SANITÀ CUBANA
UN MODELLO
MA POCHI
FARMACI

Qui a Cuba il vaccino anti Covid è considerato un po’ come il moijto: si può preparare con ingredienti genuini locali oppure con prodotti industriali. Quale sarà migliore? E siccome a Cuba di moijto, ma anche di medicina e sanità, se ne intendono, probabilmente ci si può fidare. Tanto che quando durante la pandemia si sperimentò - anche in Italia - il vaccino cubano, i risultati furono molto soddisfacenti. Poi però l’Aifa non ne certificò l’efficacia e così i ricercatori dell’Avana hanno potuto utilizzare il loro vaccino stile moijto soltanto per proteggere la popolazione cubana. Hanno vaccinato tutti, a partire dai bambini di due anni di età, e ora del virus non c’è più traccia. Così ci spiegano nella sede della Brigata Henry Reeve, che in realtà è stata la prima tappa di questo mio viaggio a Cuba che hai avuto la pazienza di seguire fin qui.

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(Un quartiere dell'Avana)

La Henry Reeve è una task force sanitaria che Cuba ha creato per prestare soccorso rapido in caso di necessità in tutto il mondo. E infatti, per esempio, i suoi medici e infermieri, una cinquantina di sanitari in tutto, erano venuti in Italia per dare man forte ai colleghi durante la fase più difficile della pandemia. Si erano stabiliti con i loro ospedali da campo a Crema e a Torino. A Crema erano arrivati a marzo 2020. Erano vestiti un po’ leggeri, mi raccontano alcuni amici, non perché non potessero permettersi abiti pesanti, ma quasi sicuramente perché è abbastanza complicato procurarsi un giaccone nell’isola, dove è estate tutto l’anno senza bisogno di cercarla, come piace a Celentano. Ora, qui all’Avana tre anni dopo è un’occasione per fare un bilancio e per parlare del modello sanitario cubano che è in grado di garantire standard qualitativi tra i più alti al mondo. Certo, nonostante le difficoltà e nonostante l’embargo ultradecennale. Qui purtroppo i farmaci scarseggiano, mancano anche le medicine più semplici: gli antinfiammatori, gli antidolorifici, ma pure le garze, i cerotti e quindi ogni piccola donazione, che semplicemente possa trovare spazio nella valigia del viaggio, è ben gradita. Come ti ho già scritto nella prima puntata, la mancanza di farmaci è stato anche uno dei motivi, proprio durante la pandemia, della clamorosa protesta contro il governo.

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(Incontro alla Henry Reeve)

Ma per tornare nei binari del racconto devi sapere che a Cuba i medici sono trattati un po’ meglio delle altre categorie professionali. Però senza esagerare: il loro stipendio medio è di 60 dollari al mese. E quindi anche loro, se possono, si dedicano anche ad altre attività per arrotondare. Eppure pensa che i medici cubani dal 1960 a oggi sono stati impegnati in centinaia di missioni all’estero, tra cui quelle contro l’ebola in Africa, il colera ad Haiti e quest’anno pure in Calabria, dove manca personale qualificato per tenere aperti i reparti ospedalieri e gli ambulatori. Su queste missioni tuttavia, leggo sul 'Foglio', pende addirittura – anche contro la Regione Calabria che ne ha assunti quasi 500 a tempo determinato - una denuncia alla Corte penale internazionale dell’Aia per riduzione in schiavitù. È stata presentata da una ong, la 'Prisoners Defenders', secondo cui i medici cubani sono costretti dal regime a fornire la loro opera all’estero e gran parte dei loro emolumenti finiscono poi nelle tasche dello Stato: leggo, sempre sul 'Foglio', che nel caso della Calabria su 4.700 euro pagati dalla Regione a ciascun medico ben 3.500 finiscono all’erario dell’isola caraibica. Una percentuale esagerata persino per l’amica Russia, che avrebbe deciso di procedere all’ingaggio diretto di medici cubani senza passare per i consueti canali governativi, provocando un’inedita situazione di tensione con il governo dell’Avana. Il quale dalle missioni sanitarie all’estero ricava una delle voci più redditizie del bilancio statale.

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(Vinales, casa di contadini)

Da altre fonti ho però appreso anche l’esatto contrario e cioè che i medici cubani sono ben felici di essere impiegati in trasferta o di partecipare a missioni all’estero. Vedremo gli esiti di una eventuale inchiesta. Intanto, ti giro qualche numero per avere una dimensione più precisa del fenomeno: 55mila medici sono stati inviati per interventi umanitari dal 1960 a oggi in 67 Paesi diversi; circa 37mila medici cubani esercitano attualmente all’estero grazie ad accordi bilaterali che garantiscono importanti risorse all’isola. Un esempio: il Venezuela ha pochi medici, ma tanto petrolio; il Brasile ha un’assistenza sanitaria molto precaria in alcune zone del Paese, ma tante materie prime... E così alla fine la bilancia va in equilibrio.

