanciava la linea Kinder Brioss, con l’idea di creare un prodotto adatto sia alla colazione sia alla merenda, come il vecchio Buondì, ma con un gusto e un packaging estremamente moderni. Dalla prima merendina, realizzata con pan di Spagna farcito con crema al latte e venduta in confezioni da dieci pezzi, la Ferrero realizzò una gamma di prodotti estremamente ampia e diversificata (integrale, allo yogurt, alla marmellata, ai cereali, ecc.), finendo per ribaltare la stessa logica delle merendine, che in teoria dovevano essere estremamente standardizzate e che invece venivano praticamente customizzate.

Il superamento della logica fordista e questa tendenza verso la diversificazione, che ovviamente non riguardava solo le merendine, ma tutti i prodotti industriali a partire dagli anni ’70 fu alla base dell’ingresso nel settore di molti altri players, come Parmalat, Pavesi, Bauli e Balconi (quest’ultimo fortemente orientato al mercato estero). Ma in particolare, quello che sarebbe diventato leader del settore: il gruppo Barilla, attraverso il marchio Mulino Bianco. L’azienda di Parma portò la diversificazione a livelli incredibili, arrivando a proporre sugli scaffali dei supermercati contemporaneamente quaranta tipi diversi di brioche, plum cake, cornetti, tortine, eccetera.

Si può tranquillamente affermare che un settore anomalo e per certi versi sorprendente come quello delle merendine rappresenti alla perfezione l’evoluzione dell’industria alimentare italiana negli ultimi settant’anni, la sua eccezionalità nel contesto internazionale, ma anche la sua capacità di intercettare con prodotti nuovi i cambiamenti in atto nella società e nei gusti dei consumatori. Molte volte anche anticipando trasformazioni che non si erano ancora manifestate del tutto.

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