MICROCHIP
E MACROCAOS
NVIDIA E
L'ERA TRUMP

Visto lo stile, immagino la scena.

“Portatemi Jensen! Lo voglio qui entro 24 ore!”

Chissà, magari le cose sono andate così la scorsa settimana, quando Trump decise di incontrare Jensen Huang, fondatore e numero uno della società Nvidia, leader globale nella produzione di semiconduttori.

E leader vuol dire una società prima in classifica per capitalizzazione (cioè il valore di mercato di tutte le azioni emesse), persino superiore ad altri colossi tecnologici noti come Apple o Microsoft, e con ricavi nel 2024 di circa 62 miliardi di dollari USD (il doppio rispetto al 2023), il che pone Huang in nona posizione tra i più ricchi del pianeta.

O almeno lo era fino a qualche giorno fa.

Cinese di Taiwan, oltre a dover cambiare i caratteri con cui scrivere il suo nome ha dovuto anche modificarlo, visto che negli USA la pronuncia di nomi stranieri spesso produce suoni imbarazzanti.



E così 黃仁勳 è diventato dapprima Huáng Rénxūn poi N̂g Jîn-hun ed infine Huang Jen-hsun detto “Jensen.” Un po' come Vito Andolini è diventato Don Vito Corleone, detto “il Padrino”.

La stessa sorte toccò a Gróf András István, meglio conosciuto come Andy Grove, che per una ventina d’anni guidò la Intel di “Intel inside”, uno dei produttori di microchip, componente chiave che nel tempo ha reso possibile scorrere (e non solo) da una pagina di un documento all’altra dapprima in un secondo, poi mezzo secondo e ora in meno di un quarto di millisecondo (grandezza fittizia ma che rende l’idea).

È un eufemismo dire che i microchip regolano la nostra esistenza? Non saprei, visto che non c’è più alcun oggetto funzionante a corrente elettrica che non ne abbia uno.

Non saprei neanche descrivere, in parole semplici, a cosa servano né tantomeno come vengano prodotti. L’efficienza di un “CPU” (Central Processing Unit, ovvero il cervello del vostro PC) si indica in velocità misurata in Gigahertz (già di per sé un concetto astruso). Un recente modello di microchip di Intel è arrivato a 6,2 gigahertz, che consente di compiere 6,2 miliardi di “cicli” al secondo. Durante ogni ciclo i miliardi di transistor nel microchip effettuano le istruzioni ricevute dalla CPU e avviano, ad esempio, i programmi che si presentano quando accendete il PC o il vostro cellulare.

In quanto vi ho descritto, vi sono due parole importantissime: istruzioni e velocità. Diciamo pure che sono sempre state importantissime. Ricordate quando, sotto la minaccia di una sberla, nostra madre ci ordinava “ti do 10 minuti per scrivere il tema”?



I computer funzionano nello stesso modo. Gli diciamo cosa devono fare e loro lo fanno ma i minuti sono diventati frazioni (infinitesimali) di secondi. Il che vuol dire che i segnali elettrici vengono trasmessi a velocità “della luce” che a sua volta vuol dire materiali che li conducano e calore che viene generato dal flusso.

La miniaturizzazione nell’elettronica degli ultimi 30 anni ha ridotto le dimensioni non solo dei prodotti di uso comune ma anche degli strumenti e macchinari che li producono. Nel caso dei semiconduttori stiamo parlando di grandezze microscopiche la cui tecnologia ha richiesto progressi fantascientifici negli studi della fisica, chimica, elettronica e informatica. Se da un lato servono i lampi di genio, dall’altro serve un sistema di ricerca e produzione avanzatissimo. Chi ce l’ha può dettare le regole del gioco di un’industria intera.

Ed è il motivo principale del perché il Presidente Trump ha invitato “Jensen” al suo cospetto.

Come tanti imprenditori americani, Jensen Huang è un altro “self-made man”. Cinese di Taiwan, i genitori, trasferitisi in Thailandia, mandano Jensen e il fratello, entrambi adolescenti, a studiare negli USA. Parliamo della seconda metà degli anni ’60.


(Jensen Huang)


Jensen diventa ingegnere elettronico e inizia a lavorare presso la Texas Instruments, quelli delle prime calcolatrici tascabili. Nel 1993, con il solito gruppo di amici “nerd”, fonda una società per produrre processori grafici da usare per i videogiochi, attività che iniziava a prendere piede (Tetris docet).

