RIVOLUZIONE
DEI CHIP
LA GUERRA
SILENTE

Potrebbe sembrare un comando sul nostro computer, ma non lo è.

L’autorevole Wall Street Journal, in un articolo di marzo di quest’anno definiva “Delete A” la segretissima Direttiva 79 emessa da Pechino a settembre del 2022, per rimpiazzare la tecnologia americana con soluzioni domestiche entro il 2027.

E sappiamo che quando la Cina si prefigge un obiettivo lo raggiunge, costi quel che costi.

A pensarci bene, raggiungere quest’obiettivo non era poi così difficile, visto che la maggioranza dei componenti di un moderno computer, cellulare, elettrodomestico, automobile o pannello solare proviene dalla Cina.

Ed è questo il motivo per cui il mondo occidentale ha precedentemente istituito numerosi provvedimenti di segno opposto, non tanto per rimpiazzare la tecnologia cinese quanto per mitigarne la dipendenza.

Ci dovrebbe colpire il fatto che i provvedimenti di entrambe le parti sono stati messi in atto per questioni di “sicurezza nazionale.”

Quella sicurezza nazionale che sta ricattando il mondo intero.

Tutto ruota attorno a un componente elettronico con la caratteristica di avere una relazione inversa tra dimensione ed importanza: il semiconduttore o microchip.

Un componente che ha rimpiazzato il petrolio come essenziale per la sopravvivenza della società moderna. Ce ne siamo resi conto in occasione del blocco planetario del periodo della pandemia Covid19.



Questa “sicurezza nazionale” di fatto è, nel contempo, causa ed effetto dello stato di guerra silente in atto nel mondo. Al posto dei proiettili, cannoni o missili si usano sanzioni, dazi o barriere amministrative.

Ma l’ingegno umano, seguendo l’istinto evolutivo della sopravvivenza, è in grado di superare ogni ostacolo. Un esempio è quanto è successo alla cinese Huawei cinque-sei anni orsono.

Fu l’allora Presidente Trump a firmare diversi provvedimenti in risposta all’accusa rivolta a Huawei di spionaggio (anche industriale). Il timore era che le autorità cinesi potessero costringere Huawei ad usare la tecnologia 5G, in cui Huawei era (ed è ancora) leader, per raccogliere dati e consentire possibili attacchi alle reti nazionali, anche militari, sia negli USA che in altri paesi.

D’altro canto, la Presidenza Biden ha continuato l’approccio, introducendo decine di altri provvedimenti in linea con la politica del predecessore.

L’interesse che la Cina possa avere in Huawei non è affatto diverso dall’interesse che altri stati possano avere con proprie aziende attive nel settore: USA con Intel, Taiwan con TSMC o l’Olanda con ASML. È lo stesso interesse per cui molti stati finanziano, con non pochi miliardi, investimenti nella ricerca e produzione di semiconduttori.

Programmi di finanziamento che hanno tutti lo stesso nome. “Chips Act”. E c’è quello americano, taiwanese, giapponese, coreano e, da pochi mesi, anche europeo.

Gli stanziamenti sono quasi sempre gli stessi: una cinquantina di miliardi.

Anche la finalità è dichiaratamente la stessa: mantenere la leadership, o colmare il gap, tecnologico e produttivo con la Cina, rendersi indipendenti da essa e resilienti a fattori esogeni che possano bloccare i processi di ricerca e produzione.

Nell’istituire nel settembre 2023 il proprio fondo, la UE dichiara che con esso si “affronterà le carenze di chip e rafforzerà la leadership tecnologica dell'Europa. Mobiliterà oltre 43 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati e stabilirà misure per preparare, anticipare e rispondere rapidamente a eventuali future interruzioni della catena di approvvigionamento, insieme agli Stati membri e ai nostri partner internazionali” (Commissione Europea- Regolamento sui Chip 2023)

Anche il recente rapporto di Mario Draghi ha sottolineato l’importanza per l’Europa di colmare il gap tecnologico, fondamentale affinché l’Europa sopravviva. Suggerisce però di investire qualche miliardo in più.

È probabile che anche la “Direttiva 79” dica la stessa cosa.

E perché mai l’elettore americano dovrebbe essere interessato in tutto ciò?

Se le sanzioni contro Huawei erano finalizzate a bloccare la penetrazione nel mercato USA (e non solo) nonché il suo sviluppo, allora non si spiega come mai il Ministero della Difesa USA chieda ogni anno, da quando è entrato in vigore il provvedimento NDAA (National Defense Authorization Act) nel 2019, l’esenzione dall’applicazione in quanto la tecnologia Huawei è talmente intrecciata nei sistemi operativi del Pentagono che non è possibile “staccare la spina” senza che vi sia una seria interruzione nell’operatività militare di supporto. (Bloomberg – luglio 2024).



E siccome lo sviluppo tecnologico non procede a scatti ma in continuo, nel mentre i vari paesi realizzano il proprio progresso nella ricerca e produzione, quello cinese, compreso quello di Huawei, procederà con lo stesso ritmo (se non più veloce) generando una reciproca corsa e rincorsa infinita.

Con una grande differenza.

La Cina si è posto (anzi imposto) l’obiettivo di diventare un fornitore globale di beni e servizi, e, per farlo, ha deciso di avere il controllo dell’intera catena produttiva nei settori strategici. In pratica il vantaggio competitivo sui costi deve basarsi non solo sul costo del lavoro o del denaro, ma anche nei costi di produzione e della materia prima.

Nel settore tecnologico dei semiconduttori non si tratta solo di essere leader nella ricerca ma anche nella tecnologia della produzione, che include sia i macchinari utilizzati sia i materiali di cui sono composti i microchip.

Nei macchinari, l’occidente possiede un notevole vantaggio rispetto alla Cina, che però sta rapidamente progredendo. Il dominio, al momento, è nelle mani di Taiwan, USA, Olanda e Corea, ma Huawei è al punto di utilizzare semiconduttori progettati e sviluppati in casa propria, supportata dall’industria cinese, ora in grado di costruire macchinari altrettanto efficienti, e venduti a prezzi molto più bassi.

Nel frattempo, da quando sono state introdotte le sanzioni, Huawei ha proceduto ad una integrazione verticale sostituendo tutti i fornitori esteri con propri. Le forniture mondiali di carburo di silicio (SiC), di gallio, di graffite e antimonio, tutti componenti essenziali nei settori dell’alta tecnologia, sono controllati da Huawei e altre aziende cinesi.

I minerali vengono estratti, trasportati, lavorati, scambiati con mezzi e tecnologie cinesi. I computer utilizzati, il software installato su di essi, i mezzi di comunicazione usati sono tutti “made in China” e ognuno di questi elementi della catena ha sostituito l’equivalente precedentemente costruito in USA o Giappone o Corea.

C’è da domandarsi per quanto ancora si resisterà a questo eterno stato di tensione.

Forse i candidati alla presidenza dovrebbero dare qualche indicazione di quale sarà il vero costo per gli USA, e per il mondo intero del “Make America Great Again.”

(6. continua)


leggi anche: USA E BRICS: SANZIONI, QUESTE SCONOSCIUTE
leggi anche: USA E AGRICOLTURA, LA BILANCIA SI RAFFREDDA
leggi anche: GLI SBARCHI CINESI E LA GRANDE PAURA
leggi anche: I BRICS, IL DOLLARO E LA CORSA ALL'ORO
leggi anche: VEICOLI ELETTRICI, L'IMPASSE

Press ESC to close