A Cuba l’accesso a Medicina è libero e gratuito come per tutte le altre facoltà, anche se il numero degli iscritti è programmato. Sono numerosi gli studenti stranieri - compresi gli statunitensi che non hanno di che pagare le rette esorbitanti delle loro università - ma viene fatta una selezione prima dell’iscrizione.

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(Un bar di Trinidad)

Di tutto questo ti scrivo perché l’ho letto, non perché ne abbia discusso con i medici che hanno ricevuto la nostra comitiva di turisti solidali, con accoglienza calorosa, nel complesso di edifici bassi in cui ha sede la brigata sanitaria internazionale all’Avana. Qui alla Henry Reeve, tutta tappezzata di gigantografie di Fidel in visita ufficiale, si è fatto invece un bilancio del Covid, che a Cuba ha provocato 8.500 morti (pochi in relazione agli oltre 191 mila calcolati in Italia), e si è voluto sottolineare lo straordinario rapporto di collaborazione umano e scientifico che si era creato con i colleghi italiani nel corso della missione, in piena pandemia, a Crema e a Torino.

Ti racconto ancora una storia prima di chiudere la finestra su questo aspetto non irrilevante della sanità cubana. E parto con una domanda retorica: chi era il signore dal nome americano cui Fidel Castro volle intitolare la brigata medica internazionale? Henry Reeve era un giovane originario di New York, il quale era stato tamburino durante la guerra civile americana e poi aveva partecipato alla prima guerra di indipendenza di Cuba tra il 1868 e il 1878. Lo chiamavano Henrique El Americano e si era sparato piuttosto che farsi catturare dai soldati del governo coloniale spagnolo.

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(Trasporti pubblici a Vinales)

Chiudo la finestra, l’unica dentro la quale sia riuscito a sbirciare durante il viaggio, e passo a dirti quel poco che so dell’organizzazione sanitaria nell’isola.

Il sistema si basa su un principio, di cui ti ho già parlato in una delle puntate precedenti: la salute è un diritto sociale irrinunciabile e tutti i cittadini hanno l’assistenza sanitaria completa e gratuita. E nessuno, proprio come nei marines, viene lasciato indietro. Neppure gli anziani, la stragrande maggioranza dei quali peraltro vive nella stessa casa con i figli e i nipoti. Per inciso, aggiungo che la popolazione cubana è più longeva di quella americana: 79 anni di aspettativa di vita contro 76,1.

Il modello nasce dalla rivoluzione di Castro e Guevara (che era medico, come sai), quasi dal nulla: cacciato Batista, più della metà dei medici cubani aveva preferito trasferirsi negli Stati Uniti e alla facoltà di Medicina erano rimasti soltanto 16 docenti.

Il sistema, che ora è articolato in modo molto capillare su tutto il territorio nazionale, campagne e montagne comprese, si regge sui principi della prevenzione, del monitoraggio ambientale e dell’educazione alla salute. Un modello migliorato e raffinato nel corso degli anni fino a diventare un esempio virtuoso per i Paesi in via di sviluppo anche secondo l’Unicef e l’Oms, per poi salire fino ai livelli più alti dei Paesi sviluppati. Certo, se ci fossero più disponibilità di farmaci sarebbe anche meglio. Ma se vuoi approfondire l’argomento ti linko uno studio della Scuola superiore di sanità Sant’Anna di Pisa che mi sembra molto curato (https://www.saluteinternazionale.info/2013/02/salute-e-sanita-a-cuba-i-parte/).  
Per quanto riguarda invece la mia personale e minuscola esperienza, posso soltanto aggiungere di aver visto all’Avana Vecchia diversi poliambulatori dove c’era coda come nei nostri, solo che lì si sta all’aria aperta, come del resto per la gran parte delle attività di vita quotidiana. E forse questo è uno dei motivi per cui il Covid a Cuba non ha avuto la diffusione che si temeva. Ho anche chiesto come funziona l’assistenza di base e mi è stato spiegato che ogni nucleo familiare può contare su un medico e un infermiere e che il servizio copre praticamente tutta la popolazione.

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(Servizi all'aperto)

Gli stranieri, se sei interessato ad un viaggio sull’isola, possono invece far riferimento a un servizio esclusivo che si chiama Servimed ed è indipendente dal circuito sanitario di cui usufruiscono i cubani. I centri Servimed sono più di 40 e offrono assistenza primaria in diverse specialità con strumentazioni di alta tecnologia. Chi dovesse aver bisogno di assistenza mentre si trova in hotel può semplicemente chiedere l’intervento di un medico alla reception, come si fa per la colazione in camera insomma. Gli ospedali cubani garantiscono assistenza gratuita agli stranieri solo per le urgenze, ma ci si può far ricorso soltanto se non ci sono alternative.

Bene, il nostro viaggio invece finisce qui. Vorrei raccontarti tante altre storie, in questa puntata non ho nemmeno divagato troppo. Però ti prometto che se tornerò a Cuba, e l’idea mi alletta, ti scriverò ancora qualcosa, se ti va naturalmente...

(8 – fine)

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