Chiamarono la società NVision.

E qui il gioco si fa brutale.

È probabile che Jensen nutrisse rammarico e risentimento per la prosperità e il benessere altrui, o perché si è considerato ingiustamente escluso da tale benessere o perché, già possedendolo, ne pretendeva l'esclusivo godimento. Cadde in uno dei vizi capitali e cambiò il nome della società in Nvidia.

E pensate a quanta invidia possa generare una delle persone più ricche al mondo.

Lungi da me considerare Jensen “il Diavolo” ma ha creato delle vere diavolerie!

Una si chiama H100 GPU che per l’industria dell’Intelligenza Artificiale (IA) ha lo stesso effetto della Nutella: non se ne può fare a meno!



Un’altra si chiama CUDA, un software che è divenuto lo standard per lo sviluppo dell’IA.

Ora, visti i progressi che l’IA sta compiendo (forse anche discutibili ma non per questo negabili), vista la crescita nella generazione di dati, vista la necessità di sistemi e metodologia di archiviazione, vista l’impellenza di progredire nella produzione di semiconduttori, vista la necessità di incrementare le prestazioni di essi, visti i posti di lavoro derivanti da tale ricerca e produzione, visti gli altrettanti posti di lavoro offerti dalle società che impiegano tali semiconduttori, vista la strategicità dei chip nel funzionamento di ogni cosa, specialmente negli apparecchi civili e militari, dati i poteri conferitimi dal popolo americano a far data dal 13 ottobre 2022 vengono introdotti ulteriori controlli sull’esportazione di materiali avanzati (chip, circuiti e altro) verso certi paesi o enti inclusi nell’allegata lista.

Non usando esattamente questi termini, a Nvidia fu proibita la vendita dei suoi prodotti e servizi a quei paesi che l’amministrazione USA di allora considerava meritevole di dazi, embargo e ostilità di ogni sorta.

Jensen allora ideò una versione edulcorata del suo H100 GPU (la A800) che poteva tranquillamente vendere a chiunque.



Il provvedimento non interessò solo Nvidia, ma tutti i produttori mondiali. Agli USA non bastava che non si vendesse direttamente a quei paesi; si impediva anche la vendita a chi avrebbe poi rivenduto i semiconduttori ai medesimi paesi.

Le società attive nel settore sono molte e non tutte americane. Il più grande produttore di semiconduttori è la TSMC di Taiwan. A seguire vi sono le americane Intel, Qualcomm, Nvidia, AMD e Texas Instruments; la coreana Samsung, l’olandese ASML e la tedesca Infineon Technologies AG. Ma ve ne sono anche in Giappone, Israele e, soprattutto, in Cina.

La leadership, al momento, è nelle mani degli USA anche se recenti lanci di prodotti da parte di Huawei, l’arrivo di DeepSeek nonché le sperimentazioni o progetti a carattere civile e militare a noi noti da parte della Cina lasciano pensare che non sono tanto indietro, se non sono addirittura avanti in certi campi.

Il dilemma sull’utilità dei dazi o delle barriere commerciali rimane sempre, e non ci è dato sapere cosa Trump e Huang si siano detti, anche se ce lo possiamo immaginare.



A interessare entrambi non è solo l’industria dei semiconduttori. Nel breve termine bisogna affrontare anche le conseguenze sul mercato azionario dopo il crollo verticale subito da Nvidia, visto anche il ruolo che si è impegnata ad assumere nel faraonico progetto Stargate annunciato pochi giorni fa.

Dopo Jensen, Trump vorrà/dovrà scambiare due parole anche con altri “Tech Bros” (i cosiddetti fratelli tecnologici) per ascoltare di cosa hanno bisogno per rafforzare e consolidare il dominio USA nel settore ed eventualmente capire a che punto si trova la Cina in questa corsa.

Dovrà anche fare i conti con chi fornisce le materie prime essenziali per questa corsa e gli impatti della loro disponibilità e a quale prezzo. Parliamo di minerali rari e metalli speciali provenienti anche da parti remote del pianeta che, guarda caso, vengono trasportati via mare e che spesso passano attraverso canali (leggi Panama e Suez) o attraversano tratti di mare contesi (leggi Mare Glaciale Artico e Mare della Groenlandia).

Insomma è strabiliante come da un “micro” chip si possa creare un “macro” caos.

(6 - continua)



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